sabato 3 dicembre 2016

Durante tempi difficili.



In memoria di padre Kolvenbach. Continuerà a produrre i frutti della speranza (Omelia di p. Arturo Sosa)

Durante tempi difficili.
Nella Chiesa del Gesù, a Roma, il preposito generale dei gesuiti ha celebrato nella sera del 2 dicembre una messa in memoria di padre Peter-Hans Kolvenbach. Sosa, di cui pubblichiamo l’omelia, ha ricordato la figura del suo predecessore alla guida della Compagnia di Gesù anche nel corso di un’intervista rilasciata a Matt Malone, direttore della rivista dei gesuiti «America». Kolvenbach — ha detto tra l’altro — va ricordato per la sua apertura al dialogo e la sua sensibilità «durante tempi difficili». Nell’intervista il generale dei gesuiti ha parlato anche di Papa Francesco, «figlio della Chiesa e di una Chiesa vivente». Il Pontefice «pratica molto bene la spiritualità ignaziana», lo si vede quando parla di «discernimento, consolazione, desolazione e riconciliazione». È «una persona impegnata a realizzare la visione della Chiesa propria del concilio Vaticano II: la sinodalità è corresponsabilità».
(Arturo Sosa) Il tempo dell’Avvento è un invito a rinnovare la speranza e la fiducia nella promessa da parte di Dio. Padre Kolvenbach, uomo che ha messo tutta la sua speranza nel Signore, ci ha riunito nuovamente in questa Chiesa del Gesù. Noi vogliamo ringraziare insieme il Signore per il dono della persona di Peter-Hans Kolvenbach al mondo, alla Chiesa e alla compagnia di Gesù. Lo abbiamo già fatto nei nostri cuori e nelle nostre comunità, ma lo vogliamo fare anche insieme nel posto dove riposano Sant’Ignazio, Pedro Arrupe e altri uomini che hanno messo, anch’essi, la propria speranza soltanto nelle mani del Signore.
Padre Kolvenbach ci ha già riuniti in tanti anche a Beirut. Attorno alla sua salma abbiamo vissuto una veglia di preghiera la notte del 29 novembre. Il nostro cuore si è riempito della luce di cui parla il brano del vangelo di Giovanni appena ascoltato. Quella luce della fede che ha caratterizzato Kolvenbach e per la quale diventiamo figli della luce, non ci lasciamo sorprendere dalle tenebre e capiamo dove camminare senza paura perché nel Signore è messa appunto tutta la nostra Speranza. 
Sempre a Beirut, alla messa del funerale, (30 novembre), eravamo moltissimi a testimoniare ammirazione, affetto e gratitudine per lui. Rappresentanti delle diverse Chiese, dello stato libanese, familiari, religiosi, e molti gesuiti abbiamo riempito la chiesa del Collegio di Notre Dame di Jhamour. La commovente eucaristia celebrata lì ci ha permesso, ancora una volta, di pregare insieme, ascoltare la parola di Dio e fare memoria riconoscente della vita e opera di padre Kolvenbach. Nel vicino cimitero dei gesuiti è stato poi sepolto il suo corpo che, “caduto in terra”, continuerà a produrre in abbondanza i frutti della speranza, dono di Dio che ci butta nelle sue mani e ci incoraggia nella sequela del Signore Gesù.
Durante la visita che ha fatto alla trentaseiesima congregazione generale (24 ottobre 2016), è stato chiesto a Papa Francesco quando il Libano si cambierà in un frutteto, cioè, quando il mondo sarà il luogo di pace dove i popoli possano vivere umanamente, avendo stabilito relazioni giuste tra loro. La domanda faceva riferimento all’Africa. In questi giorni, ho potuto toccare con mano come i popoli del Libano e di tutto il prossimo oriente siano così ansiosi di vedere i propri paesi divenire un frutteto di giustizia e di pace. Tanti altri popoli nell’Europa, Asia e America, feriti da guerre e da ogni sorta di sfruttamento, cercano le vie della riconciliazione. Papa Francesco ha risposto: «Non so se (la pace) verrà prima della venuta del Figlio dell’Uomo, ma so, in compenso, che dobbiamo lavorare quanto più possibile per la pace, sia attraverso la politica, sia attraverso la convivenza. Credo che lavorare per la pace in queste circostanze, oltre a essere una delle beatitudini, sia prioritario. Quando verrà la pace? Si può. Si può. Con gli atteggiamenti cristiani che il Signore ci indica nel Vangelo, si può fare molto e si fa molto, e si va avanti. A volte lo si paga a carissimo prezzo, in prima persona. Ebbene, si va avanti comunque. Il martirio fa parte della nostra vocazione». 
Perché uomo di speranza, Padre Kolvenbach ha avuto grande audacia apostolica nell’approfondire l’impegno della compagnia di Gesù nella ricerca della pace nel mondo. Posto alla testa del corpo della compagnia di Gesù nel 1983, in un momento assai complesso della sua storia, ha avuto una cura attenta, discreta e misericordiosa per la sua vita e la sua missione fino a quando, 25 anni dopo, nel 2008 ha lasciato il suo incarico. Egli ha incarnato il profilo voluto da Sant’Ignazio per il superiore generale della compagnia: unione e familiarità con Dio nella preghiera, per far partecipe tutto il corpo dei doni dello Spirito Santo; caritatevole con tutti; interiormente libero per meglio discernere le scelte da fare in un mondo che cambia velocemente, con fedeltà creativa alla Chiesa. Dotato, senz’altro, di grande intelligenza e di giudizio, è stato capace di aiutare la compagnia a discernere il magis della sua missione in questi tempi.
Nel 1995 convocò la trentaquattresima congregazione generale. Erano passati venti anni dalla spinta data alla compagnia dalla trentaduesima congregazione generale, attraverso il mandato a servire la fede e promuovere la giustizia, mossa dalla conversione del cuore che ha sperimentato la misericordia di Dio e ha ascoltato la sua chiamata come corpo universale. Sotto la guida di padre Kolvenbach la compagnia preparò la trantaquattresima congregazione generale. In essa si confermò la missione di servire la fede e promuovere la giustizia, e diventammo più decisamente consapevoli anche della necessità di aprirci al dialogo con le culture e di partecipare attivamente al dialogo interreligioso. 
Un’altra convinzione molto forte è venuta dalla guida di padre Kolvenbach e dal discernimento fatto alla trentaquattresima congregazione generale: la missione della compagnia di Gesù è condivisa da molti altri nella Chiesa e ci unisce a molte persone impegnate nel costruire la pace come frutto della giustizia. Capiamo quindi la compagnia di Gesù come un corpo che collabora con altri nel costruire un mondo in pace e nell’annunziare la lieta notizia della salvezza. La collaborazione costituisce una dimensione della nostra identità che ci apre orizzonti assai ampi per la nostra vita apostolica e sfida la coerenza della nostra vita spirituale e religiosa. 
Padre Kolvenbach ha amato profondamente la compagnia di Gesù e ci ha insegnato ad amarla come cammino verso Dio, nel servizio alla Chiesa di Gesù Cristo, sotto il romano Pontefice. Padre Kolvenbach ha conosciuto in profondità la compagnia di Gesù con i suoi punti di forza e le sue debolezze. La sua conoscenza lo ha portato ad accrescere la sua fiducia in quel Dio che l’ha ispirata e che è l’unico che la potrà sostenere con la sua misericordia e grazia. 
Tutti noi abbiamo tanti ricordi di padre Kolvenbach. La sua immagine ci è così familiare che potremmo passare tutta la notte a ricordare momenti vissuti accanto a lui. Fare memoria di padre Kolvenbach è fare memoria di un compagno di Gesù, un confratello vicino, un padre che ha generato vita in noi, un credente pieno di speranza impegnato nell’annunzio del Vangelo e nella costruzione della pace, un uomo giusto. Perciò, come abbiamo fatto all’inizio dell’eucaristia, possiamo dire col salmista: «Il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano; piantati nella casa del Signore fioriranno negli atri del nostro Dio» (Salmi, 92, 13, 14).

L'Osservatore Romano