giovedì 15 settembre 2016

Il dogma di Cristo che dà sostanza al Papato

L'anello del pescatore di Papa Francesco

di Antonio Livi (lanuovabq)


Sono riapparse opinioni, anche estreme, che già da tre anni turbano la coscienza dei cattolici. Tra queste, la più estrema è quella dei cosiddetti “sedevacantisti”, ossia di coloro che sostengono essere vacante la sede di Pietro, in quanto l’attuale Pontefice (o addirittura tutti i papi dopo Pio XII) non sarebbe stato eletto validamente. Affine a questa posizione è quella di quanti vanno ripetendo (assai imprudentemente) che papa Francesco è da considerarsi un “Antipapa”.
Un’altra opinione estrema è quella di chi parla di “scisma” più o meno sommerso, come se la Chiesa fosse effettivamente scissa e divisa in due, non soltanto culturalmente e ideologicamente, ma proprio dal punto di vista giuridico, ossia in base alle vigenti leggi canoniche. Da una parte ci sarebbero i vescovi fedeli alla Tradizione, con il loro popolo, dall’altra i vescovi “eretici” e addirittura “apostati”. Un vero e proprio scisma, in effetti, ci fu quando il papa Paolo VI dovette sanzionare con gravissimi provvedimenti canonici la disobbedienza del vescovo tradizionalista Marcel Lefebvre, il quale aveva ordinato altri vescovi senza l’autorizzazione della Santa Sede; successivamente, però, con il pontificato di Benedetto XVI lo scisma come tale è stato gradualmente ricomposto, anche se i motivi dottrinali di dissidio (l’accettazione senza riserve della dottrina del Vaticano II) restano ancora un ostacolo apparentemente insuperabile alla piena riconciliazione.
C’è poi, più recentemente, chi sostiene che il vero Papa continui ad essere Benedetto XVI, il quale proprio per questo non avrebbe rinunciato a vestire l’abito pontificio e a fregiarsi del titolo di “Papa”, sia pure “emerito” (ma la figura giuridica del papa emerito ancora non esiste nel diritto canonico, per cui nessuno può dire se corrisponda a qualche effettiva funzione di governo della Chiesa).
Si tratta, in tutti questi casi che ho elencato, di deduzioni che talvolta potrebbero risultare anche corrette, ma solo se fossero riconosciute come realmente sono, ossia come “sillogismi ipotetici”, mentre invece vengono presentate come se fossero “sillogismi apodittici”, cioè deduzioni logicamente inconfutabili, dotate di assoluta certezza. Queste teorie estreme, infatti, assumono come premessa maggiore dei principi astratti, sia teologici che canonistici, che sono indubbiamente de fide catholica e quindi certi; allo stesso tempo, però, assumono come premessa minore dei dati di fatto che si presumono evidenti e invece non lo sono. Si tratta, infatti, di rilevamenti sociologici (di per sé sempre approssimativi) oppure di mere congetture, di sospetti, di scenari occulti che si presume di aver scoperto con chissà quali segrete investigazioni. Non si tratta, in alcun caso, di dati pubblici e certi, basati su documenti da tutti consultabili e su notizie a tutti accessibili.
Faccio un esempio. Chi dice che l’elezione di questo o quel papa è stata viziata da gravi inadempienze canoniche ragiona a partire dal principio teologico-giudico che il Papa non è validamente eletto se non a date condizioni, formalmente previste dalla legge della Chiesa. Ma se poi, una volta richiamato il principio, che tutti possono conoscere e che da tutti va ritenuto fuori discussione, in quanto certissimo, si passa all’affermazione che di fatto, quelle date condizioni non si sono realizzate (in quanto non è stata rispettata la procedura, o ci sono stati condizionamenti esterni al Conclave eccetera), nel ragionamento viene inserito un elemento impossibile da utilizzare come documento di prova: non bastano infatti vaghe supposizioni, e nemmeno presunte “voci” o “indiscrezioni” trapelate ad opera di qualche testimone (che sarebbe ovviamente evidentemente inattendibile, perché tra l’altro sarebbe incorso nella scomunica latae sententiae per aver violato il secretum pontificium relativo alle votazioni nel Conclave) per fare da “premessa minore” del sillogismo, che resta una mera congettura, più o meno azzardata.
Insomma, queste deduzioni, che, anche prescindendo dalla loro legittimità o ammissibilità in sede di discussione teorica, sono da considerarsi tutt’al più ipotetiche, non dovrebbero essere presentate come apodittiche, ossia come se fossero pienamente giustificate dai dati di fatto (concreti, storici) dai quali partono. Occorre quindi consigliare i nostri lettori a diffidare di tali ipotesi estreme, che – da un punto di vista rigorosamente teologico-pastorale –  a nulla servono se non a turbare l’opinione pubblica cattolica, già fin troppo turbata dalla ridda di interpretazioni che ormai da anni accompagna le esternazioni estemporanee e più ancora le clamorose iniziative di governo ecclesiastico (riforme, nomine, allontanamenti, relazioni inter-religiose) di papa Francesco.
Abbiamo il dovere di consigliare i nostri lettori a diffidare di tali ipotesi estreme perché sentiamo la responsabilità di contribuire ad orientare positivamente (per questo il nostro giornale si chiama la “Bussola”) l’opinione pubblica ecclesiale, il che significa – in concreto – offrire criteri certi per la formazione della coscienza dei credenti. In effetti, i credenti hanno il dovere di coscienza di venerare il Papa (sempre), di ascoltarlo senza prevenzioni (quando parla del Vangelo) e di obbedire alle sue direttive pastorali (quando li riguardano). Ma, per aiutare i fedeli cattolici a sentire nella propria coscienza questo dovere, occorre sgombrare il campo dai falsi problemi suscitati dalle dispute accademiche, dalle polemiche ideologiche, dalla propaganda di una o di un’altra delle tante fazioni che si sono formate nella comunità cristiana: conservatori e progressisti, tradizionalisti e modernisti, papisti e antipapisti, fans di Ratzinger e fans di Bergoglio.
Una sola cosa importa («porro unum est necessarium») ed è questa: rimettere continuamente al centro e al di sopra di tutto ciò che nella struttura gerarchica ecclesiastica e nella persona del Papa è il dogma, la volontà salvifica di Cristo, la sua dottrina: che non è mai, in alcun caso, una verità riservata a pochi eletti (gli “spirituali”, secondo l’eresia gnostica), ai cosiddetti “bene informati”, ma è un dato di comune dominio, accessibile a tutti nella Chiesa perché contenuto nella rivelazione pubblica.
Alcuni mesi addietro pubblicati sulla Nuova BQ un articolo, intitolato Obbedienza al Papa, solo in relazione a Cristo, in cui raccomandavo ai lettori di uscire dalla spirale delle inutili discussioni pro e contro certi tratti del pontificato attuale. Raccomandavo di restare sempre ancorati al dato di fede: il Papa – chiunque egli sia – è il Vicario di  Cristo sulla Terra, ha il compito e il carisma di rendere efficace, per ciascun fedele, la triplice potestà di Cristo: di insegnare (munus docendi), di governare (munus regendi) e di santificare (munus sanctificandi). In base a questo dato di fede, l’unica cosa che importa è conoscere i suoi atti ufficiali di Magistero (per accettare con fede i suoi insegnamenti, se vincolanti) e di governo ecclesiastico (per obbedire alle sue disposizioni, se obbliganti).
Davanti a Dio, il cristiano risponde in coscienza soltanto di ciò che tutti devono sapere e di fatto sanno, non di ciò che è riservato alla conoscenza di chi ha accesso alle “segrete stanze” o è entrato in possesso di “informazioni confidenziali”, o semplicemente ha dedicato molto tempo a documentarsi su Internet, raccogliendo mille diverse supposizioni o congetture su ciò che non è di pubblico dominio. Ogni fedele sa sempre che c’è il Papa come supremo Pastore della Chiesa, senza bisogno di sapere chi è in quel momento e senza bisogno di sapere tutto quello che egli quotidianamente decide di fa o di non fare.
Prima dell’era attuale, che è l’era del Papa superstar, quasi nessuno dei fedeli aveva l’occasione di conoscere, sui Pontefici del proprio tempo tutti quei dati biografici e tutti quegli aneddoti di vita privata che invece oggi ci vengono incessantemente proposti dai mass media di tutto il mondo, siano essi cattolici oppure ostili o indifferenti al cattolicesimo. Alla vita di fede dei cattolici ben poco giova il profluvio di notizie e di immagini che ci vengono fornite ogni giorno, con i commenti positivi (papolatria) o negativi (papofobia) che si accavallano ogni settimana fino a stordire anche i più riflessivi tra noi.
E a ben poco giova seminare il dubbio su chi governa la Chiesa di Cristo, ipotizzando l’assenza a Roma di un legittimo successore di Pietro per via di possibili elezioni invalide, possibili apostasie dalla vera fede, possibili adesioni alla Massoneria… La fede quotidiana dei cattolici non si deve basare su ciò che è “possibile” (ipotetico) a giudizio di qualcuno che si ritiene più esperto e meglio informato, ma solo su ciò che nella Chiesa è di pubblico dominio e che agli occhi di tutti risulta vero “fino a prova contraria” (che non equivale a “fino a sospetto contrario”).
Quando espongo questo criterio – con ragionamenti che si attengono alle norme essenziali della pratica della fede cattolica – qualcuno, ormai irrimediabilmente contagiato dalla “cultura del sospetto”, mi obietta: «E se poi Francesco non fosse davvero il Papa legittimamente eletto? E se poi Benedetto non si fosse validamente dimesso? Non staremmo allora onorando un falso Papa, addirittura un Antipapa? E se davvero ci trovassimo in una situazione di scisma nella Chiesa cattolica, non dovremmo scegliere consapevolmente se stare da una parte o dall’altra?». Io rispondo allargando il discorso a tutto ciò che concerne la pratica della fede cattolica nei confronti di Cristo Signore, e faccio presente che è Lui che ammaestra i fedeli tramite gli Apostoli e i loro successori, da Lui dotati a questo scopo del carisma dell’infallibilità; è Lui che governa la Chiesa tramite il collegio dei vescovi con a capo il Papa; è Lui che santifica la Chiesa mediante i sacramenti della grazia, amministrati da chi ne ha il potere a Lui conferito. Quando un cattolico, con i dati di pubblico dominio a sua disposizione, individua la presenza di Cristo Maestro, Re e Sacerdote in un tempo e in luogo dell’esistenza storica della Chiesa, gli atti di fede, di speranza e di amore di questo cattolico – del quale Dio vede le disposizioni sincere di adorare e di servire Cristo Signore – non possono essere mai vanificate (rese nulle agli occhi di Dio) per via della sua ignoranza incolpevole di dati di fatto, a lui inaccessibili, riguardanti i sacri ministri.
La Chiesa insegna che «sacramenta propter hominem» e che, in caso di mancanza di quelle condizioni interiori e rituali che si richiedono nei sacri ministri (strumenti umani della grazia divina), «supplet Ecclesia». Se, ad esempio, un fedele entra in una chiesa e sta in adorazione davanti al Tabernacolo (perché vede la lampada ad olio accesa lì di fianco e giustamente presume che nel Tabernacolo siano conservate le ostie consacrate e che quindi ci sia la presenza sacra mentale di Cristo), agli occhi di Dio la sua azione non è certamente idolatria o vana superstizione: egli ha rivolto l’intelletto e il cuore a Cristo Signore, che avrebbe dovuto, secondo la prassi ordinaria della Chiesa, essere presente sotto le specie sacramentali nel Tabernacolo di quella chiesa, e certamente  Dio, infinitamente giusto e misericordioso, avrà accolto benignamente quell’atto di adorazione, valutandolo come meritorio e santificante. Su questo non debbono esserci dubbi.
Insomma, chi cerca Cristo lì dove dovrebbe essere secondo una legitima praesumptio, sulla base delle leggi della Chiesa, certamente lo trova; se le vie ordinarie sono chiuse per colpa dei sacri ministri - vittime della propria fragilità o delle proprie miserie, o addirittura consapevolmente infedeli al loro mandato - quelle straordinarie non possono mai essere chiuse da alcun potere, né umano né diabolico. Sicché, chi onora e ama e segue Cristo Maestro, Re e Sacerdote nella persona di colui che in un dato momento occupa la sede del vescovo di Roma, non può essere privato del merito e della grazia di questo suo atto: egli onora e ama e segue Cristo effettivamente, anche nell’ipotesi (improbabilissima, ma pur sempre ammissibile come ipotesi) che quella persona non dovesse avere tutti i requisiti morali e giuridici richiesti dalla legge della Chiesa per esercitare il ministero petrino.
E se questo è vero, come indubbiamente è vero, allora nulla dovrebbe irretire nel “dubbio iperbolico” (Descartes) i fedeli cattolici, nemmeno in questo momento in cui la confusione regna sovrana nell’opinione pubblica, ma non può e non deve regnare nelle coscienze di chi ragiona in termini di autentica fede teologale.