domenica 19 marzo 2017

Sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna (Gv 4,5-42)



Commento di Pierbattista Pizzaballa 

Il Vangelo di Giovanni riporta intensi dialoghi, spesso lunghi e impegnativi, tra Gesù e le persone più diverse. La prima è Nicodemo, al capitolo 3; poi incontriamo la Samaritana, il cieco nato, Marta e Maria in occasione della morte del loro fratello, Lazzaro. Sono dialoghi detti di “rivelazione”, anzi, di “auto-rivelazione”, in cui Gesù, mentre parla con uno di questi personaggi, rivela se stesso, dice qualcosa di sé. Il brano di oggi, insieme a quello delle prossime due domeniche, faceva parte delle catechesi battesimali, poiché ci introduce gradualmente alla conoscenza di Gesù. I dialoghi infatti sono costruiti in modo tal da fare emergere poco alla volta la verità su Gesù come rabbi, profeta, Messia, ecc.
L’evangelista Giovanni, inoltre, nel passaggio che precede questo dell’incontro fra Gesù e la Samaritana, riporta le ultime parole di Giovanni Battista, il quale dice che lo Sposo è arrivato, e che allo Sposo appartiene la sposa. Allora il Battista scompare completamente dalla scena (diminuisce!). In questo capitolo vediamo lo Sposo che va a cercare la sposa. La cerca al pozzo, da sempre nella simbolica della Bibbia luogo di incontro e di nozze (cfr. Gen 29, 10ss).
Noi non ci possiamo fermare sui numerosi richiami biblici di questo brano perché sono veramente tanti e perciò ci dobbiamo soffermare solo su alcune intuizioni, rimandando ad una lettura più attenta.
La rivelazione di Dio non avviene in modo teorico, astratto, non scende dall’alto in modo asettico, ma accade dentro l’evento di un incontro personale. Gesù si rivela incontrando persone concrete, entrando nella loro storia, dialogando. E non potrebbe essere altrimenti, perché il nostro Dio è incontro, è relazione e non può dire qualcosa di sé se non parlando con qualcuno.
E, in qualche modo, il Signore si adatta a Colui che ha davanti: a Nicodemo, che sa tutto della legge, che va da Lui di notte, Gesù parla di sé come di un amore libero e sconfinato, che ti porta dove non sai; alla Samaritana, che ha una gran sete di amore, che arriva lì con il bagaglio della sua storia ferita e complessa, parla di acqua viva; al cieco si rivela come luce; per le sorelle che piangono la morte del loro caro, Gesù è risurrezione e vita.
Quindi Gesù raggiunge ogni storia, si fa solidale con ogni umanità: e così si rivela.
E mentre si rivela, accade qualcosa nell’interlocutore che si lascia coinvolgere nel dialogo, per cui alla fine nessuno di loro si ritrova più come era all’inizio dell’incontro: la vita ne viene trasformata e la salvezza accade dentro ogni storia.
Oggi vediamo tutto questo nell’incontro tra Gesù e la donna di Samaria.
Ci sono almeno tre motivi per cui questo incontro non sarebbe dovuto accadere: il primo, semplicemente, perché è una donna, e non era cosa decente che un rabbi parlasse con una donna apertamente. Infatti, quando i discepoli torneranno dalla città, si stupiranno alquanto di vedere Gesù parlare con lei (Gv 4,27).
Il secondo è che è una donna samaritana, e quindi in qualche modo scismatica ed eretica: la donna per prima si stupisce che Gesù le rivolga la parola e subito reagisce: “Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?” (Gv 4, 9). E l’evangelista commenta: “I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani”.
Infine, oltre ad essere donna, oltre ad essere samaritana, era anche irregolare: aveva avuto cinque mariti, e ora conviveva con un sesto uomo, con cui non era sposata. Insomma, aveva quanto bastava per mettere in imbarazzo un bravo israelita.
Gesù non vede niente di tutto questo: vede solo una donna che ha sete, come lui ha sete. E che, come lui, ha sete di parole vere, di incontri veri, di amore vero.
Con lei, Gesù inizia un dialogo e lo inizia non come colui che dà qualcosa, ma come colui che chiede.
Chiedere è uno dei modi più belli di voler bene, di amare: è dare all’altro la possibilità di darti qualcosa, è riconoscere la sua dignità, la sua ricchezza, il suo valore.
Per cui la donna è molto stupita e subito avanza le sue obiezioni scontate, basate su differenze che dividono e allontanano: non è abituata ad essere trattata così, e deve aprirsi piano piano ad una cosa nuova.
Gesù la raggiunge proprio lì, dove le differenze per secoli avevano creato ostilità: e non fa nient’altro se non riallacciare un dialogo interrotto.
Di questo dialogo, che parla di sorgenti, di vita eterna, di spirito e verità, la donna probabilmente può capire molto poco: Gesù parla con lei di cose altissime, ma questo non è il problema. La donna arriva a capire l’essenziale, ovvero che questo uomo, questo rabbi, questo profeta, questo Messia le parla, parla proprio a lei. La conosce, sa tutto della sua storia; eppure parla con lei.
“Sono io, che parlo con te” (Gv 4, 25), e parlo ora; il Messia che tu attendi perché annunci ogni cosa (Gv 4,25) è qui, e parla con te. Questa è la rivelazione che accade dentro la vita della donna di Samaria.
Questo è il dono di Dio (Gv 4,10), da conoscere, da accogliere: semplicemente, il Messia che tu attendi è qui e ti dice “dammi da bere”.
Questo cambia completamente la vita: prima questa donna era “solo” una donna, samaritana, irregolare; ora è una donna con cui il Messia parla. Nulla può essere più uguale a prima: senza che tu te ne accorga, la parola del Signore scava in te un pozzo, libera in te una sorgente.
La prova è che la donna lascia lì la sua brocca, e va (Gv 4, 28). Non ha più bisogno di una brocca chi ha trovato la sorgente, e chi ha scoperto che la sorgente abita dentro la propria vita.
Cosa annuncia? Annuncia che un uomo le ha parlato; le ha detto tutto quello che ha fatto.
Ovvero quella storia, che era motivo di vergogna e di disonore, ora è luogo e occasione di annunzio; solo così l’annuncio è vero.
Ed è diventata occasione di annuncio non perché nel frattempo sia cambiato qualcosa, non perché nel frattempo si sia “regolarizzata”.
La donna può essere vera, perché in questa sua verità povera il Signore ha portato una speranza.
Quella speranza per cui ogni vita non è altro che una seminagione, che un giorno, con pazienza, vedrà la maturazione e la mietitura (Gv 4, 34-36); e tutti ne godranno, chi semina e chi miete.
Nulla è mai chiuso definitivamente; tutto si può riaprire quando il Signore è qui, e parla con te.
+Pierbattista