giovedì 14 settembre 2017

Tutto e solo l’amore di Dio


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La festa dell’Esaltazione della santa croce. 

(Bartolomeo) Questa festa probabilmente nasce a Gerusalemme, dopo il ritrovamento della croce da parte della beata Elena, madre di Costantino. Secondo la tradizione, Elena fu guidata al luogo del ritrovamento della croce dal forte aroma di una pianta, il basilico. Infatti, durante la festa della santa croce, essa viene rivestita completamente con basilico. Alcuni storici ecclesiastici, come Niceforo e Filostorge, affermano che la croce, appena ritrovata, fu posta su una donna da poco deceduta ed ebbe il potere di riportarla in vita. Per questo sant’Elena portò il 14 settembre dell’anno 355 la croce al vescovo di Gerusalemme Macario, il quale la innalzò lo stesso giorno sul Golgota, sul Calvario e da lì la portò nella nuova chiesa dell’Anastasis, della Resurrezione, sulla tomba del Signore, al santo sepolcro. La croce fu rubata in seguito dai persiani in quanto questi la ritenevano magica, uno strumento magico, ma la storia racconta che l’imperatore Eraclio la riportò a Gerusalemme. Era il 14 settembre dell’anno 626. Più propriamente alcuni storici pensano che questa data sia invece da collegarsi a un trasferimento della croce a Costantinopoli.
La chiesa di Gerusalemme tuttavia ritenne che essa dovesse appartenere a tutta la cristianità e quindi, probabilmente per evitare ulteriori furti, la croce venne suddivisa in piccoli pezzi che furono consegnati a tutte le chiese locali del tempo dell’oriente e dell’occidente: uno dei motivi per cui si riscontrano, soprattutto nei monasteri e in grandi centri ecclesiastici, piccole parti della santa croce. Secondo un’antica profezia, tutte queste parti della croce si riuniranno a comporre l’unica e sola croce alla fine dei tempi.
La festa dell’Esaltazione della santa croce giunge dall’oriente in occidente grazie a Papa Sergio, che era di origine bizantina, nel VII secolo. La Chiesa nascente, la Chiesa apostolica identificava i cristiani con il simbolo del pesce, in quanto la parola “pesce”, in greco, era l’acronimo di «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore». Tuttavia dobbiamo porre particolare accento a tutta la prefigurazione vetero-testamentaria della crocifissione di Cristo. Il primo e più antico esempio della venerata croce è riscontrabile nel “legno della vita”: la traduzione dei Settanta usa il vocabolo xýlo per indicare quello che alle volte viene tradotto in Genesi come “albero della vita”. Il libro della Genesi afferma: «Poi il Signore piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l’albero della vita (il legno della vita) in mezzo al giardino, e l’albero della conoscenza del bene e del male» (2, 8-9). Tre tipi di alberi, cioè: accanto all’albero della vita Dio aggiunge l’albero del bene, del bello, della conoscenza e, dall’altra parte, l’albero che avrebbe fatto conoscere il male. Dice Severiano: «Affinché non potesse mischiarsi il bene con il male».
Molti padri della Chiesa hanno visto in questo il prototipo della santa croce. San Giovanni Damasceno vede nella croce lo stesso segno: «Il legno della vita che nel paradiso ha condotto verso la morte, attraverso lo stesso legno di vita deve essere ora donata la resurrezione» (De fide orthodoxa). Un altro padre, Filoteo di Costantinopoli, sottolinea che la morte di Adamo, e quindi dell’umanità, in essa la morte aveva avuto il meglio, cioè governava, ma la morte di Cristo e di quelli che muoiono con lui porta alla resurrezione, alla vita, a una via di grazia e di salvezza per tutti gli uomini. Riprendendo ancora san Giovanni Crisostomo, padre della Chiesa, arcivescovo di Costantinopoli, egli vede in tutto ciò tre simboli della debolezza: innanzitutto Eva, il legno e la morte. Questo in Adamo, come debolezza. Ma questi tre stessi simboli sono simboli di vittoria in Cristo. Al posto di Eva: Maria. Al posto del legno della conoscenza: il legno della croce. Al posto della morte di Adamo: la morte di Cristo. Il legno della vita è quindi essenzialmente e fondamentalmente il legno della croce di Cristo. Fra il primo tipo di legno e il secondo vi è una correlazione teologica: infatti entrambi portano a uno stesso scopo, che è quello della vita eterna. E per questo molti padri della Chiesa caratterizzano, non solo in modo retorico, cioè con grandi parole, ma in modo teologico il legno della venerata croce come “legno di salvezza”, “legno di incorruttibilità”, “legno di vita eterna”, “pianta di immortalità”, e su tutte queste caratterizzazioni hanno dato molte spiegazioni e immagini.

Cosa rivela allora la croce, partendo dall’insegnamento biblico e patristico? Rivela i pilastri portanti della fede, assieme alla resurrezione. Per questo la croce è strumento e simbolo della redenzione del genere umano: non come simbolo idolatrico, ma come fondamento. Senza la croce non potremmo pensare a una Chiesa del Cristo crocifisso. L’apostolo Paolo, nelle sue lettere, definisce la croce per sé e per la Chiesa come un vanto.
La croce, secondo l’innografia, rivela quattro verità: la croce è la più grande rivelazione della sommità dell’amore di Cristo, rivelazione che è stata realizzata nel mondo a favore dell’uomo; la croce è l’amore che si rivela dal fatto di considerare il mondo come una realtà per trovare, vedere e conoscere Dio; la croce è la rivelazione dell’amore ineffabile di Cristo come Dio-Uomo verso la sua creatura, l’uomo; nella croce abbiamo la più potente rivelazione del Dio trino. «Sulla Croce si è manifestato l’amore del Padre che crocifigge, del Figlio che viene crocifisso, l’amore dello Spirito santo che trionfa per la forza della croce. Tanto Dio ha amato il mondo: ecco l’inizio, il mezzo e il termine della croce di Cristo. Tutto e solo l’amore di Dio» (San Filarete di Mosca, Meditazioni).
La croce, dunque, è diventata strumento di santificazione e grazia, con le sue braccia aperte Cristo abbraccia l’intero cosmo. Il nuovo legno non è più il legno dell’Eden, per il sacrificio di Cristo che porta forza, comunione all’intero genere umano, fratellanza, giustizia, pace. La venerazione della santa croce, quindi, non è idolatria, perché questa venerazione significa venerazione e adorazione allo stesso Cristo, che è il segno e il soggetto di questo sacrificio di redenzione. Questa nuova comunione umana in Cristo è assai diversa da ogni altro tipo di comunione, perché fondata sull’amore totale di Dio al punto che Dio ha dato il suo Figlio.
Allo stesso tempo l’iconografia ha reso ciò che la Scrittura ha annunciato e la Chiesa vive. Nelle rappresentazioni iconografiche bizantine il crocifisso non viene mai rappresentato nel suo realismo della carne spossata e morta, né nell’agonia: non è mai un Dio sofferente. Giovanni Crisostomo a tale proposito dice: «Io lo vedo crocifisso e lo chiamo Re». Il Salvatore in croce non è solo il Cristo morto ma il Signore della propria morte e della propria vita, resta il Logos della vita eterna che si consegna alla morte e la vince. Per questo motivo nelle icone bizantine della crocifissione non si riproduce di solito nell’iscrizione quanto datoci dagli evangelisti (Gesù nazareno re dei giudei), bensì la dicitura «Il re della gloria», perché all’Ade egli fu così annunciato.
Un altro aspetto comune all’icona della croce è che essa appare piantata sempre su un piccolo monte, il Golgota, il Calvario, nelle cui viscere si vedono un cranio e delle ossa. Il cranio è quello di Adamo, che costituisce l’uomo vecchio, il seme che è morto da cui è nato l’uomo nuovo, l’albero della vita. Una tradizione dice che la croce fu piantata dove era stato sepolto il primo uomo e su quell’uomo caduto si innalza l’uomo nuovo che è Cristo.
La croce è il simbolo cristiano per eccellenza. I misteri della Chiesa si tengono per azione dello Spirito santo con il segno della croce, non si tengono azioni liturgiche senza di essa. Le benedizioni sono col segno della croce, i sacri tempi innalzano la croce. Paramenti, vasi sacri si segnano con la croce. Il cristiano porta su di sé la croce dalla nascita fino alla morte. La croce sta nelle case, nei posti di lavoro, in macchina. La madre segna il proprio figlio con la croce quando è ammalato, quando esce di casa: in ogni momento, bello o brutto, ci segniamo col segno della croce per la nostra tranquillità spirituale. Il cristiano inizia e termina il giorno con la croce. La santa croce è il più grande custode dei fedeli: in ogni azione liturgica di santificazione la Chiesa segna i fedeli con la croce. Certamente questo avviene solo col libero concorso del fedele alla partecipazione della forza di redenzione alla sua intima unione di Cristo, non certo per un aspetto “magico” della croce.
La croce santifica e dà salvezza: con essa l’uomo crocifigge il proprio egoismo e le passioni. Le croci possono anche essere molte per l’uomo: a esempio citiamo la croce parlando di povertà, di malattia, di vedovanza, di crisi economica, di drammi familiari, di ateismo, di lotta spirituale del cristiano di fronte alla carne, al mondo, al diavolo, alla morte, a una cattiva morte, fino agli ultimi istanti della vita. Ma perché una croce? Per poter dire anche noi col ladrone: «Ricordati di me, Signore, quando sarai nel tuo Regno». Come portare la croce, allora? Così come Cristo ha fatto: portare la croce con fiducia nella resurrezione. Croce e resurrezione, lo abbiamo detto all’inizio e lo diciamo anche alla fine, sono il fondamento della nostra fede e le colonne della nostra vita.
In San Pietro a Bologna
Pubblichiamo ampi stralci dell’omelia pronunciata la mattina del 14 settembre dal patriarca ecumenico durante la divina liturgia per la festa dell’Esaltazione della santa croce. Al rito, celebrato nella cattedrale di San Pietro a Bologna, hanno assistito fra gli altri l’arcivescovo della città, monsignor Matteo Maria Zuppi, sacerdoti e fedeli cattolici e ortodossi. Il patriarca sta compiendo una visita di tre giorni (13-15 settembre) nel capoluogo emiliano. Dopo la divina liturgia si è recato al monastero di Monte Sole (nell’area del parco storico dedicato alla memoria delle stragi naziste di Marzabotto), mentre, in serata, visita la parrocchia del Corpus Domini per incontrare i fedeli bolognesi del vicariato e di varie comunità.
L'Osservatore Romano