venerdì 22 luglio 2016

Carmen e quel pane spezzato con i poveri



da Aleteia – di Miguel Cuartero Samperi (20/07/2016)
“Vi do una grande notizia: oggi, alle 16,45, la nostra sorella Carmen è partita per il Cielo. È certo che Nostro Signore Gesù è venuto a prendere la sua anima per portarla con sé”.
Inizia così la breve lettera con la quale Kiko Argüello ha voluto annunciare la morte di Carmen Hernández assieme alla quale, negli anni sessanta, ha dato vita all’esperienza del Cammino Neocatecumenale, una delle realtà più vivaci e diffuse tra quelle sorte dopo il Concilio Vaticano II. In poche ore la lettera ha fatto il giro del mondo, condivisa attraverso email, cellulari e social network tra i tanti appartenenti al Cammino sparsi in tutto il mondo che, da un anno a questa parte, seguivano con preoccupazione l’evolversi della malattia e il progressivo peggioramento dello stato di salute dell’iniziatrice spagnola.
Carmen Hernández è morta all’età di 85 anni nella sua casa di Madrid, nell’ottava della festa della Madonna del Carmelo, circondata dall’affetto delle persone che l’assistevano in questo periodo di malattia, raggiunta da Kiko (il tempo di darle un “bacetto” e dirle “coraggio”, afferma nella sua lettera) e sostenuta dalle preghiere di più di un milione tra fedeli, sacerdoti e vescovi che l’hanno conosciuta. A salutarla prima di morire anche Papa Francesco: il primo luglio, durante l’udienza privata concessa a Kiko Argüello e Mario Pezzi, Carmen ha avuto modo di parlare al telefono col Santo Padre che in un simpatico scambio di battute la incoraggiò augurandosi di poterla incontrare presto.
L’infanzia, gli studi e il sogno delle missioni
María del Carmen Hernández Barreda nacque il 24 novembre del 1930 a Olvega, un piccolo comune in provincia di Soria, nella regione di Castilla y León.  Presto la sua numerosa famiglia, si trasferì a Tudela (Navarra) dove Carmen passò gran parte della sua giovinezza. Frequentò la scuola dalle suore della Compagnia di Maria dove fin da piccola subì il fascino delle missioni. Accanto alla sua scuola c’era il collegio dei Gesuiti “San Francisco Javier”: Carmen e le sue compagne assistevano al via vai di missionari che andavano e venivano dal lontano Oriente: Giappone, India, Cina… i racconti dei missionari, i filmati e le immagini di quei paesi lontani suscitarono in lei il desiderio di partire per evangelizzare i popoli più lontani; lei stessa racconterà: “Fin da piccola sentivo la chiamata di Dio a partire per le missioni (…). Prima di conoscere San Paolo conobbi San Francesco Saverio che per me rappresentava l’ideale di cristianesimo, il mio ideale era andare in missione e, non so perché, pensavo sempre all’India”. Quando Carmen aveva 15 anni la famiglia si trasferì nuovamente, questa volta nella capitale Madrid. Il sogno delle missioni non si spense e, finita la scuola dell’obbligo, la giovane manifestò la seria intenzione di partire per l’India con la Bibbia regalatagli da un sacerdote, che conservava come un tesoro. Il padre si oppose fermamente obbligandola a iscriversi all’università per prepararsi ad un futuro da imprenditrice nel campo industriale.
La fuga e la formazione: verso l’India
A 21 anni Carmen, ottenuta la laurea in chimica, era pronta per aiutare il padre a gestire il lavoro delle sue fabbriche. Ma un giorno fuggì da quel luogo per rifugiarsi a Javier, la città natale di San Francesco Saverio, lontano dalle fabbriche, dove si respirava un’aria diversa e dove si viveva l’entusiasmo delle missioni che in quegli anni crescevano sempre più, verso l’Africa e l’Asia. Il Signore stava confermando la sua vocazione, una voce la chiamava: “Vieni e seguimi”, Dio la chiamava a “buttarsi” con Lui in una nuova avventura. Entrò a far parte dell’istituto “Missioni di Cristo Gesù” che viveva un momento di grande fervore e slancio missionario e si preparò per le missioni finché non fu finalmente destinata all’India.
La notte oscura: un’inspiegabile decisione…
In seguito ad alcuni cambiamenti ai vertici dell’Istituto e ad una presa di posizione più conservatrice rispetto alle aperture carismatiche che lo caratterizzavano, dopo otto anni dal suo ingresso, Carmen assieme ad altre sorelle venne invitata dalle superiore a lasciare la comunità. Si trovava a Barcellona, in scalo, nel viaggio verso l’India, quando una lettera sembrò frantumare i sogni, oramai quasi realizzati, della sua giovinezza. “Fu per me vivere una kenosis – racconta. A Barcellona il Signore mi fece partecipare della Passione di Cristo”. La difficoltà nel capire cosa stava succedendo e di vedere frustrata ciò che considerava la sua vocazione, la fece soffrire fino alle lacrime, mentre contemplava il Cristo che moriva in croce fuori da ogni logica umana. Era il 1962, in quell’anno doloroso Carmen trovò il sostegno del vescovo di Valencia e la consolazione della Grazia che le permise di soffrire senza disperarsi ma appoggiandosi alla croce di Cristo: “Anche se sembra strano – racconterà in seguito – fu un’esperienza straordinaria, non avevo mai sperimentato così tanto la presenza di Dio come su quella croce”. Furono mesi di tribolazioni e di preghiere finché Carmen fu costretta ad abbandonare l’istituto. Fu a Barcellona che Carmen conobbe il liturgista Pedro Farnés Scherer, che la introdusse al cuore del movimento liturgico che già anticipava il rinnovamento del Concilio Vaticano II.
“Sono rotti i miei legami… Guadagnerò il mio regno!”
Lasciato l’istituto Carmen andò a vivere nelle baracche di Barcellona e a lavorare nelle fabbriche per guadagnarsi da vivere. Poi partì per Israele, un tempo di grazia dove poté scrutare le Scritture peregrinando in Terra Santa, approfondendo la storia della Salvezza e il mistero di Cristo. Risale a quel periodo una cartolina che spedì a una missionaria di Pamplona dove Carmen faceva sue le parole del poeta indiano Tagore, parole che esprimono la gioia di chi si sente ormai libero di partire, senza legami, verso i luoghi più remoti, per affrontare nuove battaglie: “Sono rotti i miei legami, pagati i miei debiti, le mie porte spalancate, me ne vado da ogni parte” e ancora: “Essi, accovacciati nel loro angolo continuano a tessere la tela delle loro ore, e mi chiamano affinché li segua. Ma già la mia spada è forgiata, già ho messo l’armatura, il mio cavallo è impaziente: guadagnerò il mio Regno”! Queste parole furono in seguito musicate da Kiko per i giovani (il canto “Carmen ‘63”) come un incoraggiamento a partire per l’evangelizzazione dove fosse necessario. Ora Carmen pensava anche all’America Latina, ai minatori della Bolivia; ma nel frattempo, assieme ad alcune amiche, arrivò a Madrid dove un incontro inaspettato segnò la svolta nella sua vita.
L’incontro con Kiko nelle baracche di Madrid, la comunità dei poveri.
Nel frattempo Francisco Argüello, detto Kiko, aveva lasciato la casa paterna, le belle arti e i salotti borghesi di Madrid per “vivere ai piedi di Gesù come Charles di Foucauld”. Dopo una grande crisi esistenziale Kiko aveva trovato il suo posto nelle baracche di Palomeras Altas, con la chitarra, la Bibbia e un crocifisso in tasca. Qui incontrò Carmen, come racconta nel libro Il kerigma nelle baracche coi poveri (san Paolo 2013): “Dio ha voluto che in quell’ambiente incontrassi Carmen, una sorella missionaria che (…) aveva avuto contatti con l’arcivescovo Manrique per andare anche ad Oruro (Bolivia) tra i minatori. Ci siamo incontrati attraverso sua sorella, che conoscevo perché faceva parte del gruppo con cui cercavamo di aiutare le prostitute e i drogati prima che andassi con i poveri. Carmen era venuta alle baracche. Conobbe il gruppo  che si radunava nella mia baracca, rimase molto impressionata e da allora si fece una baracca (…) non molto lontano da dove ero io, e viveva lì con una sua amica” (p. 56). Cominciò un cammino di evangelizzazione tra i gitanos, le prostitute e i poveri delle baracche. Carmen portò a Kiko le novità del Concilio Vaticano II; nelle Palomerascelebravano la liturgia della Parola assieme ai poveri, cantavano i salmi, leggevano la bibbia…In quel luogo dimenticato da tutti stava sorgendo un piccolo miracolo: una comunità cristiana che si riuniva nel nome di Gesù, attorno alla sua Parola e che rendeva visibile l’amore nella dimensione della Croce. L’annuncio del kerigma si andò “raffinando” sino a raggiungere una “sintesi” che richiamava l’attenzione di altri poveri, di altre persone lontane dalla fede, ma anche l’attenzione dell’Arcivescovo di Madrid, mons. Casimiro Morcillo, che visitò la baraccopoli e confermò l’operato di questi due missionari di frontiera concedendo loro la possibilità di celebrare l’Eucaristia coi poveri delle baracche in una chiesa vicina. L’arrivo dell’arcivescovo convinse definitivamente Carmen – fino a quel momento scettica – ad unirsi all’opera di Kiko sostenendolo e aiutandolo.
Il Cammino Neocatecumenale come itinerario post-battesimale
L’esperienza delle baracche portò alla nascita di un itinerario post-battesimale che si pose al servizio delle diocesi per riscoprire i doni del Battesimo ripercorrendo le tappe dell’antico catecumenato (da qui il nome Neo-catecumenato). Nel 1967 nacque la prima comunità neocatecumenale a Zamora, nella parrocchia di San Frontis. Nel 1968 Kiko e Carmen arrivarono a Roma dove iniziarono le prime catechesi nella parrocchia dei Santi Martiri Canadesi. Nel corso degli anni il Cammino si è diffuso in più di 125 paesi e oggi conta con circa un milione e mezzo di fedeli in tutto il mondo. Verso la fine degli anni ottanta sorsero le “Famiglie in Missione”, i Seminari Missionari “Redemptoris Mater” e più recentemente le “Missio ad Gentes“: gruppi di famiglie che partono verso i luoghi e i paesi più scristianizzati per una nuovo tipo di missione, una forma di implantatio ecclesiae in mezzo ai nuovi pagani. Nel 2002 la Santa Sede approvò gli Statuti ad experimentum; nel 2008 fu approvato lo statuto definitivo.
Senza di lei il Cammino non sarebbe esistito
Carmen Hernández ebbe un ruolo fondamentale nella storia del Cammino: fu donna di constante preghiera (sempre affascinata dalla profondità dei salmi, dell’Ufficio divino come preghiera privilegiata di tutta la Chiesa); caratterizzata da un carattere duro e schietto, Carmen fuggiva le telecamere e i giornalisti; aveva l’abitudine di dire le verità più scomode in faccia, senza “peli sulla lingua”, senza giri di parole, ma non senza carità; un particolare “servizio” col quale spesso “sferzava” Kiko a cui ricordava sempre la centralità del Concilio e dell’opera di Dio sopra a tutte le opere umane. “Non sopporto questo artista, come fate a sopportarlo?” diceva spesso ai giovani. E anche: “Non seguite Kiko, seguite Cristo, non sietelos kikos“, “l’inferno è pieno di grandi predicatori come lui”! Questi due “compagni di evangelizzazione” si sono completati a vicenda come due facce della stessa medaglia, entrambi caratterizzati da caratteri forti ma molto diversi (forse opposti) ma che seppero lavorare assieme per molti anni per il bene della Chiesa e della nuova evangelizzazione.
Tra i temi che Carmen amava affrontare nelle sue catechesi, la grandezza di Dio e la magnificenza del suo creato (con riferimenti alla fisica, all’astronomia e alla chimica), l’importanza della donna nel piano salvifico di Dio (il demonio la combatte dalla Genesi all’Apocalisse perché porta in se la “fabbrica della vita”) e il mistero Pasquale della morte e risurrezione di Gesù Cristo come centro e culmine del messaggio cristiano e della vita ecclesiale. Carmen fu sempre unita in modo particolare ai Papi e al loro magistero: prima di tutto la fedeltà a Pietro, che è fedeltà a Cristo ed alla sua Chiesa.
Così oggi – con “l’anima addolorata” – la ricorda Kiko nella sua lettera, sottolineando chesenza il suo contributo il Cammino non sarebbe esistito: “Carmen, che grande aiuto per il Cammino! Mai mi ha adulato, sempre pensando al bene della Chiesa. Che donna forte! Non ho mai conosciuto nessuno come lei (…). Carmen è stata per me un avvenimento meraviglioso: la donna, il suo genio grande, il suo carisma, il suo amore per il Papa e, soprattutto, il suo amore alla Chiesa”.
Nel 2015 la Catholic University of America le conferì – assieme a Kiko Argüello – la laureaHonoris Causa in Teologia per il suo “contributo fondamentale alla formazione della sintesi teologico-catechetica del Cammino: senza la sua conoscenza esistenziale e profonda della Scrittura, del rinnovamento del Concilio Vaticano II e della storia della Chiesa non sarebbe stato possibile creare questo itinerario di iniziazione cristiana”.
fonte: http://it.aleteia.org/2016/07/20/carmen-hernandez-fede-conversione-kiko-cammino/