sabato 9 settembre 2017

Santa Messa presso Medellín. Omelia del Santo Padre.



Santa Messa presso l’Aeroporto “Enrique Olaya Herrera” di Medellín. Omelia del Santo Padre: "Gesù insegna che la relazione con Dio non può essere un freddo attaccamento a norme e leggi, né tantomeno un compiere certi atti esteriori che non portano a un cambiamento reale di vita"
Sala stampa della Santa Sede 

[Text: Italiano, Español, English, Français, Português] 

Questa mattina, lasciata la Nunziatura Apostolica, il Santo Padre Francesco si è trasferito in auto all’aeroporto militare CATAM di Bogotá. Al Suo arrivo ha salutato alcune persone della General Motors nei pressi della scala dell’aereo. Quindi è salito a bordo di un A321 dell’Avianca alla volta dell’aeroporto di Rionegro. Al Suo arrivo all’aeroporto “José M. Córdoba” Papa Francesco è stato accolto dal Vescovo di Sonsón-Rionegro, dal Sindaco di Rionegro e dal Comandante della Base Aerea. A conclusione della Santa Messa, l’Arcivescovo di Medellín. S.E. Mons. Ricardo Tobón Restrepo, saluta il Santo Padre. Dopo la benedizione finale, Papa Francesco si trasferisce in auto al Seminario Conciliar. 
Omelia del Santo Padre 
Traduzione in lingua italiana 
Cari fratelli e sorelle! 
Nella Messa di giovedì a Bogotá abbiamo ascoltato la chiamata di Gesù ai suoi primi discepoli; questa parte del Vangelo di Luca che comincia con quel racconto, culmina nella chiamata dei Dodici. Che cosa ricordano gli Evangelisti tra i due avvenimenti? Che questo cammino di sequela ha richiesto nei primi seguaci di Gesù molto sforzo di purificazione. 
Alcuni precetti, divieti e comandi li facevano sentire sicuri; compiere determinati riti e pratiche li dispensava dall’inquietudine di chiedersi: Che cosa piace al nostro Dio? Gesù, il Signore, indica loro che obbedire è camminare dietro a Lui, e che quel camminare li poneva davanti a lebbrosi, paralitici, peccatori. Questa realtà domandavano molto più che una ricetta, una norma stabilita. Impararono che andare dietro a Gesù comporta altre priorità, altre considerazioni per servire Dio. Per il Signore, anche per la prima comunità, è di somma importanza che quanti ci diciamo discepoli non ci attacchiamo a un certo stile, a certe pratiche che ci avvicinano più al modo di essere di alcuni farisei di allora che a quello di Gesù. LA libertà di Gesù si contrappone alla mancanza di libertà dei dottori della legge di quell’epoca, che erano paralizzati da un’interpretazione e da una pratica rigoristica della legge. Gesù non si ferma ad un’attuazione apparentemente “corretta”; Egli porta la legge al suo compimento e perciò vuole porci in quella direzione, in quello stile di sequela che suppone andare all’essenziale, rinnovarsi e coinvolgersi. Sono tre atteggiamenti che dobbiamo plasmare nella nostra vita di discepoli. 
Il primo, andare all’essenziale. Non vuol dire “rompere con tutto” ciò che non si adatta a noi, perché nemmeno Gesù è venuto “ad abolire la Legge, ma a portarla al suo compimento” (cfr Mt 5,17); è piuttosto andare in profondità, a ciò che conta e ha valore per la vita. Gesù insegna che la relazione con Dio non può essere un freddo attaccamento a norme e leggi, né tantomeno un compiere certi atti esteriori che non portano a un cambiamento reale di vita. Nemmeno il nostro discepolato può essere motivato semplicemente da una consuetudine, perché abbiamo un certificato di battesimo, ma deve partire da un’esperienza viva di Dio e del suo amore. Il discepolato non è qualcosa di statico, ma un continuo movimento verso Cristo; non è semplicemente attaccarsi alla spiegazione di una dottrina, ma l’esperienza della presenza amichevole, viva e operante del Signore, un apprendistato permanente per mezzo dell’ascolto della sua Parola. E tale Parola, lo abbiamo ascoltato, ci si impone nei bisogni concreti dei nostri fratelli: sarà la fame dei più vicini nel testo oggi proclamato (cfr Lc 6,1-5), o la malattia in ciò che narra Luca in seguito. La seconda parola, rinnovarsi. Come Gesù “scuoteva” i dottori della legge perché uscissero dalla loro rigidità, ora anche la Chiesa è “scossa” dallo Spirito perché lasci le sue comodità e i suoi attaccamenti. Il rinnovamento non deve farci paura. La Chiesa è sempre in rinnovamento – Ecclesia semper reformanda –. Non si rinnova a suo capriccio, ma lo fa fondata e ferma nella fede, irremovibile nella speranza del Vangelo che ha ascoltato (cfr Col 1,23). Il rinnovamento richiede sacrificio e coraggio, non per sentirsi migliori o impeccabili, ma per rispondere meglio alla chiamata del Signore. Il Signore del sabato, la ragion d’essere di tutti i nostri comandamenti e precetti, ci invita a ponderare le norme quando è in gioco il seguire Lui; quando le sue piaghe aperte, il suo grido di fame e sete di giustizia ci interpellano e ci impongono risposte nuove. E in Colombia ci sono tante situazioni che chiedono ai discepoli lo stile di vita di Gesù, particolarmente l’amore tradotto in atti di nonviolenza, di riconciliazione e di pace. 
La terza parola, coinvolgersi. Coinvolgersi, anche se per qualcuno questo può sembrare sporcarsi, macchiarsi. Come Davide e i suoi che entrarono nel tempio perché avevano fame e i discepoli di Gesù entrarono nel campo di grano e mangiarono le spighe, così oggi a noi è chiesto di crescere in audacia, in un coraggio evangelico che scaturisce dal sapere che sono molti quelli che hanno fame, fame di Dio, fame di dignità, perché sono stati spogliati. E, come cristiani, aiutarli a saziarsi di Dio; non ostacolare o proibire loro questo incontro. Non possiamo essere cristiani che alzano continuamente il cartello “proibito il passaggio”, né considerare che questo spazio è mia proprietà, impossessandomi di qualcosa che non è assolutamente mio. La Chiesa non è nostra, è di Dio; Lui è il padrone del tempio e della messe; per tutti c’è posto, tutti sono invitati a trovare qui e tra noi il loro nutrimento. Noi siamo semplici “servitori” (cfr Col 1,23) e non possiamo essere quelli che ostacolano tale incontro. Al contrario, Gesù ci chiede, come fece coi suoi discepoli: «Voi stessi date loro da mangiare» (Mt 14,16); questo è il nostro servizio. Lo ha capito bene Pietro Claver, che oggi celebriamo nella liturgia e che domani venererò a Cartagena. «Schiavo dei neri per sempre» fu il motto della sua vita, perché comprese, come discepolo di Gesù, che non poteva rimanere indifferente davanti alla sofferenza dei più abbandonati e oltraggiati del suo tempo e che doveva fare qualcosa per alleviarla. 
Fratelli e sorelle, la Chiesa in Colombia è chiamata a impegnarsi con maggiore audacia nella formazione di discepoli missionari, come abbiamo indicato noi Vescovi riuniti ad Aparecida nell’anno 2007. Discepoli che sappiano veder, giudicare e agire, come proponeva il documento latinoamericano nato in queste terre (cfr Medellín, 1968). Discepoli missionari che sanno vedere, senza miopie ereditarie; che esaminano la realtà secondo gli occhi e il cuore di Gesù, e da lì la giudicano. E che rischiano, agiscono, si impegnano. 
Sono venuto fin qui proprio per confermarvi nella fede e nella speranza del Vangelo: rimanete saldi e liberi in Cristo, così da rifletterlo in tutto quello che fate; abbracciate con tutte le vostre forze la sequela di Gesù, conoscetelo, lasciatevi chiamare e istruire da Lui, cercatelo nella preghiera, annunciatelo con grande gioia. 
Chiediamo, per intercessione della nostra Madre, la Madonna “de la Candelaria”, che ci accompagni nel nostro cammino di discepoli, affinché ponendo la nostra vita in Cristo, siamo semplicemente missionari che portiamo a tutti la luce e la gioia del Vangelo. 

Traduzione in lingua spagnola 
Queridos hermanos y hermanas: 
En la misa del jueves en Bogotá escuchábamos el llamado de Jesús a sus primeros discípulos; esta parte del Evangelio de Lucas que comenzó con aquella narración, culmina con el llamado a los Doce. ¿Qué recuerdan los evangelistas entre ambos acontecimientos? Que este camino de seguimiento supuso en los primeros seguidores de Jesús mucho esfuerzo de purificación. Algunos preceptos, prohibiciones y mandatos los hacían sentir seguros; cumplir con determinadas prácticas y ritos los dispensaba de la inquietud de preguntarse: ¿Qué es lo que le agrada a nuestro Dios? Jesús, el Señor, les señala que cumplir es caminar tras Él, y que ese caminar los ponía frente a leprosos, paralíticos, pecadores. Esas realidades demandaban mucho más que una receta, una norma establecida. Aprendieron que ir detrás de Jesús supone otras prioridades, otras consideraciones para servir a Dios. Para el Señor, también para la primera comunidad, es de suma importancia que quienes nos decimos discípulos no nos aferremos a cierto estilo, a ciertas prácticas que nos acercan más al modo de ser de algunos fariseos de entonces que al de Jesús. La libertad de Jesús se contrapone con la falta de libertad de los doctores de la ley de aquella época, que estaban paralizados por una interpretación y práctica rigorista de la ley. Jesús no se queda en un cumplimento aparentemente «correcto», Él lleva la ley a su plenitud y por eso quiere ponernos en esa dirección, en ese estilo de seguimiento que supone ir a lo esencial, renovarse e involucrarse. Son tres actitudes que tenemos que plasmar en nuestra vida de discípulos. Lo primero, ir a lo esencial. No quiere decir «romper con todo» lo que no se acomoda a nosotros, porque tampoco Jesús vino «a abolir la ley, sino a llevarla a su plenitud» (Mt 5,17); es más bien ir a lo profundo, a lo que cuenta y tiene valor para la vida. Jesús enseña que la relación con Dios no puede ser un apego frío a normas y leyes, ni tampoco un cumplimiento de ciertos actos externos que no llevan a un cambio real de vida. Tampoco nuestro discipulado puede ser motivado simplemente por una costumbre, porque contamos con un certificado de bautismo, sino que debe partir de una viva experiencia de Dios y de su amor. El discipulado no es algo estático, sino un continuo movimiento hacia Cristo; no es simplemente el apego a la explicitación de una doctrina, sino la experiencia de la presencia amigable, viva y operante del Señor, un permanente aprendizaje por medio de la escucha de su Palabra. Y esa palabra, lo hemos escuchado, se nos impone en las necesidades concretas de nuestros hermanos: será el hambre de los más cercanos en el texto proclamado, o la enfermedad en lo que narra Lucas a continuación. 
La segunda palabra, renovarse. Como Jesús «zarandeaba» a los doctores de la ley para que salieran de su rigidez, ahora también la Iglesia es «zarandeada» por el Espíritu para que deje sus comodidades y apegos. La renovación no nos debe dar miedo. La Iglesia está siempre en renovación —Ecclesia semper reformanda—. No se renueva a su antojo, sino que lo hace «firme y bien fundada en la fe, sin apartarse de la esperanza transmitida por la Buena Noticia» (Col 1,23). La renovación supone sacrificio y valentía, no para considerarse mejores o más pulcros, sino para responder mejor al llamado del Señor. El Señor del sábado, la razón de ser de todos nuestros mandatos y prescripciones, nos invita a ponderar lo normativo cuando está en juego el seguimiento; cuando sus llagas abiertas, su clamor de hambre y sed de justicia nos interpelan y nos imponen respuestas nuevas. Y en Colombia hay tantas situaciones que reclaman de los discípulos el estilo de vida de Jesús, particularmente el amor convertido en hechos de no violencia, de reconciliación y de paz. 
La tercera palabra, involucrarse. Involucrarse, aunque para algunos eso parezca ensuciarse, mancharse. Como David o los suyos que entraron en el Templo porque tenían hambre y los discípulos de Jesús entraron en el sembrado y comieron las espigas, también hoy a nosotros se nos pide crecer en arrojo, en un coraje evangélico que brota de saber que son muchos los que tienen hambre, hambre de Dios, hambre de dignidad, porque han sido despojados. Y, como cristianos, ayudar a que se sacien de Dios; no impedirles o prohibirles ese encuentro. No podemos ser cristianos que alcen continuamente el estandarte de «prohibido el paso», ni considerar que esta parcela es mía, adueñándome de algo que no es absolutamente mío. La Iglesia no es nuestra, es de Dios; Él es el dueño del templo y del sembrado; todos tienen cabida, todos son invitados a encontrar aquí y entre nosotros su alimento. Nosotros somos simples «servidores» (cf. Col 1,23) y no podemos ser quienes impidamos ese encuentro. Al contrario, Jesús nos pide, como lo hizo a sus discípulos: «Denles ustedes de comer» (Mt 14,16); este es nuestro servicio. Bien entendió esto Pedro Claver, a quien hoy celebramos en la liturgia y que mañana veneraré en Cartagena. «Esclavo de los negros para siempre» fue su lema de vida, porque comprendió, como discípulo de Jesús, que no podía permanecer indiferente ante el sufrimiento de los más desamparados y ultrajados de su época y que tenía que hacer algo para aliviarlo. 
Hermanos y hermanas, la Iglesia en Colombia está llamada a empeñarse con mayor audacia en la formación de discípulos misioneros, así como lo señalamos los obispos reunidos en Aparecida en el año 2007. Discípulos que sepan ver, juzgar y actuar, como lo proponía aquel documento latinoamericano que nació en estas tierras (cf. Medellín, 1968). Discípulos misioneros que saben ver, sin miopías heredadas; que examinan la realidad desde los ojos y el corazón de Jesús, y desde ahí la juzgan. Y que arriesgan, actúan, se comprometen. 
He venido hasta aquí justamente para confirmarlos en la fe y en la esperanza del Evangelio: manténganse firmes y libres en Cristo, de modo que lo reflejen en todo lo que hagan; asuman con todas sus fuerzas el seguimiento de Jesús, conózcanlo, déjense convocar e instruir por Él, anúncienlo con la mayor alegría. 
Pidamos a través de la intercesión de nuestra Madre, Nuestra Señora de la Candelaria, que nos acompañe en nuestro camino de discípulos, para que poniendo nuestra vida en Cristo, seamos simplemente misioneros que llevemos la luz y la alegría del Evangelio a todas las gentes. 
Traduzione in lingua francese 
Chers frères et soeurs, 
A la messe de jeudi, à Bogota, nous avons entendu l’appel de Jésus à ses premiers disciples ; cette partie de l’Evangile de Luc qui commence par ce récit culmine avec l’appel des douze. Que rappellent les évangélistes dans ces deux événements ? Que ce chemin à la suite de Jésus a supposé chez ses premiers disciples beaucoup d’efforts de purification. Certains préceptes, certaines interdictions et certains ordres leur donnaient de l’assurance ; s’acquitter de pratiques déterminées et de rites les dispensait du souci de se demander : qu’est-ce qui plaît à notre Dieu ? Jésus, le Seigneur leur indique qu’accomplir c’est marcher derrière lui, et que cette marche les mettait face aux lépreux, aux paralytiques, aux pécheurs. Ces réalités demandaient beaucoup plus qu’une recette, une norme établie. Ils ont appris que suivre Jésus suppose d’autres priorités, d’autres considérations pour servir Dieu. Pour le Seigneur, aussi pour la première communauté, il est de la plus grande importance que nous qui nous disons disciples, nous ne nous accrochions pas à un certain style, à certaines pratiques qui nous rapprochent plus de la manière d’être de certains pharisiens d’alors que de celle de Jésus. La liberté de Jésus s’oppose au manque de liberté des docteurs de la loi de cette époque qui étaient paralysés par une interprétation et une pratique rigoristes de la loi. Jésus n’en reste pas à un accomplissement apparemment « correct », il porte la loi à sa plénitude et veut donc nous mettre dans cette direction, dans ce style de vie à sa suite qui suppose d’aller à l’essentiel, de se renouveler, et de s’impliquer. Ce sont trois attitudes que nous devons traduire dans notre vie de disciples. 
La première, aller à l’essentiel. Cela ne veut pas dire « rompre avec tout » ce qui ne nous convient pas, car Jésus n’est pas venu non plus « abolir la loi, mais l’accomplir » (Mt 5, 17). C’est plutôt aller en profondeur, à ce qui compte et qui a de la valeur pour la vie. Jésus enseigne que la relation avec Dieu ne peut pas être un attachement froid à des normes et à des lois, non plus un accomplissement de certains actes extérieurs qui ne nous conduisent pas à un changement réel de vie. Notre vocation de disciple ne peut pas être non plus motivée simplement par une habitude, parce que nous avons un certificat de baptême, mais il doit partir d’une expérience vivante de Dieu et de son amour. La vocation de disciple n’est pas une chose statique, mais un mouvement continuel vers le Christ ; il ne s’agit pas simplement de l’attachement à l’explication d’une doctrine, mais de l’expérience de la présence amicale, vivante et opérante du Seigneur, un apprentissage permanent par l’écoute de sa Parole. Et cette Parole, nous l’avons entendu, s’impose à nous dans les besoins concrets de nos frères : ce sera la faim des plus proches dans le texte proclamé, ou la maladie dans ce que rapporte Luc à la suite. 
Le second terme, se renouveler. De même que Jésus « secouait » les docteurs de la loi pour qu’ils sortent de leur rigidité, l’Eglise, aujourd’hui, est aussi « secouée » par l’Esprit afin qu’elle quitte ses facilités et ses attachements. Le renouvellement ne doit pas nous faire peur. L’Eglise est toujours en renouvellement – Ecclesia semper reformanda -. On ne se renouvelle pas selon son caprice, mais on le fait en restant solidement fondé dans la foi, sans se détourner de l’espérance reçue en écoutant l’Evangile (cf. Col 1, 23). Le renouvellement suppose le sacrifice et le courage, non pas pour se considérer comme les meilleurs ou les plus propres, mais pour mieux répondre à l’appel du Seigneur. Le Seigneur du sabbat, le fondement de tous nos commandements et prescriptions, nous invite à pondérer ce qui est normatif quand est en jeu la marche à la suite de Jésus ; quand ses plaies ouvertes, son cri de faim et de soif de justice nous interpellent et nous imposent des réponses nouvelles. Et en Colombie il y a beaucoup de situations qui demandent des disciples le style de vie de Jésus, en particulier l’amour converti en faits de non-violence, de réconciliation et de paix. 
Le troisième terme, s’engager. S’engager, bien que pour certains cela semble dire se salir, se souiller. Comme David et les siens qui entrèrent dans le Temple parce qu’ils avaient faim, et comme les disciples de Jésus qui entrèrent dans le champ et mangèrent les épis, il nous est aussi demandé aujourd’hui de grandir en audace, en courage évangélique qui jaillit de la prise de conscience qu’ils sont nombreux ceux qui ont faim, faim de Dieu, faim de dignité parce qu’ils ont été dépouillés. Et, comme chrétiens, les aider à se rassasier de Dieu ; ne pas les empêcher ou leur interdire cette rencontre. Nous ne pouvons pas être des chrétiens qui lèvent continuellement la bannière « passage interdit », ni considérer que ce terrain est le mien, m’appropriant une chose qui n’est absolument pas à moi. L’Eglise n’est pas à nous, elle est à Dieu ; c’est lui le maître du temple et de la moisson ; tous ont une place, tous sont invités à trouver, ici et parmi nous, leur nourriture. Nous sommes de simples « serviteurs » (cf. Col 1, 23) et nous ne pouvons pas être de ceux qui empêchent cette rencontre. Au contraire, Jésus nous demande, comme il l’a fait avec ses disciples : « Donnez-leur vous-mêmes à manger » (Mt 14, 16). C’est cela notre service. Pierre Claver que nous célébrons aujourd’hui dans la liturgie et que je vénérerai demain à Carthagène, a bien compris cela. « Esclave des noirs pour toujours » fut sa devise, parce qu’il comprit que, comme disciple de Jésus, il ne pouvait pas rester indifférent devant la souffrance des plus démunis et outragés de son époque et qu’il devait faire quelque chose pour les soulager. 
Frères et soeurs, l’Eglise en Colombie est appelée à s’engager avec plus d’audace dans la formation de disciples missionnaires, comme les évêques réunis à Aparecida en 2007 l’ont indiqué. Des disciples qui sachent voir, juger et agir, comme le proposait ce document latino-américain qui est né sur cette terre (cf. Medellin, 1968). Des disciples missionnaires qui sachent voir, sans myopies héréditaires ; qui examinent la réalité avec les yeux et le coeur de Jésus, et à partir de là, jugent. Et qui prennent des risques, agissent, s’engagent. 
Je suis venu jusqu’ici justement pour vous confirmer dans la foi et dans l’espérance de l’Evangile : demeurez fermes et libres dans le Christ, de manière à le refléter dans tout ce que vous faites ; assumez de toutes vos forces la sequela de Jésus, en le connaissant, en vous laissant convoquer et instruire par lui, en l’annonçant avec la plus grande joie. 
Demandons, à notre Mère, Notre Dame de la Chandeleur, de nous accompagner sur notre route de disciples, pour que, mettant notre vie dans le Christ, nous soyons simplement des missionnaires qui portons la lumière et la joie de l’Evangile à tous les peuples. 
Traduzione in lingua inglese 
Dear Brothers and Sisters, 
During the Mass on Thursday in Bogotá, we heard Jesus calling his first disciples; the part of Luke’s Gospel which opens with this passage, concludes with the call of the Twelve. What are the evangelists reminding us of between these two events? That this journey of following Jesus involved a great work of purification in his first followers. Some of the precepts, prohibitions and mandates made them feel secure; fulfilling certain practices and rites dispensed them from the uncomfortable question: “What would God like us to do?” The Lord Jesus tells them that their fulfilment involves following him, and that this journey will make them encounter lepers, paralytics and sinners. These realities demand much more than a formula, an established norm. The disciples learned that following Jesus presupposes other priorities, other considerations in order to serve God. For the Lord, as also for the first community, it is of the greatest importance that we who call ourselves disciples not cling to a certain style or to particular practices that cause us to be more like some Pharisees than like Jesus. Jesus’ freedom contrasts with the lack of freedom seen in the doctors of the law of that time, who were paralyzed by a rigorous interpretation and practice of that law. Jesus does not live according to a superficially “correct” observance; he brings the law to its fullness. This is what he wants for us, to follow him in such a way as to go to what is essential, to be renewed, and to get involved. These are three attitudes that must form our lives as disciples. 
Firstly, going to what is essential. This does not mean “breaking with everything” that does not suit us, because Jesus did not come “to abolish the law, but to fulfil it” (Mt 5:17); it means to go deep, to what matters and has value for life. Jesus teaches that being in relationship with God cannot be a cold attachment to norms and laws, nor the observance of some outward actions that do not lead to a real change of life. Neither can our discipleship simply be motivated by custom because we have a baptismal certificate. Discipleship must begin with a living experience of God and his love. It is not something static, but a continuous movement towards Christ; it is not simply the fidelity to making a doctrine explicit, but rather the experience of the Lord’s living, kindly and active presence, an ongoing formation by listening to his word. And this word, we have heard, makes itself known to us in the concrete needs of our brothers and sisters: the hunger of those nearest to us in the text just proclaimed, or illness as Luke narrates afterwards. 
Secondly, being renewed. As Jesus “shook” the doctors of the law to break them free of their rigidity, now also the Church is “shaken” by the Spirit in order to lay aside comforts and attachments. We should not be afraid of renewal. The Church always needs renewal – Ecclesia semper reformanda. She does not renew herself on her own whim, but rather does so “firm in the faith, stable and steadfast, not shifting from the hope of the gospel” (Col 1:23). Renewal entails sacrifice and courage, not so that we can consider ourselves superior or flawless, but rather to respond better to the Lord’s call. The Lord of the Sabbath, the reason for our commandments and prescriptions, invites us to reflect on regulations when our following him is at stake; when his open wounds and his cries of hunger and thirst for justice call out to us and demand new responses. In Colombia there are many situations where disciples must embrace Jesus’ way of life, particularly love transformed into acts of non-violence, reconciliation and peace. 
Thirdly, getting involved. Even if it may seem that you are getting yourself dirty or stained, get involved. Like David and those with him who entered the Temple because they were hungry and the disciples of Jesus who ate ears of grain in the field, so also today we are called upon to be brave, to have that evangelical courage which springs from knowing that there are many who are hungry, who hunger for God, who hunger for dignity, because they have been deprived. As Christians, help them to be satiated by God; do not impede them or stop this encounter. We cannot be Christians who continually put up “do not enter” signs, nor can we consider that this space is mine or yours alone, or that we can claim ownership of something that is absolutely not ours. The Church is not ours, she is God’s; he is the owner of the temple and the field; everyone has a place, everyone is invited to find here, and among us, his or her nourishment. We are simple servants (cf. Col 1:23) and we cannot prevent this encounter. On the contrary, Jesus tells us, as he told his disciples: “You give them something to eat” (Mt 14:16); this is our service. Saint Peter Claver understood this well, he whom we celebrate today in the liturgy and whom I will venerate tomorrow in Cartagena. “Slave of the blacks forever” was the motto of his life, because he understood, as a disciple of Jesus, that he could not remain indifferent to the suffering of the most helpless and mistreated of his time, and that he had to do something to alleviate their suffering. 
Brothers and sisters, the Church in Colombia is called to commit itself, with greater boldness, to forming missionary disciples, as the Bishops stated when they were gathered in Aparecida in 2007. Disciples who know how to see, judge and act, as stated in that Latin-American document born in this land (cf. Medellín, 1968). Missionary disciples that know how to see, without hereditary short-sightedness; looking at reality with the eyes and heart of Jesus, and only then judging. Disciples who risk, act, and commit themselves. 
I have come here precisely to confirm you in the faith and hope of the Gospel. Remain steadfast and free in Christ, in such a way that you manifest him in everything you do; take up the path of Jesus with all your strength, know him, allow yourselves to be called and taught by him, and proclaim him with great joy.  
Let us pray through the intercession of Our Mother, Our Lady of Candelaria, that she may accompany us on our path of discipleship, so that, giving our lives to Christ, we may simply be missionaries who bring the light and joy of the Gospel to all people. 
Traduzione in lingua portoghese 
Queridos irmãos e irmãs! 
Na Missa de quinta-feira em Bogotá, ouvimos a chamada de Jesus aos seus primeiros discípulos; esta parte do evangelho de Lucas, que começa com aquela narração, culmina com a chamada dos Doze. Entre estes dois acontecimentos, que nos recordam os evangelistas? Recordam que este caminho de seguimento supôs nos primeiros seguidores de Jesus muito esforço de purificação. Alguns preceitos, proibições e mandamentos davam-lhes segurança; cumprir determinados ritos e práticas dispensava-os da preocupação de se interrogar: Que agrada ao nosso Deus? Jesus, o Senhor, indica-lhes que obedecer é caminhar atrás d’Ele, o que os fazia deparar com leprosos, paralíticos, pecadores. Estas realidades requeriam muito mais do que uma receita, uma norma estabelecida. Aprenderam que ir atrás de Jesus implica outras prioridades, outras considerações para servir a Deus. Para o Senhor, como também para a primitiva comunidade, é de suma importância que, se nos dizemos discípulos, não estejamos agarrados a um certo estilo, a certas práticas que nos aproximam mais do modo de ser dalguns fariseus de então que do modo de ser de Jesus. A liberdade de Jesus contrasta com a falta de liberdade dos doutores da lei daquele tempo, que estavam paralisados por uma interpretação e prática rigoristas da lei. Jesus não Se limita a uma atuação aparentemente «correta», mas leva a lei à sua plenitude; e, por isso, quer colocar-nos nessa direção, nesse estilo de seguimento que implica ir ao essencial, renovar-se e envolver-se. São três atitudes que devemos plasmar na nossa vida de discípulos. 
A primeira: ir ao essencial. Isto não significa «cortar com tudo» o que não se nos adapta, pois Jesus também não veio revogar a lei, mas levá-la à sua plenitude (cf. Mt 5, 17); trata-se, antes, de caminhar em profundidade rumo ao que conta e tem valor para a vida. Jesus ensina que a relação com Deus não pode ser uma fria aderência a normas e leis, nem o cumprimento de certos atos exteriores que não conduzem a uma mudança real de vida. O nosso discipulado não pode ser motivado simplesmente por um costume, porque dispomos dum certificado de batismo, mas deve partir duma experiência viva de Deus e do seu amor. O discipulado não é algo de estático, mas um movimento contínuo para Cristo; não é simplesmente a aderência à explicitação duma doutrina, mas a experiência da presença amorosa, viva e operante do Senhor, uma aprendizagem permanente através da escuta da sua Palavra. E esta Palavra, como ouvimos, impõe-nos cuidar das necessidades concretas dos nossos irmãos: pode ser a fome de quem vive ao nosso lado (assim o vimos no texto proclamado hoje: cf. Lc 6, 1-5), ou a doença como se vê na narração que Lucas apresenta a seguir. 
A segunda palavra: renovar-se. Como Jesus «instava» com os doutores da lei para que saíssem da sua rigidez, também agora a Igreja é «instada» pelo Espírito para que deixe as suas comodidades e amarras. A renovação não nos deve meter medo. A Igreja está sempre em renovação (Ecclesia semper reformanda). Não se renova como lhe apetece, mas fá-lo «sólida e firme na fé, sem se deixar afastar da esperança do Evangelho que ouviu» (cf. Col 1, 23). A renovação implica sacrifício e coragem, não para nos considerarmos melhores ou impecáveis, mas para respondermos melhor à chamada do Senhor. O Senhor do sábado, a razão de ser de todos os nossos mandamentos e preceitos, convida-nos a ponderar as normas quando está em jogo segui-Lo a Ele; quando as suas chagas abertas, o seu grito de fome e sede de justiça nos interpelam e impõem respostas novas. E, na Colômbia, há tantas situações que reclamam, dos discípulos, o estilo de vida de Jesus, particularmente o amor traduzido em atos de não-violência, de reconciliação e de paz. 
A terceira palavra: envolver-se. Envolver-se, ainda que para alguns isso pareça sujar-se, manchar-se. Como David e os seus homens que entraram no templo porque tinham fome e os discípulos de Jesus entraram na seara e comeram as espigas, também hoje nos é pedido que cresçamos em ousadia, numa coragem evangélica que brota de saber que são muitos os que têm fome, fome de Deus, fome de dignidade, porque dela foram despojados. E, como cristãos, ajudá-los a saciar-se de Deus; não lhes dificultar nem proibir esse encontro. Não podemos ser cristãos que levantam continuamente a bandeira de «Passagem Proibida», nem considerar que esta parcela é minha, apoderando-me de algo que absolutamente não é meu. A Igreja não é nossa, é de Deus; Ele é o dono do templo e da seara; todos têm um lugar, todos são convidados a encontrar, aqui e entre nós, o seu alimento. Somos meros «servidores» (cf. Col 1, 23) e não podemos ser quem dificulta esse encontro. Pelo contrário, Jesus pede-nos como fez aos seus discípulos: «Dai-lhes vós mesmos de comer» (Mt 14, 16); tal é o nosso serviço. Bem compreendeu isto Pedro Claver, que celebramos hoje na Liturgia e, amanhã, venerarei em Cartagena. «Escravo dos negros para sempre»: foi o seu lema de vida, porque compreendeu, como discípulo de Jesus, que não podia ficar indiferente perante o sofrimento dos mais abandonados e ultrajados do seu tempo, mas tinha de fazer algo para o aliviar. 
Irmãos e irmãs, a Igreja na Colômbia é chamada a comprometer-se, com mais ousadia, na formação de discípulos missionários, como foi indicado por nós, Bispos reunidos em Aparecida no ano de 2007. Discípulos que saibam ver, julgar e agir, como propunha aquele documento latinoamericano que nasceu nestas terras (cf. Medellín, 1968). Discípulos missionários que sabem ver sem miopias hereditárias; que examinam a realidade com os olhos e o coração de Jesus, e julgam a partir daí. E que arriscam, atuam, comprometem-se. 
Vim aqui precisamente para vos confirmar na fé e na esperança do Evangelho: permanecei firmes e livres em Cristo, de tal modo que O espelheis em tudo o que fizerdes; abraçai com todas as vossas forças o seguimento de Jesus, conhecei-O, deixai-vos convocar e instruir por Ele, anunciai-O com grande alegria. 
Peçamos por intercessão da nossa Mãe, Nossa Senhora da Candelária, que nos acompanhe no nosso caminho de discípulos, para que, colocando a nossa vida em Cristo, sejamos simplesmente missionários que levem a todos a luz e a alegria do Evangelho.