sabato 26 marzo 2016

Vita, non attardarti tra i morti




Kairos: Letture per il Venerdi e il Sabato Santo

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06 apr 2012 - Propongo di seguito qualche pagina di lettura e di meditazione per la sera di oggi e per domani, Sabato del grande silenzio. Traggo da "E' la ...
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Il sabato santo nella tradizione bizantina. 

 (Manuel Nin) Una delle ufficiature più popolari, più belle e più profonde della settimana santa nella tradizione bizantina è il mattutino del sabato santo, durante il quale si cantano gli enkòmia: ben 176 strofe composte tra il xii e il xiv secolo su testi di Gregorio Nazianzeno e di Romano il Melode. Il canto si svolge di fronte al tàphos, che rappresenta la tomba di Cristo e dov’è posto l’epitàphios, il velo ricamato su cui viene raffigurato il corpo di Gesù nella tomba. Il poema dà voce a diversi personaggi sui misteri che sono avvenuti, specialmente la sepoltura di Gesù e la sua discesa nell’ade, in un costante alternarsi di dolcezza e amarezza, di lacrime e attesa gioiosa della risurrezione. La tomba diventa così il centro dell’universo perché Cristo porta dalla terra al cielo, dalla morte alla vita.
Diverse strofe presentano il contrasto: «O vita, come muori? Come dimori in una tomba, mentre distruggi il regno della morte e risusciti dall’ade i defunti? O vita, quale prodigio, tu sei nella morte! E come la morte è distrutta dalla morte? E come da un morto scaturisce la vita?». Vengono sottolineati il dolore, lo sgomento, la meraviglia dei diversi personaggi, ma la morte diventa più comprensibile alla luce della risurrezione: «Su di te, o Gesù, la pura tua madre effondeva gemiti e lacrime, ed esclamava: Come potrò seppellirti, o figlio? Risorgi, o datore di vita! Affrettati a risorgere, o Verbo, e dissipa la tristezza di colei che in modo puro ti ha partorito».
Altre strofe mettono in rilievo come il Verbo creatore è allo stesso tempo il Verbo incarnato e oggi rinchiuso in un sepolcro: «Tu che hai fissato le misure della terra, o Gesù, re dell’universo, abiti oggi in una piccola tomba, per far risorgere i morti dai sepolcri. Anche la moltitudine delle schiere intelligibili accorre con Giuseppe e Nicodemo, per rinchiudere in un piccolo sepolcro te, che nulla può contenere. Tu, che nel principio con il solo tuo cenno hai fissato l’orbita terrestre, come uomo mortale scendi sotto terra esanime: fremi, o cielo, a questa vista! È stato innalzato sulla croce colui che ha sospeso la terra sulle acque, e ora, esanime, è sepolto sotto la terra, che non lo può sostenere e terribilmente si scuote».
Uno dei temi centrali del sabato santo è la discesa di Cristo nell’ade per riprendersi Adamo ed Eva e riportarli nel paradiso. «Sulla terra sei sceso per salvare Adamo, e non avendolo trovato sulla terra, o sovrano, sino all’ade sei disceso per cercarlo. Come morto nella tomba, come Dio con il Padre, e nell’ade come sovrano del creato. Adamo ebbe paura di Dio che camminava nel paradiso, ma gioisce ora per la sua venuta nell’ade». Il Signore cerca infatti Adamo come lo aveva cercato nel paradiso dopo il peccato.
Il poema riprende quindi il tema di Cristo come nuovo Adamo: «Apparso nella carne come nuovo Adamo, o salvatore, con la tua morte riporti alla vita Adamo, un tempo per invidia messo a morte. Tu che un tempo, prendendo una costola da Adamo, ne plasmasti Eva, sei stato trafitto al fianco e ne hai fatto sgorgare torrenti di purificazione».
Negli enkòmia la figura della Madre di Dio è presentata con parole dove s’intrecciano il dolore della madre e la speranza per la risurrezione: «Su di te, o Gesù, la pura effondeva gemiti e lacrime di madre, ed esclamava: Come potrò seppellirti, o Figlio? Ahimè, luce del mondo, ahimè, mia luce, Gesù mio amatissimo! O Dio e Verbo, o gioia mia! Come sopporterò la tua sepoltura di tre giorni? Sono straziate le mie viscere materne! Quando ti vedrò, o salvatore, luce intemporale, gioia e diletto del mio cuore? Non ti attardare, o vita, tra i morti! O mia dolce primavera, dolcissimo figlio mio, dove è tramontata la tua bellezza?». E Gesù le risponde: «Per liberare Adamo ed Eva io soffro tutto questo: non piangere, madre».
Oltre alla Madre di Dio, attorno alla tomba vivificante di Cristo ci sono Giuseppe di Arimatea, Nicodemo e le donne, figura della Chiesa che offre al corpo di Cristo gli unguenti e gli aromi, le cure e l’amore verso colui che si è incarnato, è morto ed è risorto il terzo giorno: «Venite, cantiamo al Cristo morto un sacro compianto, come un tempo le mirofore, per udire con loro il saluto: Gioite! Sei tu, o Verbo, il vero unguento profumato che mai vien meno, perciò le mirofore ti portavano unguenti: a te, il vivente, come a un morto. Con aromi, o Cristo, Nicodemo e il nobile Giuseppe, compongono in modo nuovo la tua salma, esclamando: Trema, o terra tutta! Cosparsero di unguenti profumati il sepolcro, le mirofore, e subito odono, in cambio dei loro doni, il saluto: Gioite!».


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Triduo pasquale e padri della Chiesa. 
La giustizia da sola non basta

(Enrico dal Covolo)«L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia» (Misericordiae vultus, 10). Per chiarire il significato del termine, è utile un discorso attribuito a sant’Agostino intitolato «Il valore della misericordia». Osserva il dottore della grazia: «La parola “misericordia” deriva il suo nome dal dolore per il “misero”. Tutt’e due le parole sono presenti in questo termine: “miseria” e “cuore” (de dolore miseri misericordia dicta est: utrumque ibi sonat, et miseria et cor). Quando il tuo cuore è toccato, colpito dalla miseria altrui, ecco, allora quella è misericordia». Questa misericordia si rivela in maniera sublime nella passione, nella morte e nella risurrezione del figlio di Dio, Gesù Cristo. La liturgia del triduo santo, in modo particolare, manifesta la misericordia del Signore con grande intensità, in modo da renderci partecipi della sua passione salvifica. Il giovedì santo celebra il perdono di Gesù che, nella persona di chi presiede la santa assemblea, lava, asciuga e bacia i piedi dei penitenti. Il venerdì santo è il giorno della croce misericordiosa. Il sabato santo, infine, ricorda la discesa di Gesù agli inferi, quando il Salvatore portò la sua misericordia ai nostri progenitori, prendendo per mano Adamo ed Eva, e con loro trascinò tutta l’umanità nella vita piena, che vince la morte.
«Che cosa è avvenuto?» si domanda un antico, anonimo omileta (che è stato proposto di identificare con Epifanio di Salamina) nel giorno del sabato santo. E subito risponde: «Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Un grande silenzio, perché il re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace, perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha fatto risorgere coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne, ed è sceso a scuotere il regno degli inferi. Certo egli va a cercare il primo padre, come la pecorella smarrita». 
Annunciare il Vangelo della misericordia, nelle prospettive che i Padri della Chiesa ci dischiudono, è oggi più che mai un dovere. La giustizia da sola non basta più, di fronte alla violenza. Servono invece le armi della misericordia, del dialogo, delle buone opere della carità. Perché, alla fine, il bene è più forte del male; l’amore vince la morte, e vive per sempre. 
L'Osservatore Romano