giovedì 4 agosto 2016

Nostalgia di paradiso.



(José Rodríguez Carballo) Si celebra quest’anno l’ottavo centenario dell’indulgenza della Porziuncola, piccola porzione di terreno, con una cappelletta semidistrutta dedicata alla Vergine, che apparteneva ai benedettini di monte Subasio, nei dintorni di Assisi. Da fonti francescane sappiamo che Francesco «amò questo luogo sopra tutti gli altri al mondo, poiché qui — ci dice san Bonaventura nella Leggenda maggiore — cominciò con umiltà, qui progredì nella virtù, qui terminò felicemente il corso della vita». Nella Porziuncola il poverello condusse i suoi primi dodici frati. 
E lì, dove «la Madre delle misericordie» aveva creato qualche anno prima l’ordine dei frati minori, creò anche l’ordine delle sorelle povere. Era il 1211 quando la giovane Chiara, abbandonata «casa, città e famiglia», si rifugiò nella Porziuncola per consacrarsi al Signore e abbracciare la forma di vita che Francesco le avrebbe indicato e che poi Innocenzo iv avrebbe benedetto. Secondo le fonti, l’indulgenza della Porziuncola fu ottenuta dallo stesso Francesco da Onorio III, quando questi si trovava a Perugia nel 1216. Nota anche come “perdono di Assisi”, essa si celebra tutti gli anni il 2 agosto in tutte le chiese francescane del mondo, in particolare nella basilica di Santa Maria degli Angeli, custode amorosa della perla francescana, luogo santo tra i santi, come si legge sulla porta di entrata della cappelletta. Si tratta di un’indulgenza che Francesco chiese per i poveri, perché, contrariamente ad altre, non si dovette pagare nulla per ottenerla. Si tratta, anche, di un’indulgenza ottenuta per intercessione della Madre della misericordia, la Vergine fatta Chiesa, come canta lo stesso Francesco: Nostra Signora degli Angeli, della quale il poverello era particolarmente devoto. Perché Francesco ebbe l’ardire di chiedere questa indulgenza che avrebbe mutato la prassi penitenziale della Chiesa? Il “perdono di Assisi” ci permette di scoprire la profondità dello spirito di Francesco che, come afferma san Bonaventura, «desiderava con affettuosa pietà la salvezza delle anime e provava per esse uno zelo ardente». 
Francesco strappa dal cuore di Cristo la promessa di un perdono totale e immenso, che non esclude nessuno di coloro che, per povertà, non potevano pellegrinare in Terra santa o a Santiago de Compostela. L’indulgenza della Porziuncola mostra precisamente questa grande sollecitudine di Francesco verso i poveri. È, come già si è detto, l’indulgenza dei poveri e per i poveri. A Onorio III, che gli chiede per quanti anni desidera che gli sia concessa l’indulgenza straordinaria, Francesco risponde coraggiosamente che non chiede anni ma anime. Egli vuole che il fiume di misericordia, sgorgato dal cuore ferito del Redentore e a disposizione di tutti grazie all’intercessione della Regina degli angeli, possa fluire lentamente e dare refrigerio a quanti avrebbero varcato la soglia di questo «luogo santo», particolarmente ai poveri. Da allora, come ha ben scritto Joseph Ratzinger, «la Porziuncola è un luogo dell’anima, in cui Francesco ha risvegliato la nostalgia del paradiso». Bella e provvidenziale coincidenza, questa del centenario, con l’anno della misericordia convocato da Papa Francesco, che proprio alla Porziuncola si reca nel pomeriggio di giovedì 4 agosto. Una coincidenza che ci dà l’opportunità di scoprire Francesco d’Assisi come uno dei grandi profeti e apostoli della misericordia. In che senso? In Francesco, tutto ha inizio, anche la sua missione di profeta e apostolo della misericordia, dalla scelta fatta per il Vangelo. 
Dopo averlo ascoltato alla Porziuncola, esclamerà: «Questo è quello che voglio, questo è quello che cerco, questo è quello che nella più profonda intimità del cuore anelo a mettere in pratica». Da allora, desiderando vivere il Vangelo con serietà, radicalità e “sine glossa”, fa di esso la sua guida e lo assume come regola di vita per lui e per tutti i suoi seguaci, il che gli permette di seguire fedelmente le orme di Cristo povero e crocefisso, fino a identificarsi con lui. Essendo Gesù, quale è, il «volto della misericordia del Padre», come ci ricorda Papa Francesco, chi conduce una vita cristiforme, come nel caso di Francesco di Assisi, non può fare a meno di trasformarsi in profeta e apostolo della misericordia. Questa è la radice, prima e ultima, della missione del poverello di Assisi come testimone della misericordia. Questa missione è inoltre conseguenza del suo sentirsi “misericordiato” dal Signore, primo passo per essere testimone convinto e credibile di misericordia. 
Chi ha coscienza del proprio peccato — Francesco nel suo Testamento farà riferimento al periodo precedente alla sua conversione confessando di «quando viveva nel peccato» — e si sente perdonato per pura misericordia, non potrà fare a meno di usare e proporre misericordia a tutti. È ciò che sperimentò e fece Francesco quando, dopo essersi sentito oggetto di misericordia da parte del Signore, «usando misericordia» con il lebbroso, lo abbracciò e lo baciò. Il bacio al lebbroso non è altro che la conseguenza di sentirsi baciato, amato e perdonato lui stesso grazie alla misericordia del Padre. Come non vedere in questo abbraccio a uno dei lebbrosi un gesto che ci avvicina a quelli che chiede Papa Francesco a noi tutti nella Misericordiae vultus: «Apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto. Le nostre mani stringano le loro mani, e tiriamoli a noi perché sentano il calore della nostra presenza, dell’amicizia e della fraternità». 
Francesco è ben consapevole della doppia realtà nella quale vive: una realtà di peccato da parte sua e una realtà di grazia e di misericordia da parte del Signore. Quando frate Maseo, uno dei suoi primi compagni, stupito dal gran numero di seguaci di Francesco, gli chiese per tre volte: «Perché a te?», il poverello, «guardando il cielo», rispose: «Perché tra i peccatori non ce n’è un altro più vile, né miserabile, né più grande peccatore di me». Francesco si sente profondamente peccatore, ma questa realtà non lo abbatte, lo porta piuttosto a confessare che lui e tutti siamo stati salvati e redenti «dalla sua sola misericordia». 
È la misericordia del «Padre delle misericordie», come sorella Chiara ama chiamare Dio nel suo Testamento. Francesco sperimenta la misericordia di Dio anche attraverso le elemosine. Se il lavoro non fosse sufficiente per il sostentamento dei fratelli, particolarmente degli infermi, il poverello non esita a raccomandare ai suoi fratelli che corrano a chiedere l’elemosina «con fiducia» alla mensa del Signore poiché il Padre non farà a meno di usare misericordia con i suoi figli che confidano in lui. Questa esperienza di misericordia, che la comunità toccò con mano in molte occasioni, porta Francesco e i suoi fratelli a praticare, dalla loro povertà, la misericordia dell’elemosina con tutti i bisognosi, particolarmente coloro che la chiedano per «amor di Dio». Dio usa la misericordia dell’elemosina con lui e con i suoi fratelli: né lui né i suoi fratelli potranno negare agli altri questa stessa misericordia. Questa profonda convinzione li porta a disfarsi del libro dei Vangeli (un vero tesoro in quel momento) per aiutare la madre di un frate che aveva necessità. Altra espressione della misericordia che Francesco mette in atto è l’accoglienza e ospitalità, con tutto ciò che questo comportava allora, come può comportarlo oggigiorno. Se Dio non chiuse la porta a Francesco, se Dio non la chiude a nessuno, dunque non si stanca di perdonare (Papa Francesco), come si potrà chiudere a chi bussa alla porta? Qualsiasi sia la condizione di coloro che chiedono ospitalità: chiunque venga dai fratelli, «amico o avversario, ladro o bandito, sia accolto benevolmente». Vedo qui un’altra espressione di quanto chiede Papa Francesco con l’anno della misericordia: «Aprire il cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali». 
Tenendo conto di questo, non possiamo non pensare alle opere di misericordia. Attraverso di esse, la misericordia non rimane un semplice sentimento, ma si traduce nella condivisione, nella solidarietà e, in definitiva, nell’amore. La misericordia è passione che si fa compassione, è una vita condivisa. Accogliere e dare, è ciò che ci insegna il poverello in questo anno della misericordia. E l’amore o è concreto, come quello che ci manifestò Gesù nel morire per noi, o è una semplice ideologia e per questo non merita questo nome. Francesco d’Assisi «fa misericordia», manifesta la misericordia anche attraverso il perdono. Lui perdonato, non desidera escludere nessuno dal perdono. In questo senso è programmatica la lettera scritta da Francesco a un sacerdote il cui nome non conosciamo, che sta soffrendo a causa della presenza di fratelli peccatori nella comunità. Questa lettera, redatta tra il 1221 e il 1223, è ciò che potremmo chiamare la “magna carta della misericordia”. Vi si legge tra l’altro: «Che non ci sia frate al mondo che abbia peccato quanto possa peccare che, dopo aver visto i tuoi occhi, si allontani da te senza il tuo perdono misericordioso, se lui te lo chiedesse, e, se non ti chiede misericordia, chiedi tu a lui se vuole misericordia. E se torna a peccare mille volte davanti ai tuoi occhi, amalo più di quanto ami me per questo: che tu possa attrarlo al Signore e abbia sempre misericordia di tali fratelli». Davanti al peccato di un fratello, e anche di qualsiasi altri, il prezzo da pagare per chi esercita l’autorità o chi è stato chiamato a esercitare il ministero della riconciliazione — pensiamo ai sacerdoti — è il gioioso prezzo della misericordia. 
D’altra parte, è nell’esercizio del perdono, senza limiti come chiede il Vangelo, il luogo nel quale siamo chiamati a vivere la vera ascesi, la più impegnata e la meno narcisista. Che atteggiamento umanissimo — perché anche divino — quello di Francesco e quale contrasto con la logica e l’atteggiamento di questo mondo che tutto permette e tutto procura, ma che nulla perdona! Sempre nella stessa lettera, Francesco dà ai confessori una regola d’oro: «Non abbiano il potere di imporre altra penitenza al di fuori di questa: va’ e d’ora in poi non peccare più». Francesco è un uomo «misericordiato» dal Signore, che si trasformò in profeta e apostolo di misericordia; un uomo che entrò nelle viscere della misericordia del Padre e che non ha mai conosciuto altro cammino, nel suo seguire Cristo, che il cammino della misericordia. La misericordia fatta compassione e l’amore fatto perdono sono le basi della grande rivoluzione che tutti desideriamo e di cui tutti abbiamo bisogno. Misericordia e perdono sono atteggiamenti traducibili in comportamenti concreti necessari, se non vogliamo autodistruggerci. L’anno della misericordia ci chiede di essere misericordiosi come il Padre. E Francesco d’Assisi ci dice, come disse prima di morire ai suoi frati: «Io ho fatto il mio compito, il Signore vi indichi il vostro».

L'Osservatore Romano