giovedì 12 maggio 2016

Una sconfitta della democrazia.


In buona Compagnia

di Joseph Ratzinger        Rimini 1990 
 […] La Chiesa non è soltanto il piccolo gruppo degli attivisti che si trovano insieme in un certo luogo per dare avvio ad una vita comunitaria. La Chiesa non è nemmeno semplicemente la grande schiera di coloro che alla domenica si radunano insieme per celebrare l’Eucarestia. E infine, la Chiesa è anche di più che Papa, vescovi e preti, di coloro che sono investiti del ministero sacramentale.
Tutti costoro che abbiamo nominato fanno parte della Chiesa, ma il raggio della compagnia in cui entriamo mediante la fede, va più in là, va persino al di là della morte. Di essa fanno parte tutti i Santi, a partire da Abele e da Abramo e da tutti i testimoni della speranza di cui racconta l’Antico Testamento, passando attraverso Maria, la Madre del Signore, e i suoi apostoli, attraverso Thomas Becket e Tommaso Moro, per giungere fino a Massimiliano Kolbe, a Edith Stein, a Piergiorgio Frassati. Di essa fanno parte tutti gli sconosciuti e i non nominati, la cui fede nessuno conobbe tranne Dio; di essa fanno parte gli uomini di tutti i luoghi e tutti i tempi, il cui cuore si protende sperando e amando verso Cristo, “l’autore e perfezionatore della fede”, come lo chiama la lettera agli Ebrei (12,2).
Non sono le maggioranze occasionali che si formano qui o là nella Chiesa a decidere il suo e il nostro cammino. Essi, i Santi, sono la vera, determinante maggioranza secondo la quale noi ci orientiamo. Ad essa noi ci atteniamo! Essi traducono il divino nell’umano, l’eterno nel tempo. Essi sono i nostri maestri di umanità, che non ci abbandonano nemmeno nel dolore e nella solitudine, anzi anche nell’ora della morte camminano al nostro fianco.
Qui noi tocchiamo qualcosa di molto importante. Una visione del mondo che non può dare un senso anche al dolore e renderlo prezioso non serve a niente. Essa fallisce proprio là dove fa la sua comparsa la questione decisiva dell’esistenza. Coloro che sul dolore non hanno nient’altro da dire se non che si deve combatterlo, ci ingannano. Certamente bisogna fare di tutto per alleviare il dolore di tanti innocenti e per limitare la sofferenza. Ma una vita umana senza dolore non c’è, e chi non è capace di accettare il dolore, si sottrae a quelle purificazioni che sole ci fanno diventar maturi. Nella comunione con Cristo il dolore diventa pieno di significato, non solo per me stesso, come processo di ablatio, in cui Dio toglie da me le scorie che oscurano la sua immagine, ma anche al di là di me stesso esso è utile per il tutto, cosicché noi tutti possiamo dire con San Paolo: “Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo Corpo che è la Chiesa” (Col 1,24) […]. La vita va più in là della nostra esistenza biologica. Dove non c’è più motivo per cui vale la pena morire, là anche la vita non val più la pena. Dove la fede ci ha aperto lo sguardo e ci ha reso il cuore più grande, ecco che qui acquista tutta la sua forza di illuminazione anche quest’altra frase di San Paolo: “Nessuno di noi vive per se stesso, e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; se moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore” (Rom 14,7-8). Quanto più noi siamo radicati nella compagnia con Gesù Cristo e con tutti coloro che a Lui appartengono, tanto più la nostra vita sarà sostenuta da quella irradiante fiducia cui ancora una volta San Paolo ha dato espressione: “Di questo io sono certo: né morte né vita, né angeli né potestà, né presente né futuro, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù nostro Signore” (Rom 8,38-39).
(Joseph Ratzinger, Meeting di Rimini 1990)
QUI  versione integrale dell’intervento

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(Gian Guido Vecchi) L' arcivescovo Forte: il voto blindato è frutto di una logica di bassa politica - Il segretario della Cei, Nunzio Galantino, ha detto che il voto di fiducia sulle unioni civili è una sconfitta per tutti. 
È così? 
«Sì. Direi anzi che è una sconfitta per la democrazia, per la qualità del lavoro parlamentare e per la coscienza di tanti». L' arcivescovo teologo Bruno Forte, scelto da Francesco come segretario speciale dei due Sinodi sulla famiglia, tra le voci più aperte della Chiesa italiana, non è mai stato così duro: «Una sconfitta, certo, e anche un impoverimento della vita democratica su una questione che può avere un impatto enorme per il futuro della società»
Ma perché, eccellenza? 
«Vede, la democrazia è tale se su tutte le questioni - ma specialmente su quelle che hanno uno spessore etico e ricadute sociali e culturali - c' è la possibilità di portare e discutere tutti gli argomenti, pro e contro, e valutarli in un dibattito libero e aperto». 
Se ne discuteva da anni... 
«Vero, ma è proprio nel momento in cui si arriva al voto che tutti hanno il sacrosanto diritto di esprimersi. Mi pare scorretto, tanto più in questo caso: sui temi etici le posizioni sono trasversali rispetto agli schieramenti. Se si vuole ricompattare con un sì o un no, si fa un danno a tutti». 
Il testo è stato più volte corretto, la fiducia non era un modo per proteggere un compromesso faticoso? 
«Mah, se fosse così sarebbe una logica di bassa politica. Il politicante trova scappatoie immediate, magari ad ogni costo. Il politico cerca la via per la quale ciò che decide oggi non solo non danneggi, ma accresca il bene comune nel futuro». 
Insiste sul futuro, cosa la preoccupa? 
«Qui è in gioco una visione della società. Siamo di fronte ad un istituto giuridico nuovo, con il rischio che possa essere assimilato alla famiglia tout court . La famiglia non è un elemento fra gli altri, è la cellula fondamentale della società. Nella Chiesa abbiamo vissuto un Sinodo sulla famiglia, ricevuto da Francesco un' Esortazione di grandissimo spessore. Come diceva il Vaticano II, nella Gaudium et Spes , la famiglia è la vera grande scuola di umanità, dove si diventa persone. Il luogo di quella relazione educativa che ha bisogno della reciprocità fondamentale tra uomo e donna…». 
Però nel testo approvato non si parla più di stepchild adoption, l' adozione del «figliastro»...
«Temo che il discorso possa portare a questo. Il sospetto che tanti hanno messo in luce è che si sia partiti dal modello famiglia per tentare di applicarlo alle unioni civili». 
Lei è tra coloro che non si opponevano al riconoscimento dei diritti alle coppie omosessuali...
«Una cosa è la regolamentazione di alcuni diritti, come l' eredità, un' altra un istituto in qualche modo assimilato alla famiglia. Ecco la grande domanda: regolare dei diritti o creare un nuovo istituto giuridico, analogo alla famiglia? Il problema è l' assenza di un dibattito che aiuti a distinguere con precisione. Ed eviti un' operazione di trasferimento che svaluta la famiglia. Se non se ne discute, se ognuno non porta sue idee, il rischio è che passi qualcosa che può essere assimilato all' istituto familiare e lo indebolisca. Dopo l' approvazione le cose andranno approfondite, ma temo che il rischio non sia eluso». 
Ma in che modo la famiglia formata da uomo e donna ne verrebbe danneggiata? 
«La grande sfida del presente è aiutare le famiglie, sostenerle. La crisi economica, una denatalità spaventosa... E l' indebolimento, prima che culturale e sociale, è già evidente sul piano materiale, al di là delle buone intenzioni: se equipari un altro istituto alla famiglia le risorse, già scarse, vengono inevitabilmente divise». 
Che farà ora la Chiesa ? 
«Come vescovi lo valuteremo forse già la settimana prossima, durante l' assemblea generale della Cei. Al di là del rispetto dovuto ad ogni persona, non può esserci equiparazione tra unioni omosessuali e famiglia. Da parte della Chiesa resta sempre l' annuncio del Vangelo della famiglia come istituto fondamentale della vita umana, sociale e cristiana».