sabato 15 ottobre 2016

Di rancho in rancho sul dorso della mula




(Santiago Oliveira, Vescovo di Cruz del Eje) È una grazia per la Chiesa e per la nostra patria che uno dei suo figli venga presentato al mondo come santo. «Il Cura Brochero — ci ha ricordato Papa Francesco — ha l’attualità del Vangelo ed è un pioniere nell’uscire verso le periferie geografiche ed esistenziali, per portare a tutti l’amore, la misericordia di Dio». Il 16 ottobre lo sguardo degli argentini sarà rivolto a Roma e a Brochero. Il Pontefice canonizzerà il primo sacerdote argentino, del clero di Córdoba.Brochero, lo sappiamo, è un “buon pastore”. Pastore con l’odore delle pecore. Buono, vicino, testimone della misericordia. Eroe e santo. Non diede solo quel che aveva agli uomini e alle donne del suo tempo, ma diede tutto quel che aveva, anche il dono migliore, il più prezioso, che era la sua vita. E la diede completamente. Non si risparmiò mai. Apostolo e martire della carità, morì malato di lebbra, immedesimandosi con quanti tra il suo popolo erano affetti da quella malattia, che portava con sé solitudine e isolamento, perché suscitava paura e rifiuto. Brochero c’era. Brochero c’è. Nel suo ministero sacerdotale, cercò tutti, si avvicinò a quelli che più soffrivano. Consolò e assistette i malati.
Nacque nei pressi di Santa Rosa del Río, il 16 marzo 1840. Il giorno successivo fu portato dalla madre Petrona Dávila e dal padre Ignacio Brochero alla chiesa parrocchiale per ricevere la grazia del battesimo. A sedici anni entrò nel seminario dell’allora diocesi di Córdoba. Fu ordinato sacerdote nella chiesa cattedrale il 4 novembre 1866. La provvidenza ci dona questa grazia a centocinquant’anni da quell’evento e noi ricordiamo con gratitudine ed emozione il salmo 109: «Tu sei sacerdote per sempre». Celebrò la sua prima messa il 10 dicembre di quell’anno, festa di Maria Vergine di Loreto.
Brochero volle consumare la sua vita annunciando il Vangelo, affinché i suoi fratelli incontrassero Gesù. Viaggiò molto nella valle e nella sierra, con il freddo e con il caldo, con il sole e con la pioggia. Seppe percorrere sentieri vicini e lontani, per non escludere nessuno dall’allegria e dalla consolazione che la gioia dell’incontro genera.
Capì che il Vangelo e la promozione umana sono le due facce della stessa medaglia. Non sono una diversa dall’altra. La fede si deve incarnare e questa incarnazione guarisce e trasforma la vita e la realtà di chi la riceve. Mentre procedeva verso la sua prima destinazione, attraversando il massiccio delle Altas Cumbres, disse: «Qui c’è tutto da fare». E lo volle fare dando la priorità alla grazia. Il suo “piano pastorale” fu di lavorare senza sosta affinché i suoi concittadini facessero gli esercizi spirituali di sant’Ignazio, che lui chiamava “bagni dell’anima”. A tal fine andava a cercare i suoi fedeli di rancho in rancho (semplici case di fango e mattoni crudi), con la sua mula Malacara, invitando tutti e, come il buon pastore, in primo luogo quelli più lontani; «è per loro che è venuto Gesù Cristo», era solito dire.
La casa degli esercizi, che si trova nel paese che porta il suo nome, Villa Cura Brochero, è il monumento spirituale che ci ricorda ancora oggi l’efficacia dei suoi esercizi come strumento di trasformazione del nostro popolo. Non ci sarà una patria nuova, non ci saranno famiglie e comunità nuove se non ci saranno cuori e uomini nuovi. Per l’Argentina Mama Antula, promotrice e apostola dei santi esercizi beatificata di recente, e padre Giuseppe Gabriele del Rosario (Cura Brochero), che viene canonizzato, e la venerabile Catalina Rodríguez, sono, credo, segni di Dio che ci indica che è questo il cammino da seguire «per la trasformazione e l’incontro». Perciò continuare l’opera significherà lavorare affinché tutti, senza esclusione alcuna, possano fare questa esperienza spirituale.
Ci sarebbe molto da dire sul suo lavoro sacerdotale. Fu parroco, perciò battezzava, predicava, insegnava il catechismo, confessava, amministrava il sacramento degli infermi, celebrava l’Eucaristia e pregava, recitava il suo breviario e il suo rosario. Visse il sacerdozio fino alla fine e con passione. Per questo poté dire, nella lettera che il 2 febbraio 1907 scrisse al segretario del vescovado, padre Eduardo Ferreira: «Sarei felice se Dio mi togliesse da questo pianeta mentre sto seduto a confessare e a predicare il Vangelo».
Conosciamo la sua fedeltà e le esigenze insite nel vivere il suo ministero sacerdotale; senza curarsi dei rischi, arrivava sempre, perché per lui la parola data era sacra. Secondo alcuni testimoni, attraversò il fiume pericoloso e in piena per assistere “l’anziana Francesca” come le aveva promesso. Noi vescovi della provincia di Córdoba nel settembre del 2013 abbiamo affermato quanto segue: «Un tratto tipico della sua vita sacerdotale fu la presentazione del Vangelo mediante un linguaggio vivo e vicino alla comprensione della gente comune. La sua preoccupazione era d’illuminare la vita dei suoi fedeli a partire dalla parola di Dio, non in modo generale e astratto, ma applicandola alle circostanze concrete della vita. Durante le cavalcate e i viaggi si dedicava anche alla preghiera silenziosa e costante da cui poi nasceva la sua predicazione. I lunghi momenti passati a pregare dinanzi all’Eucaristia, come pure il suo amore e la sua devozione alla santissima Vergine Maria, gli diedero quella profondità che è propria della parola che scaturisce dalla contemplazione e che poi si espande nell’azione apostolica. Il suo tempo terreno, la sua vita fu feconda. La lettera che scrisse il 28 ottobre 1813 dal Tránsito a un suo amico del seminario, a quel tempo vescovo di Santiago del Estero, mostra l’animo e la ricchezza di padre Brochero, mostra la ricchezza della sua “vita povera e donata”».
Questo è il testo della lettera inviata al vescovo di Santiago del Estero, Yañiz Martín: «Mio caro, ricorderai che dicevo di me stesso che sarei stato sempre tanto energico, come il cavallo Chesche che morì galoppando; ma non tenevo mai conto che è Dio Nostro Signore che vivifica e mortifica, che dà le energie fisiche e morali e che le toglie: ebbene, sono quasi completamente cieco, distinguo appena la luce del sole, non riesco a vedere neppure le mie mani, inoltre ho quasi perso la sensibilità dai gomiti alla punta delle dita e dalle ginocchia ai piedi, e così qualcuno deve aiutarmi a vestirmi e a svestirmi; la messa la dico a memoria, è quella della Vergine il cui Vangelo è: extollens quaedam mulier de turba...; per dividere l’ostia consacrata, e per mettere la palla rotonda al centro del corporale chiamo l’aiutante perché mi dica se ho preso bene la forma, perché si divida dove ho indicato, e se la palla rotonda è al centro del corporale per ripiegarlo; faccio molta fatica a piegarmi e moltissima a raddrizzarmi, anche se mi afferro alla mensa dell’altare. Vedi come si è ridotto Chesche, l’energico, il brioso. Ma è un grandissimo favore che mi ha fatto Dio Nostro Signore liberandomi completamente dalla vita attiva e lasciandomi solo con la vita passiva, voglio dire che Dio mi ha dato come occupazione... di pregare per gli uomini passati, per quelli presenti e per quelli che verranno fino alla fine del mondo. Il Signore non ha fatto lo stesso con te; ti ha caricato dell’enorme peso della mitra finché non ti toglierà da questo mondo, perché ti ha considerato più uomo di me, per non dirti apertamente che sei stato e sei più virtuoso di me. Mi ha spinto a scriverti il fatto di aver sognato per tre volte di stare in funzioni religiose accanto a te, e anche perché il 4 del prossimo mese celebreremo 47 anni da quando Dio ci ha scelti come principi della sua corte, per la qual cosa gli rendo sempre grazie, affinché ci ritroviamo insieme nel gruppo degli apostoli nella metropoli celeste. J. Gabriel Brochero».
Morì, o meglio visse la sua pasqua, a Villa Tránsito tre mesi dopo aver scritto questa lettera, il 26 gennaio 1914.
Noi, sacerdoti e pastori, lo consideriamo un faro e un punto di riferimento, ma anche i laici conoscono la sua opera. Pellegrini provenienti da tutto il Paese vengono al santuario per visitare il luogo dove si venerano le sue spoglie. Si recano alla casa di Dio Padre, e trovano anche padre Brochero, un padre vicino e amico, che ascolta e abbraccia. Lo supplicano e lo ringraziano. Raccontano le loro esperienze delle tante grazie ricevute. Molti in questi anni sono arrivati come turisti e sono andati via come pellegrini. Anno dopo anno la sua fama si è diffusa, e dalla sua beatificazione il santuario accoglie molti pellegrini che vengono a visitarlo. Brochero è un buon amico di Gesù e un fedele intercessore. Il popolo lo fiuta, lo sente padre, lo chiama Cura o Curita Brochero.
Cura Brochero, Giuseppe Gabriele del Rosario, donaci la grazia di prendere ogni giorno coscienza di questo dono della tua vita. Has pispiado bien, ti sei “impicciato” bene, sei nel ricordo non solo dei serranos ma di tutta l’Argentina.

L'Osservatore Romano