sabato 30 aprile 2016

1 maggio 2016: Sesta Domenica di Pasqua - Anno C. Ambientale, commento al Vangelo e Lectio.




Nuovo tweet del Papa: "Lavorare è proprio della persona umana: esprime la sua dignità di creatura fatta a immagine di Dio." (30 aprile 2016)

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Nella sesta Domenica di Pasqua, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù dice ai suoi discepoli: 
“Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui … il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Dio non si manifesta a tutti allo stesso modo, Egli si rivela gradualmente secondo le tappe del nostro cammino spirituale, ma soprattutto rispettando le nostre scelte libere. La sua Parola è determinante nella nostra relazione con Lui. Il Padre e il Figlio, infatti, si fanno presenti nel dono dello Spirito Santo nella misura della nostra obbedienza alla Parola che riflette la Volontà di Dio per noi, anche attraverso il Magistero e la Tradizione viva della Chiesa. Questa adesione al suo Volere è la misura del nostro amore al Signore, in essa sperimentiamo la dolcezza del Maestro interiore che ci guida alla verità tutta intera ricordandoci le gesta e le consegne del Salvatore, da essa proviene quella Pace che il mondo non conosce e quindi non può dare. È la Pace di Cristo, che non è assenza di guerre e divisioni, essa splende in ogni conflitto mediante il perdono gratuito, con l’amore al nemico, proprio di chi vince il male con il bene. Cerchiamo con zelo, allora, ciò che Gli è gradito, nelle Scritture, nella catechesi, apriamoci a quei carismi che il Paraclito suscita per rinnovare la Chiesa nelle grandi sfide che essa affronta nelle epoche più impegnative della sua storia. (Sanfilippo)

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Commento al Vangelo della VI Domenica di Pasqua (Anno C) — 1 maggio 2016


Il compimento del Mistero Pasquale del Signore è l’effusione dello Spirito Santo, che, colmando il nostro cuore, non delude la speranza e ci fa partecipi della natura divina. “Dimorare” in Dio e “rimanere” nell’amore di Gesù è, concretamente, “osservare la sua Parola” che, secondo l’originale greco, è un custodire dinamico, lo stesso di Maria che custodisce e mette insieme tutti gli eventi della sua storia straordinaria, meditandoli nel suo cuore.
E’ “un custodire per far crescere”, nella fecondità che suppone un processo di maturazione. E’ la custodia di chi “accoglie” i comandamenti ascoltando la predicazione. Ogni comandamento illumina e dà pienezza a ciascun aspetto della vita; “osservandoli”, possiamo rimanere in Cristo in ogni momento, custodendo la sua opera in noi.
Come fu in quel pomeriggio per Giovanni e Andrea che andarono e videro dove Gesù abitava “rimanendo” presso di Lui, anche noi possiamo andare da Lui negli eventi concreti in mezzo ai quali sorge la sua “dimora” nella quale “rimanere” presso di Lui. Uscendo con la fidanzata, con il testo di algebra o di anatomia dinanzi agli occhi, cambiando pannolini o passando l’aspirapolvere, al mercato o sulla metropolitana, in una riunione di marketing o imbottigliati nel traffico dell’ora di punta, ogni luogo è quello giusto per dimorare in Cristo.
E’ pur vero che ogni giorno sperimentiamo i nostri limiti. Per questo ci è necessario un Consolatore che che “ci ricordi” le parole del Signore nei momenti in cui il demonio, come fece con Adamo ed Eva, ci tenta per farci disobbedire ad esse e così scappare dalla storia dove è posta la “dimora” di Dio con noi.
Nell’Antico Testamento la “Dimora” (in ebraico “mishkan”) aveva ospitato l’Arca nel deserto dove Dio “abitava” con il suo Popolo. Essa era una struttura mobile in legno, tutta rivestita d’oro, ricoperta di teli di lino pregiato: il bisso o “lino fine” che nell’Apocalisse e’ il tessuto con cui é rivestita la Chiesa, sposa dell’Agnello, mentre la “porpora”, che nell’antichità era il colore dei vestiti indossati dai principi e dagli alti personaggi, è la stessa che ha rivestito Cristo durante il processo che lo ha condannato alla Croce.
L’origine dell’architettura come quella del culto risale all’incontro decisivo del Sinai, dove il Popolo ha visto Dio e non è morto, e, dopo un lungo cammino iniziato con Abramo, ha ricevuto le Tavole dell’Alleanza, la “Berit”, che divenne il sigillo nuziale di un’appartenenza e un’intimità esclusive. E’ stata l’iniziativa di Dio a far sorgere nel Popolo il desiderio e la volontà di osservare ciascuna delle Dieci Parole che costituiscono il cuore dell’Alleanza; all’origine dell’ascolto obbediente vi è l’amore gratuito di Dio.
L’agire morale dell’uomo scaturisce dall’Alleanza come da una sorgente inesauribile di libertà: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto dalla condizione di schiavitù” (Es. 20,2). Per questo nel cuore della Dimora vi era l’Arca dell’Alleanza dove erano collocate le due tavole con incisi i comandamenti; esse erano chiamate “la Testimonianza” (‘edut), che indicava, secondo la cultura orientale, le clausole di un trattato imposto da un sovrano al suo vassallo.
Coraggio fratelli, perché tutto quello che era profetizzato nell’Arca Gesù lo ha compiuto per noi suoi vassalli: basta “accogliere i suoi comandamenti” perché Gesù viene anche oggi a compierli in noi. Nella sua carne ha posto la Dimora di Dio tra gli uomini, annunciando e compiendo le Parole dell’Alleanza sino all’ultimo iota. Il suo sangue ha sancito la nuova ed eterna Alleanza.
“Accogliendo” il suo Spirito attingeremo forza e vigore per vivere ogni alleanza della nostra vita: tra gli sposi, con i colleghi e gli amici, con i fidanzati e i parenti, perfino con i nemici, perché si realizzerà in noi quanto fece Mosè quando “prese l’olio dell’unzione, unse la Dimora e tutte le cose che vi si trovavano e così le consacro'” (Lv. 8,10). L’olio dello Spirito Santo che ha consacrato la Dimora e poi ha unto Gesù per accompagnarlo nella sua missione, unge oggi ciascuno di noi (cristiani – unti – cristi); come un profumo soave pervade ogni aspetto della nostra vita come ogni angolo della Dimora e dell’esistenza di Gesù.
Così lo Spirito Santo custodisce in noi la memoria della vita di Cristo “ricordandoci” nei momenti opportuni le sue Parole che illuminano gli eventi. Hai un problema con tuo marito? Ecco lo Spirito Santo che ti “ricorda” come Gesù ti ha amato, difendendoti così dalle menzogne del demonio per muoverti verso l’altro nello stesso amore. Lo Spirito Santo, infatti, “si manifesta ai discepoli e non al mondo” proprio per “testimoniare” a ogni uomo la “presenza” di Dio tra di loro. Per questo nulla può turbare un cristiano: ovunque e in ogni circostanza, l’Arca dell’Alleanza fa presente Dio in lui attraverso la vita eterna conquistata da Cristo che lo rende più che vincitore nelle tentazioni e nei combattimenti di ogni giorno.
Anche quando il mare è in tempesta e Gesù dorme… No c’è da temere perché la “sua pace” è proprio il “suo sonno” in mezzo ai marosi, profezia del suo addormentarsi nella morte, il seno dove la Pace autentica ha preso forma. Il suo corpo disteso nel sepolcro e destatosi nella risurrezione, infatti, è stato come l’arca dove la colomba è tornata dopo il diluvio, recando il ramoscello d’ulivo, simbolo della Pace. Ma la colomba e l’olio che scaturisce dall’olivo sono anche simboli dello Spirito Santo.
“Dimorare” con Lui nella barca che è la Chiesa, la concreta comunità cristiana nella quale camminiamo per crescere nella fede addormentandoci, senza “turbarci” e senza “paura”, perché è proprio nei momenti di vento contrario e onde che sembrano sommergerci che la colomba della “sua pace” viene a visitarci, recandoci il suo ulivo, lo Spirito di vita eterna che ci fa passare indenni. Dormire con Cristo, come un bimbo in braccio a sua madre, così è di chi ha accolto la “sua Pace”.
Essa, infatti,  è il dono messianico per eccellenza. Al termine del sacramento della confessione il presbitero ci congeda dicendoci: “Il Signore ti ha perdonato, vai in pace”. Le stesse parole di Gesù che ci consegna la sua pace sono proclamate nella liturgia eucaristica prima di accostarsi alla comunione, implorando il Signore ormai presente nelle specie del pane e del vino, di “non guardare ai nostri peccati ma alla fede della tua Chiesa”; al termine della Celebrazione poi, il Presbitero congeda l’Assemblea invitando ciascuno ad andare in pace. Un Vescovo saluta liturgicamente il popolo annunciando la Pace.
Dalla liturgia e dai sacramenti comprendiamo come la pace sia il sigillo di un’esperienza che trascende il mondo e i suoi limiti. Essa è il tesoro prezioso che il Messia Gesù di Nazaret, vincendo la morte e il peccato, ha scovato nel Cielo, nel Regno di suo Padre, dove è entrato con la nostra stessa carne. E’ come un souvenir di quel Regno, molto di più, è il grappolo d’uva che gli esploratori inviati da Mosè hanno riportato dalla Terra Promessa. La Pace è ciò che ogni cuore desidera, il riposo dello Spirito, la certezza in mezzo alla bufera, il respiro di vita tra i rantoli della morte che incombe. La Pace del Signore è il frutto del suo mistero pasquale, il suo sguardo di misericordia che incontra i nostri occhi impauriti e turbati sotto il peso dei peccati.
Shalom! Pace a voi! Il saluto di Cristo risorto dalla morte rivolto ai discepoli impauriti nel Cenacolo: “«Pace a voi!» diventa qui una cosa nuova: il dono di quella pace che solo Gesù può dare, perché è il frutto della sua vittoria radicale sul male. La «pace» che Gesù offre ai suoi amici è il frutto dell’amore di Dio che lo ha portato a morire sulla croce, a versare tutto il suo sangue, come Agnello mite e umile, «pieno di grazia e di verità»” (Benedetto XVI). Per questo la Pace è stata, per così dire, deposta come un seme, nel corpo di Cristo crocifisso, gestata nel sepolcro, e ha visto la luce nel giorno di Pasqua. E’ lo schema attraverso il quale la pace si genera: in famiglia, nella comunità cristiana, al lavoro, non può che essere deposta in noi attraverso i chiodi del  rifiuto, gestata nel silenzio della solitudine, per essere consegnata a tutti “non come la dà il mondo, ma come la regala Gesù!
La Pace infatti è un frutto dello Spirito Santo Paraclito che scaturisce dal perdono, libera dal peso della colpa, rinnova lo spirito e apre sconfinati spazi alla speranza. La pace è lo stile di vita di chi ha conosciuto il Signore, di chi lo ha incontrato vivo e vittorioso sulla propria morte. La pace che non si perde neanche in mezzo alla guerra, alla sofferenza, ai fallimenti.
Il mondo cerca compromessi e baratti per ottenere la pace sancendola sui corpi dei vinti. La Pace del Signore invece riscatta chi ha perduto, Lui che ha vinto fa la pace e la dona sciogliendo le catene degli sconfitti ridotti in schiavitù. La Pace cui aneliamo anche oggi, anche ora, è il trofeo conquistato sulla Croce, il frutto maturo dell’obbedienza di Cristo; grazie ad essa, il nostro cuore indurito e ingannato dall’orgoglio del demonio trova nell’umiltà di Cristo l’amicizia e la gioia perdute.
Se oggi non abbiamo pace occorre chiederci perché le situazioni o le persone hanno il potere di sottrarcela. Se non siamo in pace è perché siamo usciti dal Regno, dalla comunione con Dio: stiamo cercando la nostra volontà e non quella del Padre, perché solo in essa vi è la vera pace.
Ma oggi ci viene annunciato qualcosa di impensabile. Il fiume di male che ha lambito le nostre esistenze devastandole, si scatena ancora su Cristo; la furia del demonio, il principe di questo mondo che “non ha nessun potere su Gesù”, si abbatte su di Lui per infrangersi e dissolversi nel suo Corpo offerto per puro amore. Il Signore ci avverte “prima”, ci rivela sin da ora quale sia il cammino che i “suoi” sono chiamati a percorrere: portare su di sé il peccato che si abbatte su Cristo vivo nei cristiani, perché già ora essi sono “andati al Padre” con Lui, assisi alla destra di Dio insieme con il loro Capo. I piedi degli apostoli si posano su questa terra, nel loro corpo si compie ciò che manca alla passione di Gesù, il compimento del suo amore crocifisso nelle generazioni che si susseguono.
Ma nessuna persecuzione, nessun male, neanche il demonio ha potere sulla loro anima, perché essa è custodita, già durante la vita terrena, nel cuore di Dio, al sicuro con il loro Signore. L’amore che il prossimo ha il diritto di vedere in noi è l’obbedienza alla volontà di Dio, salire e non scendere dalla Croce, dove “dimorare” con Cristo uniti a Lui nello Spirito Santo che ci spinge ad offrire la vita gratuitamente. Uniti a Lui per mezzo dello Spirito che abbonda e ci viene donato nei sacramenti, nella Parola e la comunione della Chiesa, possiamo partecipare del suo trionfo e ricevere in eredità, insieme a questa generazione, la Pace che supera ogni intelligenza, il sigillo del Cielo che ci guida sino all’eternità, accompagnandoci già oggi dal Padre, “il più grande” di ogni peccato, sofferenza e male che si abbatte sulla carne.

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Obbedire è amare

Lectio Divina sulle letture per la VI Domenica di Pasqua – Anno C – 1° maggio 2016
Rito Romano
VI Domenica di Pasqua – Anno C – 1° maggio 2016
At 15,1-2.22-29; Sal 66; Ap 21,10-14.22-23; Gv 14,23-29
Rito Ambrosiano
At 21,40b-22,22; Sal 66; Eb 7,17-26; Gv 16,12-22
1) Il cammino delle sei Domeniche di Pasqua.
Nel periodo di Pasqua, la Liturgia della Chiesa ci fa ricordare (nel senso biblico del termine: rendere presente) Cristo risorto concretamente presente e veramente vivente. Per questo durante le Messe delle prime tre Domeniche di Pasqua ci sono stati proposti i brani del Vangelo in cui sono raccontati gli incontri del Risorto con Maria Maddalena, con i discepoli di Emmaus, con gli Apostoli e con San Tommaso e alla fine con Pietro, che viene confermato nell’amore perché ha presentato a Cristo il suo dolore.
Nella IV domenica ci è stato ricordato che Cristo è il buon Pastore ed è presente come guida attraverso i sacerdoti e i vescovi. Nella V Domenica ci è stato ricordato che Gesù risorto è presente nell’amore concretamente vissuto e reciprocamente donato nella comunità dei cristiani, che hanno “come” esempio il Cristo stesso.
Oggi, l’insegnamento delle Domeniche precedenti arriva al culmine. Nella VI Domenica di Pasqua, infatti, il Vangelo ci fa ascoltare Gesù non si accontenta di abitare in mezzo a noi, ma chiede di essere ascoltato (di osservare la sua parola) per potere “dimorare” in noi. Cristo dunque non è più semplicemente uno con noi, uno tra di noi, anche se è il migliore: Lui ora è in noi con il suo Spirito.
In noi credenti che ascoltiamo la sua parola e ai quali dona lo Spirito Santo perché ci dia la pace e “richiami al nostro cuore tutto quello che Cristo ha fatto e insegnato e ci renda capaci di testimoniarlo con le parole e con le opere” (cfr. la Colletta della VI Domenica di Pasqua).
Sapere e fare esperienza dell’amore di Dio in noi e per noi è pace confortante e gioiosa, ma è anche responsabilità grande e quotidiana.
2) Osservare la Parola, che è dono dell’amore.
Dalla meditazione del passo odierno del Vangelo di Giovanni (14,23-29) emergono due temi: l’amore obbediente per Gesù e il dono dello Spirito.
In effetti, in questo brano evangelico, il Figlio di Dio presenta il legame indissolubile tra l’amore a Lui e l’osservanza della Sua Parola. A questo riguardo, va tenuto presente che il termine greco usato da San Giovanni: “Logos” secondo i vari contesti può significare: la “Parola” che è Cristo, il Verbo di Dio, la “parola” che Cristo rivolge ai suoi interlocutori, e il “comandamento” dato per amore e da osservare con amore. Questo terzo significato non è poi così strano perché se uno ama prende così sul serio la “parola” dell’amato da portarla nel cuore, da custodirla osservandola. Cioè se amiamo il Signore, vuol dire che Lo portiamo nel cuore, custodendo (osservando) le sue parole, perché vogliamo vivere come Lui, vogliamo che Lui diventi la nostra vita. In effetti, se si ama una persona, quella persona diventa la nostra vita e l’ascoltiamo mettendo in pratica quello che dice.
Dunque la prova che si ama veramente il Signore è l’obbedienza. E’ vero che il verbo “amare” dice anche desiderio, affetto, amicizia, appartenenza, ma qui si sottolinea che non si può parlare di vero amore se manca l’osservanza dei comandamenti: “Se uno mi ama osserverà la mia parola” (Gv 14, 23). E, subito, sempre nello stesso v. 23, Gesù aggiunge “e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Id 14, 23). In questo modo, il Figlio di Dio sottolinea un’altra caratteristica dell’amore: quella di essere il luogo dell’incontro con l’amore del Padre. Anzi è il luogo in cui il Padre e Gesù pongono la loro dimora.
L’icona, cioè l’immagine più bella di questa dimora “costruita” dall’obbedienza amorosa è Maria, Vergine e Madre. La Madonna accolse nella fede e nella carne Gesù, il Figlio di Dio, in piena obbedienza alla Parola di Dio.
L’obbedienza a Dio e alla sua azione nella fede include anche l’elemento dell’oscurità. La relazione dell’essere umano con Dio non cancella la distanza tra Creatore e creatura, non elimina quanto afferma l’apostolo Paolo davanti alle profondità della sapienza di Dio: «Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!» (Rm 11,33). Ma proprio chi – come Maria – è aperto in modo totale a Dio, giunge ad accettare il volere divino, anche se è misterioso, anche se spesso non corrisponde al proprio volere ed è una spada che trafigge l’anima, come il profeta Simeone disse a Maria, quando insieme con Giuseppe presentò Gesù al Tempio (cfr Lc 2,35).
Il cammino di fede implica la gioia di ricevere il dono di amore, ma anche il momento dell’oscurità, dovuta alle sofferenze della vita, alle croci delle vita. Così fu per Maria, la cui fede le fece vivere la gioia dell’Annunciazione, ma anche passare senza cedere attraverso il buio della crocifissione del Figlio, per poter giungere fino alla luce della Risurrezione.
Per gli Apostoli, allora, e per ciascuno di noi, oggi, il cammino di obbedienza nella fede non è diverso: incontriamo momenti di luce, ma incontriamo anche tempi in cui Dio sembra assente, il suo silenzio pesa nel nostro cuore e la sua volontà non corrisponde alla nostra, a quello che noi vorremmo. Ma quanto più ci apriamo a Dio, accogliamo il dono della fede, poniamo totalmente in Lui la nostra fiducia tanto più Egli ci rende capaci, con la sua presenza, di vivere ogni situazione della vita nella pace e nella certezza della sua fedeltà e del suo amore. Questo però significa uscire da sé stessi e dai propri progetti, perché la Parola di Dio, osservata con amore, sia la lampada che guida i nostri pensieri e le nostre azioni.
Come ha potuto la Madre di Dio vivere il suo cammino accanto al Figlio con una fede così salda, anche nelle oscurità, senza perdere la piena fiducia nell’azione della Provvidenza? E questa domanda vale anche per gli Apostoli: “Come hanno potuto perseverare nel cammino con Cristo e dare la vita per il Suo vangelo, cioè per la sua Parola buona e lieta che porta alla gioia della vita vera attraverso la croce.
Maria e gli apostoli hanno obbedito all’amore, hanno osservato la parola che era donata a loro, che stava davanti a loro. Hanno “dialogato” con Cristo, custodendo, osservando la Sua parola. Maria e gli Apostoli hanno riflettuto sul significato della parola di Cristo e ne hanno concluso che non potevano lasciarlo, perché solo Lui ha parola di vita eterna. Il termine greco usato nel Vangelo, per definire questo “riflettere”, “dielogizeto”, richiama la radice della parola “dialogo”. Questo significa che noi credenti, osservanti “uditori della Parola”, dobbiamo perseverare nel dialogo con la Parola di Dio che ci è detta, lasciandola penetrare nella mente e nel cuore per comprendere ciò che il Signore vuole da ciascuno di noi.
3) Il dono dello Spirito.
Nel Vangelo di oggi ascoltiamo pure: “Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14, 25-26).
Che cosa vuol dire Gesù in questi due versetti? Il Risorto vuol dire ai suoi discepoli di ieri e di oggi, di sempre che Lui non ci lascia soli, ci manda il Consolatore, lo Spirito Santo, lo Spirito della verità che dà la vita di Dio e la vita di Dio è l’amore. E’ questo amore che ci farà conoscere ciò che Gesù ha detto, progressivamente e più lo conosciamo più lo ami; più lo amiamo più lo conosciamo e avanti all’infinito e per sempre.
L’insegnamento dello Spirito è ancora l’insegnamento di Gesù. Non c’è contrasto tra i due. Compito dello Spirito è insegnare e ricordare. Si tratta sempre dell’insegnamento di Gesù, ma colto e compreso nella sua pienezza: “Vi insegnerà ogni cosa”. Non si tratta di aggiungere qualcosa all’insegnamento di Gesù, quasi fosse incompleto. “Ogni cosa” significa la pienezza, la sua radice, la sua ragione profonda. E anche la memoria, dono dello Spirito, non è ricordo ripetitivo, ma ricordo che attualizza. Lo Spirito mantiene aperta la storia di Gesù, rendendola perennemente attuale e salvifica. Quindi il dono dello Spirito che Gesù ci fa sulla croce e che fa nella storia è la sua presenza costante nella storia, è lo Spirito d’amore che ci fa capire e ci fa fare ciò che lui ha detto ed ha fatto. Lo Spirito non ci insegna o ispira cose strane, ci fa capire quello che Cristo ha detto e fatto, dandoci la forza di viverlo perché è solo l’amore che ci fa capire e ci fa fare.
Naturalmente tutti riceviamo il dono dello Spirito, la cui azione in noi ci fa “ricordare” (cioè ridare al cuore) e “rende presente” sempre di nuovo il Cristo. Ma in modo particolare va invocato sulle Vergini consacrate nel mondo, le quali sono, nella Chiesa, il segno visibile del mistero della Chiesa stessa, che è insieme vergine e sposa (cfr. 2 Cor11,2; Ef 5, 25 – 27). Se da una parte la verginità annuncia fin da ora ciò che sarà la vita futura (cfr. Mt 22,30): la vita simile a quella degli angeli, essa (la verginità) ha anche un significato nuziale come nel Rituale di consacrazione è indicato mediante la consegna delle insegne della consacrazione, cioè il velo e l’anello, accompagnata da questa preghiera: “Ricevete il velo e l’anello, segno della vostra consacrazione nuziale. Sempre fedeli a Cristo, vostro Sposo, non dimenticate mai che vi siete donate totalmente lui e al suo corpo che è la Chiesa” (REV, n 19 e n. 88).
* Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi