sabato 8 aprile 2017

Da Betania a Gerusalemme



La settimana santa nella tradizione bizantina.

(Manuel Nin) Un importante testo del ivsecolo, la Peregrinatio Egeriae, nel capitolo ventinovesimo racconta la celebrazione della risurrezione di Lazzaro che si svolge tra Betania e Gerusalemme, e che avviene il sabato che precede immediatamente la domenica delle palme. La famosa pellegrina narra come il vescovo di Gerusalemme con i monaci e il popolo si radunano a Betania e lì si legge il vangelo della risurrezione di Lazzaro; quindi si avviano in processione verso la città santa. Le liturgie orientali hanno questa celebrazione appunto il sabato immediatamente precedente la domenica delle palme, celebrazione in qualche modo preparata lungo tutta la settimana che la precede attraverso la memoria della malattia, della morte e della risurrezione di Lazzaro, che a sua volta diventa prefigurazione, annuncio della grande settimana della passione, morte e risurrezione del Signore.
Nella tradizione bizantina troviamo in questa settimana dei tropari liturgici che mettono in luce due aspetti importanti. In primo luogo i testi contemplano in modo progressivo la malattia, la morte e la risurrezione dell’amico del Signore, quasi volessero coinvolgerci con Cristo nel suo camminare, nel suo salire a Betania e a Gerusalemme. In secondo luogo, la liturgia facendo una lettura dei testi e una esegesi potremmo dire per omonimia, accosta nel nome comune i due personaggi evangelici che portano il nome di Lazzaro: il povero della parabola del vangelo di Luca e l’amico di Cristo del vangelo di Giovanni. 
I testi liturgici ci introducono nel cammino di Gesù verso Betania con i suoi discepoli: «Oggi la malattia di Lazzaro viene manifestata a Cristo, che si trattiene al di là del Giordano. Coi suoi apostoli verrà il Signore per risuscitare un nativo di questa terra». Nel progredire della malattia di Lazzaro, i tropari mettono in luce la pedagogia voluta da Cristo anche dal suo attardarsi al di là del Giordano: «Oggi come ieri Lazzaro soffre la malattia. Nella gioia, preparati Betania, per ricevere il tuo maestro e il tuo re e canta con noi: Signore, gloria a te». Martedì al vespro e mercoledì si parla già della morte e quindi della sepoltura di Lazzaro: «In questo giorno Lazzaro consegna lo spirito, per riaffermare nel tuo amico, Signore, la fede nella tua divina risurrezione che calpesta la morte e ci dà la vita; per questo noi ti lodiamo e ti cantiamo».
Nel cammino di Cristo verso Betania, vediamo già sottolineata la sua vittoria sulla morte: «Lazzaro è nella tomba da due giorni. Si avvicina il Creatore per spogliare la morte e darci la vita; per questo noi lo invochiamo: Signore, gloria a te». Lo strappo fatto da Cristo alla morte nella persona dell’amico Lazzaro è preannuncio della nuova creazione che avverrà nella risurrezione di Cristo quando scendendo nell’Ade lui strapperà dagli inferi Adamo ed Eva e li riporterà al paradiso. I testi della liturgia di questi giorni inoltre mescolano la gioia dell’imminente risurrezione di Lazzaro e quella dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme: «O Cristo, che siedi sui serafini celesti nella divina maestà di Creatore dell’universo, adesso nella terra ti prepari a sedere su un asinello; Betania si rallegra di accoglierti come Salvatore, Gerusalemme si rallegra di ricevere il Messia atteso. Oggi viene resa nota al Cristo, che è al di là del Giordano, la malattia di Lazzaro. Preparati, Betania, adorna divinamente i tuoi ingressi, allarga le tue dimore: perché ecco, verrà il Sovrano con gli apostoli per ridare la vita al tuo figlio». Quindi la liturgia del sabato di Lazzaro accosta la risurrezione di Lazzaro alla risurrezione di Gesù; si sottolinea il parallelo tra i due giorni di sabato: quello di Lazzaro e quello di Gesù dopo una settimana: «Volendo vedere la tomba di Lazzaro, o Signore, tu che volontariamente ti accingevi ad abitare una tomba». Tutta la sesta settimana di quaresima quindi viene inquadrata in questa contemplazione dell’incontro ormai vicino tra Gesù e la morte, quella dell’amico per primo, quella propria la settimana dopo, e i testi liturgici riescono a coinvolgerci in questo cammino di Gesù verso Betania, verso Gerusalemme. La grande filantropia di Dio che si rivelerà nella croce di Cristo, ci viene fatta pregustare nella filantropia verso l’amico Lazzaro. 
Il secondo aspetto da mettere in evidenza è l’accostare dei due Lazzaro nella loro omonimia. I due personaggi sono presenti nei testi della liturgia di questi giorni: «I farisei, vestiti di porpora e di seta, hanno come tesoro la legge e i profeti; essi hanno fatto crocifiggere te, il povero, fuori delle porte della città e ti hanno rifiutato malgrado la tua risurrezione te, che sei da sempre nel seno paterno. La grazia sarà per loro come la gotta di acqua desiderata dal ricco empio e essi vedranno una moltitudine di pagani che nel seno di Abramo portano il vestito del battesimo e la porpora del tuo sangue». Quasi che i testi della liturgia mettono in parallelo malattia, morte e risurrezione di Lazzaro amico di Cristo, con la sofferenza nella povertà, la morte e la glorificazione nel seno di Abramo del Lazzaro della parabola. «Da ricco, o Cristo, ti sei fatto povero, e hai arricchito i mortali di immortalità e illuminazione: arricchiscimi dunque di virtù, poiché mi sono impoverito con i piaceri della vita, e collocami insieme al povero Lazzaro. Non condannarmi, o Cristo, al fuoco della geenna, come il ricco a causa di Lazzaro, ma dona anche a me, che te lo chiedo in pianto, una goccia di amore per gli uomini, o Dio, e abbi pietà di me».
Uno dei tropari di questi giorni riprende inoltre il legame indissolubile tra il digiuno e la misericordia che ha guidato tutto il cammino quaresimale: «Fratelli tutti, prima della fine: accostiamoci al Dio compassionevole con cuore puro. Messe da parte le contingenze della vita, prendiamoci cura dell’anima; lasciato con disgusto il piacere dei cibi in virtù della continenza, occupiamoci della misericordia: per essa, infatti, come sta scritto, alcuni senza saperlo diedero ospitalità a degli angeli; nutriamo nei poveri colui che ci ha nutriti con la propria carne; rivestiamoci di colui che si avvolge di luce come di un manto».
L'Osservatore Romano