giovedì 24 marzo 2016

La scienza e la sentenza

La Consulta dice no alla sperimentazione sugli embrioniLa Consulta “salva” gli embrioni. Per il momento
di Giacomo Rocchi

Con la decisione adottata ieri è stata dichiarata inammissibile dalla Corte costituzionale la questione sollevata dal Tribunale di Firenze che mirava ad ottenere il via libera all'utilizzo degli embrioni prodotti con la fecondazione in vitro, non trasferiti nel corpo della madre e congelati, per le ricerche scientifiche. 
La legge 40 del 2004 vieta l'utilizzo degli embrioni umani per scopi diversi dalla maternità e anche la loro soppressione: in effetti, autorizzare la ricerca scientifica sugli embrioni significa destinarli a morte certa, perché essi vengono considerati «materiale da laboratorio», utilizzabile nei modi più vari. I tecnici della fecondazione artificiale, già nei primi anni di applicazione delle tecniche, hanno sostenuto la ricerca sugli embrioni umani, disponibili a basso prezzo (al contrario degli embrioni animali), in nome del progresso della scienza e della medicina, facendo intravedere la possibilità di mirabolanti scoperte con l'utilizzo delle cellule staminali embrionali (che, appunto, si ricavano dal "dissolvimento" degli embrioni). Come è facile intuire, gli interessi economici in questo settore sono enormi. Di fronte a questa tendenza, già nel 1986 l'assemblea del Consiglio d'Europa aveva sollecitato il divieto di produzione degli embrioni a fini di ricerca, poi adottato dalla Convenzione di Oviedo del 1997. 
A ben vedere, questa pratica rappresenta simbolicamente la "logica" che muove la fecondazione in vitro: l'embrione umano prodotto è una cosa, priva di qualsiasi valore intrinseco, prodotta in serie, e pertanto può essere utilizzato nei modi ritenuti più vantaggiosi anche dal punto di vista economico. Il mantenimento nei congelatori degli embrioni prodotti in soprannumero per un tempo indeterminato è considerato uno spreco di risorse e di denaro: tenere in funzione i macchinari costa (chi deve pagare?) e gli embrioni in quello stato non «servono a niente», né per far crescere «bambini in braccio», né per la ricerca scientifica e per i guadagni conseguenti. 
L'ordinanza del Tribunale di Firenze esprimeva in maniera esplicita questa logica. Dopo avereaddirittura sostenuto che il divieto di ricerca non si applica agli embrioni nei primi tre giorni, definiva comunque «materiale genetico» i nove embrioni congelati dalla coppia che ne chiedeva la destinazione alla ricerca e infine proponeva un criterio: se l'embrione non è più disponibile per «l'impiego programmato», allora potrebbe essere utilizzato «per altri impieghi costituzionalmente rilevanti, come la ricerca scientifica biomedica». In sostanza, il Tribunale sosteneva che un essere umano deve pur «servire a qualcosa» e che il suo valore dipende dall'utilizzo che se ne può fare. Proviamo ad applicare questo criterio agli anziani o ai malati e comprendiamo facilmente le conseguenze …
La Corte Costituzionale si è trovata a decidere la questione avendo davanti a sé un quadro ben chiaro: gli embrioni congelati aumentano ogni anno e sono ormai decine o centinaia di migliaia. Era stata proprio la Corte a contribuire a rendere più drammatico questo problema: quando aveva eliminato, nel 2009, il numero massimo di embrioni producibili, in nome della tutela della salute della donna, per evitare che si sottoponesse a troppi cicli di fecondazione artificiale; salvo scoprire che i centri, da quel giorno, hanno ripreso a produrre quanti più embrioni possibili, al fine di sottoporli alla diagnosi genetica preimpianto che, alla fine, la Corte Costituzionale ha esplicitamente autorizzato. 
Ci si poteva dunque attendere che, dopo tutti gli interventi operati sulla legge 40 che hanno permesso la sovrapproduzione di embrioni, la fecondazione eterologa, l'accesso alle tecniche delle coppie fertili e, appunto, la diagnosi genetica preimpianto, questa fosse l'occasione per dare una spallata decisiva all'architettura della legge 40. Non solo: le spinte – esplicite o meno – perché la Corte permettesse la ricerca sugli embrioni soprannumerari erano forti, in nome della ricerca scientifica che in Italia sarebbe penalizzata e perché, in fondo, in questo modo sarebbe stato «risolto il problema» e i congelatori sarebbero stati svuotati. 
Eppure la Corte, resistendo alle pressioni, ha detto un sonoro "no"; e lo ha fatto in nome della«complessità dei profili etici e scientifici» e della «dignità dell'embrione»; in sostanza, ha agito da Corte Costituzionale, non limitandosi a ratificare gli orientamenti dei "poteri forti" sul tema, ma richiamando valori alti: ricordando a tutti che nella fecondazione in vitro si produce un essere umano che ha una dignità intrinseca - una realtà che molti vorrebbero cancellare - e che quindi le scelte hanno una rilevanza etica, e non solo tecnica. In effetti, pur sdoganando la barbara pratica della diagnosi genetica preimpianto, la Corte ha riaffermato il diritto alla vita dell'embrione, affermando che esso «non è certamente riducibile a mero materiale biologico» e richiamando la sentenza n. 151 del 2009, con la quale era stato «riconosciuto il fondamento costituzionale della tutela dell’embrione, riconducibile al precetto generale dell’art. 2 Cost. (diritti inviolabili dell'uomo)». 
Quindi, questa pronuncia fornisce un elemento di speranza, che si accompagna alla constatazione che anche la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, in un altro caso (Parrillo contro Italia) aveva ugualmente ritenuto di non ritenere illegittimo il divieto di destinazione degli embrioni alla ricerca scientifica. L'inizio di un ripensamento? Non si può che sperarlo: ma senza farsi troppe illusioni. Il numero degli embrioni congelati continuerà a crescere, gli appetiti dei ricercatori e delle case farmaceutiche saranno sempre più alti e si sosterrà sempre più spesso che, in qualche modo, «il problema deve essere risolto». 
La Corte Costituzionale, in realtà, rifiutandosi di intervenire sulla questione, non ha affatto ribaditola necessità di mantenere il divieto di destinazione degli embrioni alla ricerca: ha solo affermato che occorre un «bilanciamento tra dignità dell'embrione ed esigenze della ricerca scientifica», operazione che spetta al Parlamento, «essendo possibile una pluralità di scelte». Si tratta, quindi, di rinvio del pallone in un altro campo: quello della politica. Cosa possiamo aspettarci?

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Maternità surrogata, solo i medici non vengono ascoltati
di Francesco Agnoli
Sembra che per parlare di utero in affitto, in questo Paese, i più accreditati siano Sergio Lo Giudice , Luxuria, Monica Cirinnà e Giulia Innocenzi. E’ un peccato, visto che nessuno di loro, vuoi per forza maggiore, vuoi per altre cause, ha mai sperimentato una gravidanza.
La voce però che manca è quella dei medici. Scarseggia, e abbiamo capito il perché: molti di loro hanno paura di finire come Barilla, come Dolce & Gabbana, come il presidente dei pediatri italiani: gambizzati mediaticamente. Eppure non sarebbe male sapere cosa dice la scienza al riguardo. Prendo allora tra le mani Godersi la gravidanza, di Carlo Bellieni, neonatologo di fama internazionale, membro della European Society of Pediatric Research, collaboratore delle maggiori riviste di pediatria in Italia e all’estero.
Non è un testo sul gender o sull’utero in affitto. E’ una guida scientifica, ma divulgativa, per le mamme in dolce attesa. Leggendolo risulta chiaro che la gravidanza è una esperienza triplice: la mamma entra in una più profonda relazione con se stessa; tra mamma e figlio, nel grembo, si costruisce progressivamente un legame biunivoco, psichico e fisico, meraviglioso e complesso; infine, la mamma cerca il sostegno di colui che la ha resa gravida.  
Partiamo dal “dialogo embrio-materno”, che è anche dialogo della madre con se stessa e con la propria nuova identità. Bellieni, con il conforto della letteratura medica, spiega che si tratta di qualcosa di precocissimo: “Il bambino annidato nell’utero comunica ed interagisce con la madre, ne modifica il ritmo e le abitudini di vita, influenza i gusti… La psiche materna reagisce coscientemente e incoscientemente in funzione di quello che è l’essere umano concepito, in particolare dell’identità che possiede. L’essere umano possiede un’identità “concezionale” che gli è propria. Questa identità suscita un’attività di rappresentazione nella madre (e negli altri) che partecipa alla costruzione dello spazio materno di differenziazione e di identificazione psichica. Questo concorre alla nidificazione del nuovo essere in funzione della natura che gli è propria. Parallelamente il concepimento si accompagna nella donna ad un lavoro psichico complesso di percezione delle modificazioni del corpo, di attribuzione di queste percezioni alla gravidanza e infine di riconoscimento della presenza di un altro in sé. La donna incinta è portata ad effettuare progressivamente un legame tra la sua sessualità, la sua capacità di procreare e l’arrivo del bambino in lei…”.
Non esiste dunque la possibilità di un non coinvolgimento della madre gestazionale con ciò che le accade, cioè con se stessa; neppure esiste la possibilità che il bambino non crei un legame profondo con colei che lo nutre e lo accoglie. Il fatto che l’utero in affitto sia precisamente normato, in paesi come in cui è un business come la California, o rigidamente controllato, in cliniche chiuse simili a prigioni, in cui le donne sono tenute sotto sorveglianza, nei paesi come l’India o l’Ucraina, dimostra ad abundantiam che il timore di chi affitta e di chi pratica la mediazione è ben fondato: le madri gestanti rischiano di avere forti crisi, e quindi, talora, di desiderare il ricorso all’aborto, per un figlio che sentono nel contempo loro e non loro; oppure di voler tenere quel bambino, dopo i nove mesi, avendo imparato a percepirlo come quasi “proprio”; oppure di avere delle pesanti reazioni emotive in seguito alla sottrazione del bimbo partorito.
Bellieni ricorda anche come la scienza colga sempre di più la necessità di intensificare il rapporto mamma-figlio-padre, nei mesi della gestazione, per il benessere del futuro bambino. Questo rapporto, ancora una volta, ha una funzione sia per il bambino, sia per la coppia, a dimostrazione di come la natura non prevede solo che un figlio si generi da un ovulo ed uno spermatozoo, ma anche che sia nutrito, affettivamente, parlando da un uomo e una donna. Molti neonatologi e ginecologi, continua Bellieni, ricordano oggi al padre e alla madre, quanto possa essere utile per il feto una “interazione comunicativa” attraverso carezze, parole, canzoni… Il feto, dotato di una notevole “plasticità prenatale”, ascolta, percepisce gusti, odori, rumori… persino, diciamo così, l’atmosfera umana che lo circonda. Con conseguenze anche per la sua vita futura.
Gravidanza, si diceva, come esperienza triplice, cioè in cui è in gioco il rapporto  della donna con sé stessa, della donna con il figlio, e tra la madre, il figlio e il padre. Vediamo quest’ultimo punto, dopo averlo scomposto, ponendoci cioè questa ultima domanda: ha un ruolo, il marito, accanto alla moglie gravida?
Nella gestante le alterazioni vissute dal suo corpo e dalla sua psiche, generano “un aumento vertiginoso della sua sensibilità affettiva”: “si piange molto di più, ci si arrabbia tremendamente, si è fortemente malinconici… Quello che la natura fa è spostare il baricentro della donna, come avviene fisicamente con la sua pancia, per cui la donna perde la posizione eretta e precipita nell’orbita del bambino, così la donna si avvicina al mondo del bambino, il quale ha una sensibilità estremamente più forte, per quanto protetto dall’alta soglia di stimolo che ci sarà dopo la nascita”.
E’ qui che il maschio può fornire il suo sostegno, esterno, ma non certo inutile: “E allora durante la gravidanza, in questo precipitare della donna verso il mondo del bambino, è fondamentale che ci sia un appoggio e che il maschio, il compagno, sia il custode dell’esperienza perché la donna possa abbandonarsi al contatto col suo bambino”.
Vendola può inventare neologismi, lanciare maledizioni, citare, sbagliando, brani di poesie a sua giustificazione; Renzi può parlare di “amore” e fare il romantico su twitter, quanto vuole, ma la scienza e i fatti parlano chiaro. Se molti oggi non lo capiscono non è tanto perché queste cose non siano, da un punto di vista scientifico, ben conosciute, ma perché è venuta sempre più a mancare la capacità di vivere la nascita di un figlio per ciò che essa è. Un grande miracolo, un trionfo della vera relazionalità uomo-donna-bambino; un compimento della natura affettiva dell’uomo e della donna. Diciamola così: se Vendola non capisce il male che sta facendo al suo povero bambino, è anche perché da troppi anni un figlio è, nella nostra cultura, un peso, un imprevisto, un incidente, un errore… all’interno di una alleanza non compiuta tra l’uomo e la donna.