mercoledì 30 agosto 2017

A proposito della comunione sulla mano...


Ricevere la comunione sulla mano è un rito dalle radici antichissime, sospeso nel Medioevo e ripreso dopo la riforma liturgica del Concilio Vaticano II come “opzionale” rispetto alla ricezione del Corpo di Cristo direttamente sulle labbra.
Come spiega don Roberto Gulino, docente di Liturgia alla Facoltà teologica dell’Italia centrale, «la storia ci insegna che nei primi secoli era normale, sia in Oriente, sia in Occidente, ricevere il corpo di Cristo durante la celebrazione eucaristica direttamente sulle mani».
Il liturgista dice che sono numerose le fonti che testimoniano questa prassi.
LA LETTERA DI PAPA CORNELIO
Una lettera di papa Cornelio (251-253) che descrive le violenze usate a Roma da Novaziano, scismatico, sui propri adepti al momento della comunione (lettera riportata da Eusebio di Cesarea nella Storia ecclesiastica, VI, 43, 18); il testo spiega come il boccone consacrato venisse ricevuto nelle mani e quindi portato alla bocca dal fedele: “Etenim (Novatianus) oblatione facta, portionem singulis dividens, dum eam tradit, miseros homines, benedictionis loco, jurare cogit, manus suas qui portionem accetti, ambabus suis manibus comprehensas retinens, nec prius dimittens quam jurari ista dixerint, ipsis enim utor illius verbis…”;
LE “INDICAZIONI” DI CIPRIANO
Cipriano, nella sua opera intitolata De lapsis, al capitolo 26, specifica che il fedele riceve il pane eucaristico sul palmo della mano, lo tiene nel palmo chiuso e, una volta tornato al posto, si comunica; chi non segue tale prassi, corre il rischio di essere sacrilego: “…sacrificio a sacerdote celebrato, partem cum ceteris ausus est latenter accipere, sanctum Domini edere et contrectare non potuit, cinerem ferre, se, apertis manibus, invenit…”;
CIRILLO E LA MANO DESTRA
Cirillo di Gerusalemme, nella V Catechesi Mistagogica, descrive precisamente: “Accedendo alla sacra Mensa, non ti presentare con le palme distese e le dita disgiunte; ma collocando la sinistra a guisa di trono sotto la destra che deve raccogliere il Re, e tenendo la destra raccolta e concava, ricevi il Corpo di Cristo, rispondendo: Amen. E dopo aver cautamente santificato i tuoi occhi col contatto del sacro Corpo, mangialo, badando attentamente che nessuna parte di essa vada dispersa; chè, se ne lasciassi perire qualche frammento devi reputare d’aver perduto una parte delle tue stesse membra”;
TEODORO E AGOSTINO
Teodoro di Mopsuestia, nell’Omelia VI, ricorda di porre le mani una sopra l’altra a forma di croce: “…dexteram enim extendit  quisque ad recipiendam oblationem, quae datur; supponit autem ei sinistram…”;
Agostino, all’interno dello scritto Contro la Lettera di Parmeniano, II, 13, indica che il corpo del Signore va ricevuto “coniunctis manibus”;
CESARIO DI ARLES E IL VELO
Cesario di Arles riporta, nel testo della sua Opera, I,  che alle donne non era permesso ricevere l’Eucaristia sulla mano, ma era necessario utilizzare un velo bianco, forse lo stesso con cui si coprivano il capo: “Omnes mulieres quando ad altare veniunt, linteola nitida exhibeant, in quibus sacramenta Christi accipiant; et bene et juste faciunt…”.
SULLE LABBRA E IN GINOCCHIO
Questo uso di ricevere la comunione sulle mani, evidenzia don Roberto, «è attestato fin verso il IX secolo (l’Ordo Romanus IX, al numero 11, ne riporta ancora l’indicazione rubricale) quando gradualmente si giunge a ricevere la comunione sulle labbra, ed in ginocchio, per sottolineare la grandezza (e la realtà!) della presenza sacramentale del Signore nell’Eucaristia in un periodo in cui, sia per la scarsa preparazione teologica del clero, sia per la mancata conoscenza del latino nei fedeli, si formano numerose questioni sull’effettiva presenza reale nel Santissimo Sacramento».
In realtà la storia della liturgia testimonia come sin la tendenza a restringere sempre più la distribuzione della Comunione sulla mano e a favorire quella sulla lingua nasca all’epoca dei Padri della Chiesa, per evitare al massimo la dispersione dei frammenti eucaristici e favorire la crescita della devozione dei fedeli.
LA RIFORMA LITURGICA DEL VATICANO II
In seguito alla riforma liturgica del Concilio Vaticano II, attraverso l’Istruzione Memoriale Domini promulgata dalla S. Congregazione per il culto Divino il 29 maggio 1969, la Chiesa ha lasciato alle singole Conferenze Episcopali la possibilità di richiedere la facoltà di introdurre l’uso di ricevere la Comunione sulla mano.
In Italia tale prassi è stata richiesta dalla Conferenza Episcopale nel maggio 1989 ed è entrata in vigore il 3 dicembre dello stesso anno. Il testo dell’Istruzione sulla Comunione eucaristica, datato 19 luglio 1989, circa la modalità di questo ulteriore modo di ricevere l’ostia consacrata spiega: «Particolarmente appropriato appare oggi l’uso di accedere processionalmente all’altare ricevendo in piedi, con un gesto di riverenza, le specie eucaristiche, professando con l’Amen la fede nella presenza sacramentale di Cristo. Accanto all’uso della comunione sulla lingua, la Chiesa permette di dare l’eucaristia deponendola sulla mano dei fedeli protese entrambe verso il ministro, (la sinistra sopra la destra), ad accogliere con riverenza e rispetto il corpo di Cristo. I fedeli sono liberi di scegliere tra i due modi ammessi. Chi la riceve sulle mani la porterà alla bocca davanti al ministro o appena spostandosi di lato per consentire al fedele che segue di avanzare. Se la comunione viene data per intenzione, sarà consentita soltanto nel primo modo» (n° 14-15).

1° settembre Giornata di preghiera per la cura del creato: Messaggio congiunto di Francesco e Bartolomeo


Sala stampa della Santa Sede



Oggi, durante l'Udienza generale, il Santo Padre Francesco ha fatto questo annuncio:


Dopodomani, 1° settembre, ricorrerà la Giornata di preghiera per la cura del creato. In questa occasione, io e il caro fratello Bartolomeo, Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, abbiamo preparato insieme un Messaggio. In esso invitiamo tutti ad assumere un atteggiamento rispettoso e responsabile verso il creato. Facciamo inoltre appello, a quanti occupano ruoli influenti, ad ascoltare il grido della terra e il grido dei poveri, che più soffrono per gli squilibri ecologici.

L'Udienza generale di Papa Francesco. "Si diventa predicatori di Gesù...



"Sognare un mondo diverso. E se un sogno si spegne, tornare a sognarlo di nuovo, attingendo con speranza alla memoria delle origini." 

***


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi vorrei ritornare su un tema importante: il rapporto tra la speranza e la memoria, con particolare riferimento alla memoria della vocazione. E prendo come icona la chiamata dei primi discepoli di Gesù. Nella loro memoria rimase talmente impressa questa esperienza, che qualcuno ne registrò perfino l’ora: «Erano circa le quattro del pomeriggio» (Gv 1,39). L’evangelista Giovanni racconta l’episodio come un nitido ricordo di gioventù, rimasto intatto nella sua memoria di anziano: perché Giovanni scrisse queste cose quando era già anziano.L’incontro era avvenuto vicino al fiume Giordano, dove Giovanni Battista battezzava; e quei giovani galilei avevano scelto il Battista come guida spirituale. Un giorno venne Gesù, e si fece battezzare nel fiume. Il giorno seguente passò di nuovo, e allora il Battezzatore – cioè, Giovanni il Battista – disse a due dei suoi discepoli: «Ecco l’agnello di Dio!» (v. 36).
E per quei due è la “scintilla”. Lasciano il loro primo maestro e si mettono alla sequela di Gesù. Sul cammino, Lui si gira verso di loro e pone la domanda decisiva: «Che cosa cercate?» (v.
BOLLETTINO N. 0540 - 30.08.2017 2
38). Gesù appare nei Vangeli come un esperto del cuore umano. In quel momento aveva incontrato due giovani in ricerca, sanamente inquieti. In effetti, che giovinezza è una giovinezza soddisfatta, senza una domanda di senso? I giovani che non cercano nulla non sono giovani, sono in pensione, sono invecchiati prima del tempo. E’ triste vedere giovani in pensione … E Gesù, attraverso tutto il Vangelo, in tutti gli incontri che gli capitano lungo la strada, appare come un “incendiario” dei cuori. Da qui quella sua domanda che cerca di far emergere il desiderio di vita e di felicità che ogni giovane si porta dentro: “che cosa cerchi?”. Anche io vorrei oggi domandare ai giovani che sono qui in piazza e a quelli che ascoltano per i media: “Tu, che sei giovane, che cosa cerchi? Che cosa cerchi nel tuo cuore?”.
La vocazione di Giovanni e di Andrea parte così: è l’inizio di un’amicizia con Gesù talmente forte da imporre una comunanza di vita e di passioni con Lui. I due discepoli cominciano a stare con Gesù e subito si trasformano in missionari, perché quando finisce l’incontro non tornano a casa tranquilli: tant’è vero che i loro rispettivi fratelli – Simone e Giacomo – vengono presto coinvolti nella sequela. Sono andati da loro e hanno detto: “Abbiamo trovato il Messia, abbiamo trovato un grande profeta”: danno la notizia. Sono missionari di quell’incontro. Fu un incontro così toccante, così felice che i discepoli ricorderanno per sempre quel giorno che illuminò e orientò la loro giovinezza.
Come si scopre la propria vocazione in questo mondo? La si può scoprire in tanti modi, ma questa pagina di Vangelo ci dice che il primo indicatore è la gioia dell’incontro con Gesù. Matrimonio, vita consacrata, sacerdozio: ogni vocazione vera inizia con un incontro con Gesù che ci dona una gioia e una speranza nuova; e ci conduce, anche attraverso prove e difficoltà, a un incontro sempre più pieno, cresce, quell’incontro, più grande, l’incontro con Lui e alla pienezza della gioia.
Il Signore non vuole uomini e donne che camminano dietro a Lui di malavoglia, senza avere nel cuore il vento della letizia. Voi, che siete in piazza, vi domando – ognuno risponda a se stesso - voi avete nel cuore il vento della letizia? Ognuno si chieda: “Io ho dentro di me, nel cuore, il vento della letizia?”. Gesù vuole persone che hanno sperimentato che stare con Lui dona una felicità immensa, che si può rinnovare ogni giorno della vita. Un discepolo del Regno di Dio che non sia gioioso non evangelizza questo mondo, è uno triste. Si diventa predicatori di Gesù non affinando le armi della retorica: tu puoi parlare, parlare, parlare ma se non c’è un’altra cosa … Come si diventa predicatori di Gesù? Custodendo negli occhi il luccichio della vera felicità. Vediamo tanti cristiani, anche tra noi, che con gli occhi ti trasmettono la gioia della fede: con gli occhi!
Per questo motivo il cristiano – come la Vergine Maria – custodisce la fiamma del suo innamoramento: innamorati di Gesù. Certo, ci sono prove nella vita, ci sono momenti in cui bisogna andare avanti nonostante il freddo e i venti contrari, nonostante tante amarezze. Però i cristiani conoscono la strada che conduce a quel sacro fuoco che li ha accesi una volta per sempre.
Ma per favore, mi raccomando: non diamo retta alle persone deluse e infelici; non ascoltiamo chi raccomanda cinicamente di non coltivare speranze nella vita; non fidiamoci di chi spegne sul nascere ogni entusiasmo dicendo che nessuna impresa vale il sacrificio di tutta una vita; non ascoltiamo i “vecchi” di cuore che soffocano l’euforia giovanile. Andiamo dai vecchi che hanno gli occhi brillanti di speranza! Coltiviamo invece sane utopie: Dio ci vuole capaci di sognare come Lui e con Lui, mentre camminiamo ben attenti alla realtà. Sognare un mondo diverso. E se un sogno si spegne, tornare a sognarlo di nuovo, attingendo con speranza alla memoria delle origini, a quelle braci che, forse dopo una vita non tanto buona, sono nascoste sotto le ceneri del primo incontro con Gesù.
Ecco dunque una dinamica fondamentale della vita cristiana: ricordarsi di Gesù. Paolo diceva al suo discepolo: «Ricordati di Gesù Cristo» (2Tm 2,8); questo il consiglio del grande San Paolo: «Ricordati di Gesù Cristo». Ricordarsi di Gesù, del fuoco d’amore con cui un giorno abbiamo concepito. la nostra vita come un progetto di bene, e ravvivare con questa fiamma la nostra speranza. Grazie.


***

I saluti del Santo Padre ai fedeli e pellegrini di lingua italiana

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto le Suore della Presentazione di Maria che partecipano al loro Capitolo generale, i Seminaristi di Milano, i cresimandi di Verona e quelli di Lucca accompagnati dal loro Arcivescovo. Saluto gli Scout AGESCI delle Marche con il Cardinale Edoardo Menichelli, i profughi ospiti della diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza, che hanno ricevuto nei giorni scorsi il Battesimo e qui convenuti con il Vescovo Mons. Stefano Manetti, l’Associazione Vittime del “Forteto” con il Cardinale Giuseppe Betori, e i dipendenti della Società Vodafon Italia.
Cari fratelli e sorelle, auguro a tutti che la vostra visita alle tombe degli Apostoli vi rinsaldi nell’adesione a Cristo e vi renda suoi testimoni nelle famiglie, nelle comunità ecclesiali e nella società civile. Saluto infine i giovani, i malati e gli sposi novelli. Cari giovani, tornando dopo le vacanze alle consuete attività, sappiate trovare ogni giorno il tempo per il vostro dialogo con Dio e diffondete attorno a voi la sua luce e la sua pace. Voi, cari malati, trovate conforto nel Signore Gesù, che continua la sua opera di redenzione nella vita di ogni uomo. E voi, cari sposi novelli, imparate a pregare insieme, nell’intimità domestica, affinché il vostro amore sia sempre più vero, fecondo e duraturo

martedì 29 agosto 2017

Riforma liturgica post-Concilio, un dono da vivere

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http://www.lastampa.it/2017/08/28/vaticaninsider/ita
TRIESTE

Una parola chiara sul valore della Riforma liturgica sentita da lontano (San Pio X, Pio XII), auspicata dai Padri Conciliari e attuata da Paolo VI, l’ha detta Papa Francesco nell’udienza ai partecipanti della Settimana Liturgica Nazionale il 24 agosto 2017. La necessità che la liturgia fosse un’opportunità per il Popolo di Dio nell’esprimere l’adorazione, la lode e la supplica a Dio nella lingua corrente, fu già auspicata da un pastore e cultore dell’antica liturgia, come il Beato cardinale Schüster e dallo stesso Papa Pio XII che, oltre alle riforme della Settimana Santa, aveva provveduto ad inserire nel Rituale la lingua corrente.  

Vi erano poi sacerdoti e laici che seguivano con interesse il “movimento liturgico” e si era diffuso in molte parrocchie la “Messa dialogata” con la lettura del Vangelo in lingua parlata con commenti e canti, non solo in latino. Papa Giovanni XXIII fece il primo “aggiornamento” della Messa che poi si perfezionò dopo la costituzione Sacrosanctum Concilium con la costituzione apostolica Missale Romanum di Paolo VI, datata 3 aprile (Giovedì santo) 1969 ed entrata in vigore per tutta la Chiesa latina la prima Domenica di Avvento, il 30 novembre dello stesso anno. 

La costituzione apostolica Missale Romanum inizia proprio citando la Riforma della celebrazione della Messa, promulgata nel 1570 da S. Pio V «per ordine del Concilio di Trento» [1] che ha soppresso sia il Messale del 1474 che i modi di celebrare in vigore in diverse Chiese o regioni che non avessero una significativa vetustità. Rimase il rito della Chiesa Ambrosiana, il Mozarabico a Toledo, venne soppresso il rito vetusto Aquileiese, vennero lasciate in essere certe particolarità del Rituale della diocesi di Ratisbona. 

Paolo VI in questo documento assicura che la «revisione del Messale Romano non è stata improvvisata: le hanno aperta la via i progressi che la scienza liturgica ha compiuto negli ultimi quattro secoli» [2], ma anche l’esplicito volere del Concilio Vaticano II quando afferma: «L'ordinamento rituale della Messa sia riveduto in modo che appaia più chiaramente la natura specifica delle singole parti e la loro mutua connessione, e sia resa più facile la partecipazione pia e attiva dei fedeli» [3] ed inoltre perché «la mensa della parola di Dio sia preparata ai fedeli con maggiore abbondanza» [4] ed infine perché «venga redatto un nuovo rito della concelebrazione da inserirsi nel pontificale e nel Messale romano» [5]. 

Proprio nello spirito ecumenico, senza nulla togliere alla Tradizione latina, l’Ordinario della Messa venne arricchito di altre Eulogie, oltre al Canone Romano, come previso nella Chiese d’Oriente, sia Cattoliche che Ortodosse. Paolo VI ci tiene a sottolineare che «le norme liturgiche del Concilio di Trento sono state, dunque su molti punti, completate e integrate dalle norme del Concilio Vaticano II; il Concilio ha così condotto a termine gli sforzi fatti per accostare i fedeli alla liturgia, sforzi condotti per quattro secoli e con più intensità in un’epoca recente, grazie soprattutto allo zelo liturgico promosso da S. Pio X e dai suoi successori» [6]. 

Queste, in breve, le motivazioni della Riforma liturgica atte a sottolineare la dinamica attualità del mistero di Cristo con la «ripresentazione» [7] dei frutti della passione, morte, resurrezione e ascensione di Cristo, unico Redentore e Salvatore dell’umanità nel rapporto con Dio. La celebrazione eucaristica è sacramento e mistero che si esprime nella confessione di un popolo peccatore e santo, che si abbevera alla Parola di Dio, si conforta nella comune professione di fede, si nutre della reale presenza del Corpo e sangue di Cristo, cioè del suo essersi offerto una volta per tutte, e parte da quel mistico incontro per essere sale e luce di evangelizzazione e di umana attenzione che, con Cristo, in Cristo e per Cristo, diviene carità e speranza per il mondo. Senza eucarestia non c’è Chiesa e senza Chiesa non c’è Eucarestia.  

La Riforma liturgica del Concilio Vaticano II aveva davanti a sé questa prospettiva che in molta parte si è realizzata, grazie a quelle Chiese e Comunità che ne hanno accolto lo spirito ed il metodo senza aperturismi banalizzanti o integralismi museali. La Riforma liturgica del Concilio Vaticano II è stata un grande dono che ha reso il Popolo di Dio maggiormente partecipe dell’azione liturgica necessariamente presieduta dal ministro ordinato, ma celebrata da tutta l’assemblea orante.  

Se, come afferma Papa Francesco, i «libri liturgici promulgati dal Beato Paolo VI (sono stati) ben accolti dagli stessi Vescovi che furono presenti al Concilio» [8] vi fu sempre una “fronda” che cercò in vari modi di screditare la bontà e l’ortodossia di questa Riforma e questo modo “aggiornato” di pregare senza alterare l’essenza sacramentale e tradire la Tradizione. Infatti, sottolinea Papa Francesco, con la Riforma liturgica del Concilio Vaticano II, «si tratta di esprimere in maniera rinnovata la perenne vitalità della Chiesa in preghiera» [9], avendo premura che «i fedeli non assistano come estranei e muti spettatori a questo mistero di fede, ma comprendendolo bene per mezzo dei riti e delle preghiere, partecipino all’azione sacra, consapevolmente, piamente, attivamente» [10]. 

La Riforma liturgica post-conciliare, pur non avendo ancora cinquant’anni, molti frutti ha già portato, come auspicava il Movimento liturgico. Certo vi è ancora da lavorare «in particolare riscoprendo i motivi delle decisioni compiute… superando letture infondate e superficiali, ricezioni parziali e prassi che la sfigurano. Non si tratta – afferma Papa Francesco- di ripensare la Riforma rivedendone le scelte (altare verso il popolo, comunione sulla mano, preghiera dei fedeli, scambio della pace, pluralità delle Eulogie, lingua parlata ecc., ndr) quanto di conoscerne meglio le ragioni sottese, anche tramite la documentazione storica, come di interiorizzarne i principi ispiratori e di osservare la disciplina che la regola» [11].  

Papa Francesco ci tiene a sottolineare anche che «per sua natura la liturgia è infatti “popolare” e non clericale, essendo (…) un’azione per il popolo, ma anche del popolo. (…) La portata “popolare” della liturgia ci ricorda che essa è inclusiva e non esclusiva, fautrice di comunione con tutti senza tuttavia omologare, poiché chiama ciascuno, con la sua vocazione e originalità, a contribuire nell’edificare il corpo di Cristo: L’Eucaristia non è un sacramento “per me”, è il sacramento di molti che formano un solo corpo, il santo popolo fedele di Dio. Non dobbiamo dimenticare –dice Papa Francesco- che è anzitutto la liturgia ad esprimere la pietas di tutto il popolo di Dio, prolungata poi da pii esercizi e devozioni che conosciamo con il nome di pietà popolare» [12]. 

Sappiano le Comunità cristiane vivere in modo riconoscente e responsabile questo prezioso tesoro che lo Spirito ha suggerito ai maestri della fede radunati in Concilio. Giustamente S. Giovanni Paolo II disse ai giovani francesi in occasione dell’anniversario dell’accoglienza della fede cristiana di quel Popolo: La Chiesa che offre i mezzi della salvezza efficaci a me, non è la Chiesa di ieri o di domani, ma la Chiesa di oggi. 
   
* Vicario episcopale per il laicato e la cultura della Diocesi di Trieste 



NOTE    
[1] Concilio Tridentino, Sessione XXII 
[2] Paolo VI, cost. ap. Missale Romanum 
[3] Concilio Vaticano II, cost lit Sacrosanctum Concilium n.50 
[4] Idem n.51 
[5] Idem n.57 
[6] Paolo VI, cost. ap. Missale Romanum 
[7] Paolo VI, termine da lui coniato e usato nell’enciclica Mysterium fidei 
[8] Francesco, udienza 68esima Settimana Liturgica Nazionale, 24 agosto 2017 
[9] idem 
[10] Concilio Vaticano II, cost lit Sacrosanctum Concilium n.50 
[11] Francesco, udienza 68esima Settimana Liturgica Nazionale, 24 agosto 2017  
[12] idem

"Sapranno i nemici che son regina e che di un Dio la sposa sono!"


“Le mie armi”. 

Una poesia di Santa Teresa di Lisieux

“Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo”. S. Paolo
“La sposa del Re è terribile come un esercito schierato in battaglia, è simile a un coro di musica in un campo di armati”. Cantico dei Cantici

Dell’Onnipotente ho vestito l’armi.
La sua mano s’è degnata ornarmi
e ormai quaggiù nulla m’allarma più.
Dal suo amore chi mi separerà?
Lanciandomi al suo fianco nell’arena,
io né ferro né fuoco temerò.
Sapranno i nemici che son regina
e che di un Dio la sposa sono!
Gesù, sino alla sera della vita
porterò l’armatura che ho indossata 
sotto il tuo amato sguardo; e livrea bella
saranno i miei sacri Voti.
O Povertà, mio primo sacrificio,
ovunque mi seguirai finché io muoia,
perché, lo so, per vincere la gara
l’atleta deve in tutto distaccarsi.
O mondani, provate e pena e scrupolo,
amari frutti dell’orgoglio vostro!
Lieta nell’arena la palma colgo
di santa povertà.
Gesù ha detto: “È con la violenza 
che il regno dei Cieli va conquistato”.
Ecco: la Povertà sarà mia Lancia
e mio glorioso Elmo.
La Castità mi fa sorella agli Angeli,
che son Spiriti puri e vittoriosi.
Volerò fra le loro schiere un giorno,
ma lottar con loro in esilio devo;
devo lottare senza riposo e tregua
per il mio Sposo, Signor dei Signori.
La Castità è la mia celeste Spada
che i cuori a lui può conquistare.
Con essa sono vinti i miei nemici;
io con essa sono – gioia ineffabile! – 
la Sposa di Gesù!
D‘in mezzo alla luce l’altero Angelo
ha gridato: “Io mai obbedirò!”.
Nella notte del mondo io grido invece:
“Sempre io voglio obbedir quaggiù”.
In me un’audacia santa sento nascere,
dell’intero inferno il furore sfido:
l’Obbedienza è la mia Corazza forte
e lo Scudo del mio cuore.
Per me sola gloria, Dio degli Eserciti,
è la volontà in tutto sottomettere,
perché l’Obbediente vittoria canta
tutta l’eternità.
Se ho l’armi potenti del Guerriero
e l’imito gagliarda combattendo
come la Vergine di grazie adorna,
voglio anche combattere e cantare.
Della tua lira fai vibrar le corde,
Gesù; e quella lira è il cuore mio.
Io cantar potrò la dolcezza e forza
delle tue Misericordie.
Io sfido sorridente la mitraglia
e fra le braccia tue, divino Sposo,
cantando morire vorrò sul campo,
con l’Armi in pugno. 

(Traduzione tratta dalle “Opere complete” di una poesia composta da santa Teresina di Gesù Bambino e del Volto Santo il giorno di una professione)

lunedì 21 agosto 2017

Messaggio di papa Francesco per la 104.ma Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato 2018



Di seguito il testo integrale del messaggio di papa Francesco per la 104.ma Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato 2018, che verrà celebrata il 14 gennaio prossimo. Il documento, che porta la data del 15 agosto scorso, Solennità dell’Assunzione della B.V. Maria, è stato reso pubblico oggi, lunedì 21 agosto 2017, dalla Santa Sede.
***
Accogliere, proteggere, promuovere e integrare i migranti e  rifugiati
«Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio» (Lv 19,34).
Durante i miei primi anni di pontificato ho ripetutamente espresso speciale preoccupazione per la triste situazione di tanti migranti e rifugiati che fuggono dalle guerre, dalle persecuzioni, dai disastri naturali e dalla povertà. Si tratta indubbiamente di un “segno dei tempi” che ho cercato di leggere, invocando la luce dello Spirito Santo sin dalla mia visita a Lampedusa l’8 luglio 2013. Nell’istituire il nuovo Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, ho voluto che una sezione speciale, posta ad tempus sotto la mia diretta guida, esprimesse la sollecitudine della Chiesa verso i migranti, gli sfollati, i rifugiati e le vittime della tratta.
Ogni forestiero che bussa alla nostra porta è un’occasione di incontro con Gesù Cristo, il quale si identifica con lo straniero accolto o rifiutato di ogni epoca (cfr Mt 25,35.43). Il Signore affida all’amore materno della Chiesa ogni essere umano costretto a lasciare la propria patria alla ricerca di un futuro migliore.[1] Tale sollecitudine deve esprimersi concretamente in ogni tappa dell’esperienza migratoria: dalla partenza al viaggio, dall’arrivo al ritorno. E’ una grande responsabilità che la Chiesa intende condividere con tutti i credenti e gli uomini e le donne di buona volontà, i quali sono chiamati a rispondere alle numerose sfide poste dalle migrazioni contemporanee con generosità, alacrità, saggezza e lungimiranza, ciascuno secondo le proprie possibilità.
Al riguardo, desidero riaffermare che «la nostra comune risposta si potrebbe articolare attorno a quattro verbi fondati sui principi della dottrina della Chiesa: accogliere, proteggere, promuovere e integrare».[2]
Considerando lo scenario attuale, accogliere significa innanzitutto offrire a migranti e rifugiati possibilità più ampie di ingresso sicuro e legale nei paesi di destinazione. In tal senso, è desiderabile un impegno concreto affinché sia incrementata e semplificata la concessione di visti umanitari e per il ricongiungimento familiare. Allo stesso tempo, auspico che un numero maggiore di paesi adottino programmi di sponsorship privata e comunitaria e aprano corridoi umanitari per i rifugiati più vulnerabili. Sarebbe opportuno, inoltre, prevedere visti temporanei speciali per le persone che scappano dai conflitti nei paesi confinanti. Non sono una idonea soluzione le espulsioni collettive e arbitrarie di migranti e rifugiati, soprattutto quando esse vengono eseguite verso paesi che non possono garantire il rispetto della dignità e dei diritti fondamentali.[3] Torno a sottolineare l’importanza di offrire a migranti e rifugiati una prima sistemazione adeguata e decorosa. «I programmi di accoglienza diffusa, già avviati in diverse località, sembrano invece facilitare l’incontro personale, permettere una migliore qualità dei servizi e offrire maggiori garanzie di successo».[4] Il principio della centralità della persona umana, fermamente affermato dal mio amato predecessore Benedetto XVI,[5] ci obbliga ad anteporre sempre la sicurezza personale a quella nazionale. Di conseguenza, è necessario formare adeguatamente il personale preposto ai controlli di frontiera. Le condizioni di migranti, richiedenti asilo e rifugiati, postulano che vengano loro garantiti la sicurezza personale e l’accesso ai servizi di base. In nome della dignità fondamentale di ogni persona, occorre sforzarsi di preferire soluzioni alternative alla detenzione per coloro che entrano nel territorio nazionale senza essere autorizzati.[6]
Il secondo verbo, proteggere, si declina in tutta una serie di azioni in difesa dei diritti e della dignità dei migranti e dei rifugiati, indipendentemente dal loro status migratorio.[7]Tale protezione comincia in patria e consiste nell’offerta di informazioni certe e certificate prima della partenza e nella loro salvaguardia dalle pratiche di reclutamento illegale.[8]Essa andrebbe continuata, per quanto possibile, in terra d’immigrazione, assicurando ai migranti un’adeguata assistenza consolare, il diritto di conservare sempre con sé i documenti di identità personale, un equo accesso alla giustizia, la possibilità di aprire conti bancari personali e la garanzia di una minima sussistenza vitale. Se opportunamente riconosciute e valorizzate, le capacità e le competenze dei migranti, richiedenti asilo e rifugiati, rappresentano una vera risorsa per le comunità che li accolgono.[9] Per questo auspico che, nel rispetto della loro dignità, vengano loro concessi la libertà di movimento nel paese d’accoglienza, la possibilità di lavorare e l’accesso ai mezzi di telecomunicazione. Per coloro che decidono di tornare in patria, sottolineo l’opportunità di sviluppare programmi di reintegrazione lavorativa e sociale. La Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo offre una base giuridica universale per la protezione dei minori migranti. Ad essi occorre evitare ogni forma di detenzione in ragione del loro status migratorio, mentre va assicurato l’accesso regolare all’istruzione primaria e secondaria. Parimenti è necessario garantire la permanenza regolare al compimento della maggiore età e la possibilità di continuare degli studi. Per i minori non accompagnati o separati dalla loro famiglia è importante prevedere programmi di custodia temporanea o affidamento.[10] Nel rispetto del diritto universale ad una nazionalità, questa va riconosciuta e opportunamente certificata a tutti i bambini e le bambine al momento della nascita. La apolidia in cui talvolta vengono a trovarsi migranti e rifugiati può essere facilmente evitata attraverso «una legislazione sulla cittadinanza conforme ai principi fondamentali del diritto internazionale».[11] Lo status migratorio non dovrebbe limitare l’accesso all’assistenza sanitaria nazionale e ai sistemi pensionistici, come pure al trasferimento dei loro contributi nel caso di rimpatrio.
Promuovere vuol dire essenzialmente adoperarsi affinché tutti i migranti e i rifugiati così come le comunità che li accolgono siano messi in condizione di realizzarsi come persone in tutte le dimensioni che compongono l’umanità voluta dal Creatore.[12]Tra queste dimensioni va riconosciuto il giusto valore alla dimensione religiosa, garantendo a tutti gli stranieri presenti sul territorio la libertà di professione e pratica religiosa. Molti migranti e rifugiati hanno competenze che vanno adeguatamente certificate e valorizzate. Siccome «il lavoro umano per sua natura è destinato ad unire i popoli»,[13] incoraggio a prodigarsi affinché venga promosso l’inserimento socio-lavorativo dei migranti e rifugiati, garantendo a tutti – compresi i richiedenti asilo – la possibilità di lavorare, percorsi formativi linguistici e di cittadinanza attiva e un’informazione adeguata nelle loro lingue originali. Nel caso di minori migranti, il loro coinvolgimento in attività lavorative richiede di essere regolamentato in modo da prevenire abusi e minacce alla loro normale crescita. Nel 2006 Benedetto XVI sottolineava come nel contesto migratorio la famiglia sia «luogo e risorsa della cultura della vita e fattore di integrazione di valori».[14] La sua integrità va sempre promossa, favorendo il ricongiungimento familiare – con l’inclusione di nonni, fratelli e nipoti –, senza mai farlo dipendere da requisiti economici. Nei confronti di migranti, richiedenti asilo e rifugiati in situazioni di disabilità, vanno assicurate maggiori attenzioni e supporti. Pur considerando encomiabili gli sforzi fin qui profusi da molti paesi in termini di cooperazione internazionale e assistenza umanitaria, auspico che nella distribuzione di tali aiuti si considerino i bisogni (ad esempio l’assistenza medica e sociale e l’educazione) dei paesi in via di sviluppo che ricevono ingenti flussi di rifugiati e migranti e, parimenti, si includano tra i destinatari le comunità locali in situazione di deprivazione materiale e vulnerabilità.[15]
L’ultimo verbo, integrare, si pone sul piano delle opportunità di arricchimento interculturale generate dalla presenza di migranti e rifugiati. L’integrazione non è «un’assimilazione, che induce a sopprimere o a dimenticare la propria identità culturale. Il contatto con l’altro porta piuttosto a scoprirne il “segreto”, ad aprirsi a lui per accoglierne gli aspetti validi e contribuire così ad una maggior conoscenza reciproca. È un processo prolungato che mira a formare società e culture, rendendole sempre più riflesso dei multiformi doni di Dio agli uomini».[16] Tale processo può essere accelerato attraverso l’offerta di cittadinanza slegata da requisiti economici e linguistici e di percorsi di regolarizzazione straordinaria per migranti che possano vantare una lunga permanenza nel paese. Insisto ancora sulla necessità di favorire in ogni modo la cultura dell’incontro, moltiplicando le opportunità di scambio interculturale, documentando e diffondendo le buone pratiche di integrazione e sviluppando programmi tesi a preparare le comunità locali ai processi integrativi. Mi preme sottolineare il caso speciale degli stranieri costretti ad abbandonare il paese di immigrazione a causa di crisi umanitarie. Queste persone richiedono che venga loro assicurata un’assistenza adeguata per il rimpatrio e programmi di reintegrazione lavorativa in patria.
In conformità con la sua tradizione pastorale, la Chiesa è disponibile ad impegnarsi in prima persona per realizzare tutte le iniziative sopra proposte, ma per ottenere i risultati sperati è indispensabile il contributo della comunità politica e della società civile, ciascuno secondo le responsabilità proprie.
Durante il Vertice delle Nazioni Unite, celebrato a New York il 19 settembre 2016, i leadermondiali hanno chiaramente espresso la loro volontà di prodigarsi a favore dei migranti e dei rifugiati per salvare le loro vite e proteggere i loro diritti, condividendo tale responsabilità a livello globale. A tal fine, gli Stati si sono impegnati a redigere ed approvare entro la fine del 2018 due patti globali (Global Compacts), uno dedicato ai rifugiati e uno riguardante i migranti.
Cari fratelli e sorelle, alla luce di questi processi avviati, i prossimi mesi rappresentano un’opportunità privilegiata per presentare e sostenere le azioni concrete nelle quali ho voluto declinare i quattro verbi. Vi invito, quindi, ad approfittare di ogni occasione per condividere questo messaggio con tutti gli attori politici e sociali che sono coinvolti – o interessati a partecipare – al processo che porterà all’approvazione dei due patti globali.
Oggi, 15 agosto, celebriamo la solennità dell’Assunzione di Maria Santissima in Cielo. La Madre di Dio sperimentò su di sé la durezza dell’esilio (cfr Mt 2,13-15), accompagnò amorosamente l’itineranza del Figlio fino al Calvario e ora ne condivide eternamente la gloria. Alla sua materna intercessione affidiamo le speranze di tutti i migranti e i rifugiati del mondo e gli aneliti delle comunità che li accolgono, affinché, in conformità al sommo comandamento divino, impariamo tutti ad amare l’altro, lo straniero, come noi stessi.
Dal Vaticano, 15 agosto 2017
Solennità dell’Assunzione della B.V. Maria
FRANCESCO
*
NOTE
[1] Cfr Pio XII, Cost. Ap. Exsul Familia, Tit. I, I.
[2]
 Discorso ai partecipanti al Forum Internazionale “Migrazioni e pace”, 21 febbraio 2017

3] Cfr Intervento dell’Osservatore permanente della Santa Sede alla 103ª Sessione del Consiglio dell’OIM, 26 novembre 2013.
[4]
 Discorso ai partecipanti al Forum Internazionale “Migrazioni e pace”
5]
 Cfr Benedetto XVI, Lett. Enc. Caritas in veritate, 47.
[6]
 Cfr Intervento dell’Osservatore Permanente della Santa Sede alla XX Sessione del Consiglio dei Diritti Umani, 22 giugno 2012.
[7]
 Cfr Benedetto XVI, Lett. Enc. Caritas in veritate, 62.
[8]
 Cfr Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti e degli Itineranti, Istr. Erga migrantes caritas Christi, 6.
[9]
 Cfr Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al VI Congresso Mondiale per la pastorale dei Migranti e dei Rifugiati, 9 novembre 2009.
[10]
 Cfr Id., Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e Rifugiato (2010); Osservatore Permanente della Santa Sede, Intervento alla XXVI Sessione Ordinaria del Consiglio per i Diritti dell’Uomo sui diritti umani dei migranti, 13 giugno 2014.
[11]
 Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti e gli Itineranti e Pontificio Consiglio Cor UnumAccogliere Cristo nei rifugiati e nelle persone forzosamente sradicate, 2013, 70.
[12]
 Cfr Paolo VI, Lett. Enc. Populorum progressio, 14.
[13]
 Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Centesimus annus, 27.
[14]
 Benedetto XVI, Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2007.
[15]
 Cfr Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti e gli Itineranti e Pontificio Consiglio Cor UnumAccogliere Cristo nei rifugiati e nelle persone forzosamente sradicate, 2013, 30-31.
[16]
 Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2005, 24 novembre 2004

sabato 19 agosto 2017

Camino neocatecumenal 1989 (video reportaje)

Canti come una profezia per la Chiesa di oggi

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Le canzoni di Chieffo, profezia per la Chiesa di oggi
di Luigi Negri*


Il 19 agosto del 2007, all’età di 62 anni, moriva Claudio Chieffo, l’indimenticato cantautore che – dal momento dell’incontro con Gioventù Studentesca di don Luigi Giussani all’inizio degli anni ’60 - ha composto oltre cento canzoni che sono diventate patrimonio di tutto il mondo cattolico. Molte di queste sono anche comunemente usate nella liturgia. A dieci anni dalla morte vogliamo ricordarlo con monsignor Luigi Negri, a cui era legato da una lunga e profonda amicizia. 
Carissimo amico, 
In questa continua presenza di te, che è uno dei grandi conforti della mia esistenza, sono due le frasi profetiche delle tue canzoni che si rinnovano e si approfondiscono ogni giorno di più.
La prima è quella indimenticabile visione del «popolo che canta la sua liberazione». Il popolo non canta i suoi successi, i suoi progetti, le sue strategie, i suoi sentimenti, i suoi risentimenti, che avviliscono l’esistenza umana in tutti i suoi aspetti. Il popolo canta il miracolo del Signore che fa di noi una umanità nuova, ci lega a Sé e in questo stretto legame a Lui nasce quello che già l’antico scrittore pagano Plinio ricordava al suo imperatore: una «entità etnica sui generis», frase poi ripresa dal beato Paolo VI in uno straordinario intervento nell’udienza generale del 28 giugno 1972. 
Noi siamo il popolo del Signore. Questo non cancella i limiti, le fatiche, i dolori, le tensioni; ma la radice della nostra esistenza è quella per cui ci alziamo ogni giorno - come ci ricordava don Giussani -, ci diamo da fare tutta la giornata, amiamo i nostri fratelli, ci sentiamo spinti dentro il nostro cuore dal desiderio di comunicare Cristo a tutti quelli che ci sono accanto. Tutto questo non è un mondo strano, è il mondo di Dio cui siamo chiamati a partecipare. 
Tu l’hai cantato questo popolo di Dio con toni indimenticabili, e fino agli ultimi giorni della tua vita - segnata così duramente dalla malattia - hai portato nel mondo la letizia di una vita rinnovata che si approfondisce ogni giorno. E nell’approfondirsi tende irresistibilmente a diventare fattore di comunicazione agli uomini, nella certezza che soltanto in questa comunicazione, che è missione - la grande parola di Giussani che tu hai ripreso infinite volte nei canti –, l’uomo di questo tempo, come di ogni tempo, può trovare la rivelazione definitiva della sua umanità.
È una novità che vince ogni giorno il male, che supera ogni giorno la meschinità, che restituisce ogni giorno alla nostra vita le dimensioni della fede, della speranza, della carità in cui diventa esperienza la vita divina che ci è stata concessa in dono dal momento del nostro Battesimo.
L’altra grande frase è: “I nemici di un tempo tornano vincitori” (dalla canzone “La guerra”, ndr). Io sono lungi dal giudicare la vita della Chiesa, della cristianità, in cui ci sono tanti fattori di novità e tanti fattori di crisi. So soltanto che inaspettatamente e imprevedibilmente sono tornati ad essere in posizione preminente e prevalente nella vita della cristianità coloro che per anni avevano contestato silenziosamente – e quindi anche ipocritamente - la grande novità del magistero di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, il magistero che ridava alla Chiesa il suo protagonismo nella storia, la sua inevitabile responsabilità di aprire ogni giorno il dialogo fra Cristo e il cuore dell’uomo. Contestavano silenziosamente come se si trattasse di un integralismo, di una incapacità di distinguere i piani, di una incapacità di rispettare la coscienza degli altri. Oggi c’è un settore della cristianità che è ritornato a prima di Giovanni Paolo II, quindi a tutte le incertezze, le fatiche della interpretazione autentica e corretta del Concilio in cui tensioni ed esagerazioni sono state perpetrate accanto ad altri tentativi positivi. 
Oggi c’è un settore della cristianità che ripropone la presenza cristiana non come una presenza che investe il mondo della certezza della fede, nel limpido giudizio che Cristo e solo Cristo è il senso del cosmo e della storia; ma una presenza che si schiera accanto al mondo, su cui non propone nessun giudizio assumendo soltanto delle iniziative caritative e sociali. E questo, per chi ha vissuto la grande stagione di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI è certamente un sacrificio. È il sacrificio che offro ogni giorno al Signore per la conversione del mio cuore, per il bene della Chiesa e dell’umanità.
* Arcivescovo emerito di Ferrara-Comacchio

XX Domenica del Tempo Ordinario – 20 agosto 2017. Monizione ambientale e commento al Vangelo.

XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIOAnno A

 
Sale della terra e luce del mondo
Dalle «Omelie sul vangelo di Matteo» di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Om. 15, 6. 7; PG 57, 231-232)

«Voi siete il sale della terra» (Mt 5, 13). Vi viene affidato il ministero della parola, dice il Cristo, non per voi, ma per il mondo intero. Non vi mando a due, o dieci, o venti città o a un popolo in particolare, come al tempo dei profeti, ma vi invio alla terra, al mare, al mondo intero, a questo mondo così corrotto. Dicendo infatti: «Voi siete il sale della terra», fa capire che l'uomo è snaturato e corrotto dai peccati. Per questo esige dai suoi quelle virtù che sono maggiormente necessarie e utili per salvare gli altri. Un uomo mite, umile, misericordioso e giusto non tiene nascoste in sé simili virtù, ma fa sì che queste ottime sorgenti scaturiscano a vantaggio degli altri. E chi ha un cuore puro, amante della pace e soffre per la verità, dedica la sua vita per il bene di tutti.
Non crediate, sembra dire, di essere chiamati a piccole lotte e a compiere imprese da poco. No. Voi siete «il sale della terra». A che cosa li portò questa prerogativa? Forse a risanare ciò che era diventato marcio? No, certo. Il sale non salva ciò che è putrefatto. Gli apostoli non hanno fatto questo. Ma prima Dio rinnovava i cuori e li liberava dalla corruzione, poi li affidava agli apostoli, allora essi diventavano veramente «il sale della terra» mantenendo e conservando gli uomini nella nuova vita ricevuta dal Signore. E' opera di Cristo liberare gli uomini dalla corruzione del peccato, ma impedire di ricadere nel precedente stato di miseria spetta alla sollecitudine e agli sforzi degli apostoli.
Vedete poi come egli mostra che essi sono migliori dei profeti. Non dice che sono maestri della sola Palestina, ma di tutto il mondo. Non stupitevi, quindi, sembra continuare Gesù, se la mia attenzione si fissa di preferenza su di voi e se vi chiamo ad affrontare difficoltà così gravi. Considerate quali e quante sono le città, i popoli e le genti a cui sto per inviarvi. Perciò voglio che non vi limitiate a essere santi per voi stessi, ma che facciate gli altri simili a voi. Senza di ciò non basterete neppure a voi stessi.
Agli altri, che sono nell'errore, sarà possibile la conversione per mezzo vostro; ma se cadrete voi, trascinerete anche gli altri nella rovina. Quanto più importanti sono gli incarichi che vi sono stati affidati, tanto maggior impegno vi occorre. Per questo Gesù afferma: «Ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini» (Mt 5, 13). Perché poi, udendo la frase: «Quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e diranno ogni sorta di male contro di voi» (Mt 5, 11), non temano di farsi avanti, sembra voler dire: Se non sarete pronti alle prove, invano io vi ho scelti. Così verranno le maledizioni a testimonianza della vostra debolezza. Se, infatti, per timore dei maltrattamenti, non mostrerete tutto quell'ardimento che vi si addice, subirete cose ben peggiori, avrete cattiva fama e sarete a tutti oggetto di scherno. Questo vuol dire essere calpestati.
Subito dopo passa ad un'altra analogia più elevata: «Voi siete la luce del mondo» (Mt 5, 14). Nuovamente dice del mondo, non di un solo popolo o di venti città, ma dell'universo intero: luce intelligibile, più splendente dei raggi del sole. Parla prima del sale e poi della luce, per mostrare il vantaggio di una parola ricca di mordente e di una dottrina elevata e luminosa. «Non può restar nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio» (Mt 5, 14-15). Con queste parole li stimola ancora una volta a vigilare sulla propria condotta, ricordando loro che sono esposti agli occhi di tutti gli uomini e che si muovono dinanzi allo sguardo di tutta la terra.
 
MESSALE
Antifona d'Ingresso  Sal 84,10-11
O Dio, nostra difesa,
contempla il volto del tuo Cristo.
Per me un giorno nel tuo tempio,
è più che mille altrove.
 

 
Colletta

O Dio, che hai preparato beni invisibili per coloro che ti amano, infondi in noi la dolcezza del tuo amore, perché, amandoti in ogni cosa e sopra ogni cosa, otteniamo i beni da te promessi, che superano ogni desiderio. Per il nostro Signore...

 

 
Oppure:
O Padre, che nell'accondiscendenza del tuo Figlio mite e umile di cuore hai compiuto il disegno universale di salvezza, rivestici dei suoi sentimenti, perché rendiamo continua testimonianza con le parole e con le opere al tuo amore eterno e fedele. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura  Is 56, 1.6-7
Condurrò gli stranieri sul mio monte santo.


Dal libro del profeta Isaia
Così dice il Signore:
«Osservate il diritto e praticate la giustizia,
perché la mia salvezza sta per venire,
la mia giustizia sta per rivelarsi.
Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo
e per amare il nome del Signore,
e per essere suoi servi,
quanti si guardano dal profanare il sabato
e restano fermi nella mia alleanza,
li condurrò sul mio monte santo
e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera.
I loro olocausti e i loro sacrifici
saranno graditi sul mio altare,
perché la mia casa si chiamerà
casa di preghiera per tutti i popoli».


Salmo Responsoriale
  Dal Salmo 66
Popoli tutti, lodate il Signore.
 
Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,
la tua salvezza fra tutte le genti.

Gioiscano le nazioni e si rallegrino,
perché tu giudichi i popoli con rettitudine,
governi le nazioni sulla terra.

Ti lodino i popoli, o Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio e lo temano
tutti i confini della terra.
  
Seconda Lettura
  Rm 11, 13-15.29-32
I doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili per Israele. 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, a voi, genti, ecco che cosa dico: come apostolo delle genti, io faccio onore al mio ministero, nella speranza di suscitare la gelosia di quelli del mio sangue e di salvarne alcuni. Se infatti il loro essere rifiutati è stata una riconciliazione del mondo, che cosa sarà la loro riammissione se non una vita dai morti?
Infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!
Come voi un tempo siete stati disobbedienti a Dio e ora avete ottenuto misericordia a motivo della loro disobbedienza, così anch’essi ora sono diventati disobbedienti a motivo della misericordia da voi ricevuta, perché anch’essi ottengano misericordia.
Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti!
 
Canto al Vangelo 
  Cf Mt 4,23
Alleluia, alleluia.

Gesù predicava la buona novella del Regno
e curava ogni sorta di infermità nel popolo.

Alleluia.

   
   
Vangelo  Mt 15, 21-28
Donna, grande è la tua fede!

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».
Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

 
Sulle Offerte 
Accogli i nostri doni, Signore, in questo misterioso incontro fra la nostra povertà e la tua grandezza: noi ti offriamo le cose che ci hai dato, e tu donaci in cambio te stesso. Per Cristo nostro Signore.
 

 
Antifona alla Comunione  Sal 129,7
Presso il Signore è la misericordia,
e grande presso di lui la tua redenzione.
 

 Oppure:  Mt 15,28
«Donna grande è la tua fede!
Ti sia fatto come desideri», disse Gesù.
 Dopo la Comunione 
O Dio, che in questo sacramento ci hai fatti partecipi della vita di Cristo, trasformaci a immagine del tuo Figlio, perché diventiamo coeredi della sua gloria nel cielo. Per Cristo nostro Signore.
 


***
Domenica, 20 agosto, XX del Tempo ordinario, la liturgia ci propone il brano del Vangelo di Matteo (Mt. 15,21-28) che racconta l'incontro di Gesù con una donna Cananèa:
In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele». Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.
Al grido di una donna Cananèa che supplica la liberazione per la propria figlia, tormentata dal diavolo, Gesù stranamente non risponde. Sebbene ella reiteri la sua petizione, e nonostante l’intercessione dei discepoli per esaudirla, il Signore afferma la priorità dei figli d’Israele, e non dei pagani, nel ricevere i suoi doni. Quando, però, questa madre affranta, riconoscendo la primogenitura dei giudei, tuttavia implora di accontentarsi anche delle briciole della benedizione divina, allora Gesù esclama: “Donna, davvero grande è la tua fede!”. Il brano evangelico presente è una buona notizia per tutti noi: Dio ama ogni persona e desidera aiutare l’umanità che attraverso i tempi, in ogni latitudine, è oppressa dal peccato e dall’odio che satana nutre nei confronti di chiunque. Il Maestro a volte tace davanti alle nostre richieste, perché desidera che si manifesti la nostra fede che non desiste dal pregare con fiducia, e vuole che ci affidiamo all’intercessione della Chiesa, dei santi e di Maria. Egli è accondiscendente, soprattutto, quando accettiamo eventuali umiliazioni senza ribellarci, perché ciò rivela in modo efficacissimo la speranza riposta in Lui. Esse possono divenire allora occasioni di annuncio evangelico che valgono più di mille parole. Non scoraggiamoci, dunque, ma attendiamo il suo aiuto, il Signore si rivela!
***
XX Domenica del Tempo Ordinario – 20 agosto 2017
Is 56,1.6-7; Sal 66; Rm 11,13-15.29-32; Mt 15,21-2

“Con l’augurio di fare esperienza del fatto che la preghiera è il dialogo con Dio che salva.”

XX Domenica del Tempo Ordinario – 20 agosto 2017
Is 56,1.6-7; Sal 66; Rm 11,13-15.29-32; Mt 15,21-2

Un grido che ottiene la salvezza
1) Il grido della fede per invocare un dono non per pretenderlo.
Domenica scorsa, abbiamo meditato sulla preghiera filiale di Cristo, che esprime la sua esigenza di stare con il Padre, e sulla preghiera di Pietro che per stare con Cristo gli grida: “Signore, salvami”. Il Vangelo di oggi ci fa ascoltare il grido di una donna pagana che – in modo supplice e fiducioso – si rivolge al Messia dicendo: “Pietà di me, Signore, figlio di Davide!”. Questa donna implora Cristo di liberare sua figlia dal demonio. Chiede umilmente al Signore di compiere un miracolo, ma non esige l’intervento divino come un diritto, lo aspetta come un dono. Lo domanda a Colui che è dono, riconoscendo in lui il Signore e Messia. La sua fede è tutta racchiusa nell’espressione: “Pietà di me, Signore, Figlio di Davide”.
Ancora una volta la Liturgia ci fa contemplare il “Vangelo della Grazia” che risponde al desiderio di salvezza e per questo ci fa pregare: “Infondi in noi la dolcezza del tuo amore, perché amandoti in ogni cosa e sopra ogni cosa, otteniamo i beni da te promessi, che superano ogni desiderio” (Colletta).
Pregando in questo modo ci mettiamo nell’orizzonte sconfinato dell’amore di Dio per noi, amore che ci attira a Lui per colmarci di gioia.
L’episodio raccontato dal Vangelo di oggi s’inserisce e si comprende in questa logica dell’amore tenero ed infinito di Dio. In esso San Matteo ci racconta di un incontro che si svolge “in terra straniera” con una donna pagana, che è una madre oppressa da un dolore angosciante (“Mia figlia è molto tormentata da un demonio”). Questa madre ottenne quello che domandava. Il racconto evangelico di oggi ci racconta la storia di un dolore aperto alla fede e di una fede diventata miracolo e liberazione.
La donna Cananea si rivolge a Gesù, sicura di essere esaudita. La sua fede è insistente, coraggiosa, umile, più forte dell’apparente rifiuto. La fede deve essere nel contempo sicura e paziente. Non deve lasciarsi scoraggiare nemmeno dal silenzio di Dio: “Non le rivolse neppure la parola”. Può sembrare sconcertante il silenzio di Gesù, tanto che suscita l’intervento dei discepoli, ma non si tratta di insensibilità al dolore di quella donna.
Sant’Agostino commenta giustamente: “Cristo si mostrava indifferente verso di lei, non per rifiutarle la misericordia, ma per infiammarne il desiderio” (Sermo 77, 1: PL 38, 483). L’apparente presa di distanza di Gesù, che dice: “Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa di Israele” (Mt 15, 24), non scoraggia la cananea, che insiste: “Signore, aiutami!” (Mt 15, 25). E anche quando riceve una risposta che sembra chiudere ogni speranza – “Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini” (Mt 15, 26) -, non desiste. Non vuole togliere nulla a nessuno: nella sua semplicità e umiltà le basta poco, le bastano le briciole, le basta solo uno sguardo, una buona parola del Figlio di Dio. E Gesù rimane ammirato per una risposta di fede così grande di questa madre e le dice: “Avvenga per te come desideri” (Mt 15, 28) e a partire da quell’istante sua figlia fu guarita. (Follo)

2) Domanda perseverante a chi ci ama.
La guarigione di una giovane donna non è il solo miracolo di cui parla il Vangelo oggi. Durante il dialogo tra Cristo e la donna Cananea, che mendica una grazia, è avvenuto un altro miracolo più grande della guarigione di sua figlia. Questa madre è diventata una “credente”, una delle prime credenti provenienti dal paganesimo.
Se il Messia l’avesse ascoltata alla prima richiesta, tutto quello che questa donna avrebbe conseguito sarebbe stata la liberazione della figlia. La vita sarebbe trascorsa con qualche fastidio in meno. Ma tutto sarebbe finito lì e, alla fine, madre e figlia sarebbero morte nell’anonimato. Invece così si parlerà di questa anonima donna pagana fino alla fine del mondo. E, forse, Gesù ha preso lo spunto proprio da questo incontro per proporre la parabola della vedova importuna sulla “necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai”.
Nell’insistenza della donna cananea traspare la fiducia nel potere di Gesù. Lui cercava di starsene nascosto, ma la fama che lo accompagnava gli impediva un solo istante di tregua. Lui era lì per lei (e oggi Lui è qui per noi). E lei lo aveva capito. La sua presenza in quel territorio non ebreo, “nella zona di Tiro e di Sidone”, non poteva essere il frutto di un caso. Aveva intuito il tempo favorevole per la salvezza della figlia. Questa certezza la muove, la spinge sino a Gesù. La certezza della fede piena di speranza la getta ai piedi di Cristo che dice:  “Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri” (Mt15,28). Sì, questa donna ha una fede grandissima. “Pur non conoscendo né gli antichi profeti, né i recenti miracoli del Signore, né i suoi comandamenti né le sue promesse, anzi, respinta da lui, persevera nella sua domanda e non si stanca di bussare alla porta di colui che per fama gli era stato indicato come salvatore. Perciò la sua preghiera viene esaudita in modo visibile e immediato” (San Beda il Venerabile, Omelie sui Vangeli I, 22 : PL 94, 102-105).
La preghiera insistente di questa donna non nasce solamente dalla necessità di ottenere la guarigione della figlia, nasce dalla fede che non è il risultato di una teoria o di un bisogno ma di un incontro con Cristo il Figlio del “Dio vivente che chiama e svela il suo amore” (Papa Francesco, Lumen Fidei, 4), con un gesto di misericordia.
Inoltre, l’episodio, sul quale stiamo meditando, ci fa capire che nella preghiera di domanda al Signore non dobbiamo attenderci un compimento immediato di ciò che noi chiediamo, ma affidarci piuttosto a cuore di Cristo, cercando di interpretare le vicende della nostra vita nella prospettiva del suo disegno di amore, spesso misterioso ai nostri occhi. Per questo, nella nostra preghiera, domanda, lode e ringraziamento dovrebbero fondersi assieme, anche quando ci sembra che Dio non risponda alle nostre concrete attese. L’abbandonarsi all’amore di Dio, che ci precede e ci accompagna sempre, è uno degli atteggiamenti di fondo del nostro dialogo con Lui.
Un exemple clair de cette attitude est offert par les vierges consacrées, qui sont appelés à vivre d’une manière particulière le « service de la prière », comme il a été dit au cours du Rite de la Consécration, quand l’eveque leur consigne le Livre d’Heures.
En outre, avec le don complet de soi-même au Christ, ces femmes montrent comment demander, comment prier: avant que le don (=grâce ) soit accordée, elles adhèrent à Jésus, qui, dans ses dons il donne soi-même donne. Le Donateur est plus précieux que le don; Il est le « trésor inestimable », la « perle précieuse »; le don du miracle est donné “en plus” (cf. Mt 6,21 et 6,33).
Un esempio chiaro di questo atteggiamento è offerto dalla vergini consacrate, che sono chiamate a vivere in modo particolare il “servizio della preghiera”, come è detto durante il Rito di Consacrazione, quando viene consegnato loro il Libro delle Ore.
Inoltre con la piena donazione di sè stesse a Cristo, queste donne testimoniano che come chiedere, come pregare: prima che il dono (=grazia) sia concesso, esse aderiscono a Gesù, che nei suoi doni dona se stesso. Il Donatore è più prezioso del dono accordato; è il “Tesoro inestimabile”, la “Perla preziosa”; il dono del miracolo è concesso “in aggiunta” (cfr Mt 6,21 e 6,33).
Queste consacrate testimoniano una cosa molto importante: prima che il dono venga concesso, è necessario aderire a Colui che dona: il donatore è più prezioso del dono. Anche per noi, quindi, al di là di ciò che Dio ci da quando lo invochiamo, il dono più grande che può darci è la sua amicizia, la sua presenza, il suo amore. Lui è il tesoro prezioso da chiedere e custodire sempre.
Non dimentichiamo infine il profondo legame tra l’amore a Dio e l’amore al prossimo che deve entrare anche nella nostra preghiera. La nostra preghiera apre la porta a Dio, che ci insegna ad uscire costantemente da noi stessi per essere capaci di farci vicini agli altri, specialmente nei momenti di prova, per portare loro consolazione, speranza e luce. Il Signore Gesù ci conceda di essere capaci di una preghiera perseverante e intensa, per rafforzare il nostro rapporto personale con Dio Padre, allargare il nostro cuore alle necessità di chi ci sta accanto e sentire la bellezza di essere “figli nel Figlio” insieme con tante sorelle e fratelli.

Lettura Patristica
Erma (II secolo)
Il Pastore, Precetto IX

Allontana da te ogni dubbio e non esitare, neppure un istante, a chiedere qualche grazia al Signore, dicendo fra te e te: Come è possibile che io possa chiedere e ottenere dal Signore, che ho tanto peccato contro di lui? Non pensare a ciò, ma rivolgiti a lui di tutto cuore e pregalo senza titubare; sperimenterai la sua grande misericordia. Dio non è come gli uomini che serbano rancore; egli dimentica le offese e ha compassione per la sua creatura .
Tu dunque purifica prima il tuo cuore da tutte le vanità di questo mondo e da tutti i peccati che abbiamo menzionati, poi prega il Signore e tutto otterrai. Sarai esaudito in ogni tua preghiera, se chiederai senza titubare. Se invece esiterai in cuor tuo, non potrai conseguire nulla di ciò che chiedi. Chi, pregando Dio, dubita, è uno di quegli indecisi che nulla assolutamente ottengono; invece chi è perfetto nella fede, chiede tutto confidando nel Signore e tutto riceve, perché prega senza dubbio o titubanza. Ogni uomo indeciso e tiepido, se non farà penitenza, difficilmente avrà la vita.
Purifica il tuo cuore da ogni traccia di dubbio, rivestiti di fede robusta, abbi la certezza che otterrai da Dio tutto ciò che domandi. Se poi avviene che, chiesta al Signore qualche grazia, egli tarda a esaudirti, non lasciarti prendere dallo scoraggiamento per il fatto di non aver ottenuto subito ciò che domandasti: certamente questo ritardo nell’ottenere la grazia chiesta o è una prova o è dovuto a qualche tuo fallo che ignori. Perciò non cessare di rivolgere a Dio la tua intima richiesta, e sarai esaudito, se invece ti scoraggi e cominci a diffidare, incolpa te stesso, e non colui che è disposto a concederti tutto.
Guardati dal dubbio! È sciocco e nocivo e sradica molti dalla fede, anche se sono assai convinti e forti. Tale dubbio è fratello del demonio e produce tanto male tra i servi di Dio. Disprezzalo dunque e dominalo in tutto il tuo agire, corazzandoti con una fede santa e robusta, perché la fede tutto promette e tutto compie; il dubbio invece, poiché diffida di sé, fallisce in tutte le opere che intraprende.
Vedi, dunque, che la fede viene dall’alto, dal Signore, e ha una grande potenza, mentre il dubbio è uno spirito terreno che viene dal diavolo, e non ha vera energia. Tu dunque servi alla fede, che ha vera efficacia, e tienti lontano dal dubbio che ne è privo. E così vivrai in Dio; e tutti coloro che ragionano così vivranno in Dio.