mercoledì 15 marzo 2017

I cristiani in un mondo in frantumi.

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Dies academicus. «Cristiani uniti per un mondo in frantumi» è il tema scelto dalla Pontificia università gregoriana per il dies academicus 2017. A svolgere le lectio magistralis, nella mattina di mercoledì 15, sono stati chiamati Karl-Hinrich Manzke, vescovo evangelico-luterano di Schaumburg-Lippe, e il cardinale presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, del cui intervento riprendiamo quasi per intero la parte conclusiva. Il testo integrale viene pubblicato sul sito del giornale. 

(Kurt Koch) L’impegno ecumenico è essenzialmente un lavoro di riconciliazione. Questa dimensione fondamentale è stata richiamata all’attenzione dalla settimana di preghiera per l’unità dei cristiani del 2017, che si è ispirata alle parole scritte dall’apostolo Paolo nella sua lettera alla comunità di Corinto: «L’amore di Cristo ci spinge verso la riconciliazione». Non è un caso che questo tema sia stato scelto dalla comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Germania nell’anno della commemorazione della Riforma, nella consapevolezza che, se da un lato la Riforma ci ha permesso di riscoprire il vangelo della giustificazione dell’uomo per grazia divina, dall’altro essa è stata anche contrassegnata da dolorose divisioni e da terribili guerre confessionali.
Entrambi gli aspetti sono stati evidenziati da Papa Francesco e dal vescovo Munib Younan, presidente della Federazione luterana mondiale (Flm), nella loro Dichiarazione congiunta, firmata a Lund, in Svezia: «Mentre siamo profondamente grati per i doni spirituali e teologici ricevuti attraverso la Riforma, confessiamo e deploriamo davanti a Cristo il fatto che luterani e cattolici hanno ferito l’unità visibile della Chiesa».
I cristiani possono contribuire in maniera credibile alla riconciliazione degli uomini soltanto se essi stessi si riconciliano tra loro e riescono a ripristinare quell’unità che è stata lacerata e che è andata persa a causa delle varie divisioni nel corso della storia. L’ecumenismo è, nel suo più intimo fulcro, lo sforzo di ripristinare l’unità dei cristiani e dunque, essenzialmente, un lavoro di riconciliazione, come è stato più volte mostrato nella storia del movimento ecumenico. 
In riferimento all’urgente necessità di riconciliazione tra oriente e occidente nel mondo cristiano, diviso dall’XI secolo in poi, una pietra miliare decisiva è stata posta certamente dall’evento verificatosi il 7 dicembre 1965, quando, poco prima della conclusione del Vaticano II, nella cattedrale del Fanar a Costantinopoli e nella basilica di San Pietro a Roma, fu letta la Dichiarazione comune dei più alti rappresentanti delle due Chiese, il patriarca ecumenico Athenagoras e Papa Paolo VI, con la quale si decideva di «togliere dalla memoria e dal mezzo della Chiesa» le reciproche sentenze di scomunica dell’anno 1054, per evitare che esse siano «un ostacolo al riavvicinamento nella carità». Con tale atto memorabile, il veleno della scomunica è stato tolto dall’organismo ecclesiale e il simbolo della divisione è stato sostituito dal simbolo della carità. Questo atto è diventato il punto di partenza della riconciliazione tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, il cui obiettivo fu descritto dal patriarca ecumenico Athenagoras cinquant’anni fa, con le seguenti, appassionate parole: «È giunta l’ora del coraggio cristiano. Ci amiamo gli uni gli altri; professiamo la stessa fede comune; incamminiamoci insieme verso la gloria del sacro Altare comune, per fare la volontà del Signore, affinché la Chiesa rifulga, il mondo creda e la pace di Dio venga su tutti».
La riconciliazione è altrettanto necessaria per quanto riguarda la grande divisione prodottasi nel mondo cristiano d’occidente nel XVI secolo. Poiché i riformatori intendevano rinnovare e non dividere la Chiesa, la Riforma deve essere considerata in senso positivo anche dai cattolici come un processo di riforma della Chiesa attraverso la riscoperta del Vangelo della grazia divina gratuita. Tuttavia, la Riforma non ha condotto al rinnovamento di tutta la Chiesa; piuttosto, la Chiesa si è divisa e sono scoppiate sanguinose guerre confessionali. Davanti a questo volto bifronte, da un lato siamo grati per i doni che ci sono stati offerti tramite la Riforma, dall’altro però abbiamo validi motivi per riconoscere apertamente le nostre colpe, per pentirci e per tentare di riconciliarci. 
Durante e dopo il Vaticano II, i vari Papi che si sono susseguiti hanno chiesto più volte perdono per il male che i cattolici hanno causato ai membri delle altre Chiese. Al riguardo, ricordiamo in particolare il grande gesto penitenziale di Papa Giovanni Paolo II che, durante le celebrazioni dell’anno santo, nella giornata del perdono, ha confessato le grandi colpe del passato, e ricordiamo anche Papa Francesco, il quale, in occasione della sua visita al tempio valdese di Torino, ha chiesto «perdono per gli atteggiamenti e i comportamenti non cristiani, persino non umani» che, nella storia, i cattolici hanno avuto nei confronti dei valdesi.
Da parte protestante, va rammentata la Dichiarazione nella quale la Flm, durante la sua plenaria del 1979, ha affermato la sua disponibilità a riconoscere «come il giudizio dei riformatori nei confronti della Chiesa romano-cattolica e della teologia del suo tempo spesso non fosse privo di distorsioni polemiche, che, in parte, hanno ancora un impatto nel presente», e ha deplorato il fatto «che i nostri fratelli romano-cattolici, a causa di tali rappresentazioni polemiche, siano stati offesi e fraintesi». Degna di essere ricordata è anche l’ammissione delle proprie colpe fatta dalla Flm che riunita in plenaria, davanti agli anabattisti, ha riconosciuto il proprio «profondo rammarico e dolore per la persecuzione dei battisti perpetrata dalle autorità luterane» e in particolare per il fatto «che i riformatori luterani hanno giustificato teologicamente tale persecuzione». Questo riconoscimento delle proprie colpe è sfociato nel 2010 in un servizio liturgico penitenziale, con il quale la Flm e la Conferenza mennonita mondiale si sono riconciliate.
La riconciliazione presuppone il riconoscimento della propria colpa, la disponibilità a fare penitenza e la purificazione della memoria storica, alla quale Papa Francesco ha esortato in particolare in riferimento alla commemorazione comune della Riforma: «Non possiamo cancellare ciò che è stato, ma non vogliamo permettere che il peso delle colpe passate continui a inquinare i nostri rapporti. La misericordia di Dio rinnoverà le nostre relazioni». Misericordia e riconciliazione devono essere infatti le prospettive principali del cammino ecumenico, sul quale i cristiani vengono spinti dall’amore di Cristo. Per l’amore, le legittime differenze tra le varie confessioni non rappresentano più, come era il caso nel passato, soltanto degli ostacoli, ma anche la possibilità di un reciproco arricchimento nella fede. Il vero amore non cancella le differenze, ma le fa convergere riconciliate in una più profonda unità. 
Noi cristiani dobbiamo questa testimonianza al mondo odierno. Per poterci mettere al servizio della riconciliazione degli uomini e dei popoli, ci dobbiamo continuamente impegnare nella nostra stessa riconciliazione e dobbiamo fare di tutto affinché si realizzi la grande speranza che ha sempre animato Papa Giovanni Paolo II. Egli era convinto che, dopo il primo millennio della storia della Chiesa, che era stato il tempo della Chiesa indivisa, e dopo il secondo millennio, che aveva comportato in oriente tanto quanto in occidente profonde divisioni nella Chiesa, il terzo millennio avesse il grande compito di ripristinare la perduta unità dei cristiani. Giovanni Paolo II sapeva che noi cristiani dobbiamo essere «più disposti a imboccare il cammino di quell’unità per la quale Cristo pregò alla vigilia della sua passione». Difatti, il valore di questa unità è enorme: «Si tratta in un qualche senso del futuro del mondo, si tratta del futuro del Regno di Dio nel mondo. Le debolezze e i pregiudizi umani non possono distruggere ciò che è il disegno di Dio riguardo al mondo e all’umanità. Se valutiamo tutto questo, possiamo guardare al futuro con un certo ottimismo. Possiamo aver fiducia che “Colui che ha iniziato in noi quest’opera buona la porterà a compimento” (cfr. Filippesi, 1, 6)».
Se facciamo nostra questa convinzione di Giovanni Paolo II, ci apparirà ancora più chiaramente l’importanza fondamentale che l’ecumenismo cristiano riveste nel mondo odierno. L’impegno cristiano a favore della riconciliazione nel mondo inizia con la riconciliazione dei cristiani e delle Chiese cristiane, per poter poi risplendere nella vita quotidiana e nella convivenza degli uomini e dei popoli. Il superamento ecumenico delle divisioni del mondo cristiano è il presupposto indispensabile affinché il cristianesimo possa diventare segno e strumento di unità e di pace per l’umanità intera. Ciò vale in particolar modo davanti alla crescente globalizzazione, che, per noi cristiani, deve essere un ulteriore motivo per consolidare e intensificare la collaborazione ecumenica al servizio del bene integrale di tutta la famiglia umana, come ha osservato Papa Francesco nel suo messaggio alla decima assemblea generale del Consiglio ecumenico delle Chiese riunitosi a Busan in Corea del Sud nel novembre 2013: «Il mondo globalizzato nel quale viviamo esige da noi che rendiamo insieme una testimonianza comune della dignità riconosciuta da Dio ad ogni essere umano, in favore di una promozione concreta delle condizioni culturali, sociali e giuridiche che permettano agli individui, come pure alle società, di crescere nella libertà».
L'Osservatore Romano