sabato 26 marzo 2016

La Donna del Sabato Santo

Kairos: Letture per il Venerdi e il Sabato Santo

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06 apr 2012 - Propongo di seguito qualche pagina di lettura e di meditazione per la sera di oggi e per domani, Sabato del grande silenzio. Traggo da "E' la ...
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Giotto di Bondone Scenes from the Life of Christ Resurrection

di Antonio Gaspari
“Il Sabato santo è il giorno del silenzio di Dio. Gesù deposto nel sepolcro condivide con tutta l’umanità il dramma della morte”. (Papa Francesco – Udienza Generale, 23 marzo 2016) E oggi più che mai, travolti da una sequenza interminabile di orrore, sentiamo il bisogno di silenzio, di dare respiro all’anima, di ritrovare stabilità interiore, occhi e cuore persi per strade buie e senza uscita per cominciare a vivere il ‘nostro Sabato’ come invita il Santo Padre e imparare a ‘stare’ nel tempo che ci attraversa.
Violenza, distruzione, morte, sfruttamento, schiavitù, emarginazione, degrado, fame, odio, guerra … in questo abisso di tenebra è possibile scorgere uno spiraglio di luce all’orizzonte e credere ancora alla ‘buona notizia’? È ancora possibile oggi scoprire la santità del tempo, avvolto dalla benedizione di Dio? Dov’è il Dio dell’alleanza che ha visitato e redento il suo popolo e non si stanca di custodirlo lungo il cammino verso la terra promessa?
Quel Padre che ‘ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito’ ha forse dimenticato i suoi figli?
Mentre il grido di ogni cuore ferito sale al cielo in questo Sabato santo, ecco elevarsi sovrana, al di sopra di ogni oscurità, una “Donna” bellissima, regale, splendente, “vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle”, proprio come l’emblema dell’Europa.
La sua presenza silenziosa, più eloquente di mille parole, come Gesù con i discepoli di Emmaus, si accosta discretamente per ‘stare’ con noi. Sta nel nostro smarrimento e ci rischiara la strada. Ci ri-orienta.
Ci scalda il cuore e riaccende in noi la speranza di una vita nuova. Qualsiasi situazione viviamo o osserviamo, qualsiasi sia la nostra o l’altrui passione, ci chiede di sostare con lei ai piedi della croce e di guardare le cose da una prospettiva nuova, dall’alto, anothen.
Assente al tempo dei trionfi, ora lei è lì, sotto la croce, più che mai presente, a vivere in strettissima simbiosi la passione del suo adorato Figlio, a morire d’amore con lui, senza poter morire. È lì a vivere con Lui la più profonda kenosi nella storia dell’umanità.
Impietrita da tanto dolore, atroce, insopportabile, inimmaginabile, il più grande che un essere umano possa provare, non infierisce, non si contorce, non urla, non scappa.
Lei soltanto ‘c’è’, con tutto il suo cuore, con tutta se stessa e ci svela la strategia vincente dell’essere nel dolore, nostro e altrui, dell’entrare in sé prima di uscire, senza spendere parole inutili, frasi di convenienza, atteggiamenti teatrali e ipocriti, senza esperti e sapientoni.
Lei ‘sta’, ci sta, non compiange il Figlio, non si chiede “perché?”, non invoca miracoli, non aspetta parole. Lei è lì, semplicemente, totalmente, visceralmente, a testimoniare l’amore perfetto, inscindibile, che la unisce a Lui. Niente e nessuno potrà mai separarli, nemmeno la morte. Un amore così non muore mai, non può morire, vive in eterno.
In lei si condensa la storia d’amore di ogni figlio, di ogni padre, di ogni madre che è chiamata a vivere la stessa atroce esperienza, la morte di un figlio: solo in lei riesce a trovare misteriosamente la sua vocazione, la sua missione, il suo compimento.
Chi più di lei può chiedere ad ogni cuore trafitto di non fermarsi al buio del Venerdì Santo?
Siamo incamminati come pellegrini nel “sabato” del tempo, verso l’ottavo giorno, in attesa della piena rivelazione della vittoria di Pasqua. Siamo chiamati a guardare oltre, certi che le promesse di Dio si avvereranno, allora, non cediamo alla tentazione di assolutizzare l’oggi.
Per quanto la notte possa essere oscura, non ci smarriremo se continueremo a tenere accesa la lampada della fiducia in Dio che ci fa sperare contro ogni speranza. Se, come questa Donna intrepida, innalzeremo lo sguardo oltre lo scandalo di ogni croce, di ogni dolore innocente.
“La Madonna dovrà essere l’icona, per noi, di quel Sabato Santo. Pensare tanto come la Madonna ha vissuto quel Sabato Santo; in attesa. È l’amore che non dubita, ma che spera nella parola del Signore, perché diventi manifesta e splendente il giorno di Pasqua” (Papa Francesco – Udienza Generale, 23 marzo 2016)
Dalla Croce, dai cuori squarciati del Figlio e della Madre irrompe un fiume di amore, immenso, senza confini. Acqua viva che sana ogni ferita, lenisce ogni angoscia, rigenera ogni morte, purché trovi un cuore aperto, disposto a riceverla.
Attraverso la Donna del Sabato Santo l’amore di Dio potrà accarezzare ogni crocifisso della nostra storia. Ogni ferita, ogni morte sarà trasfigurata in feritoia da cui risplenderà un raggio di luce del Risorto.
Per ogni approfondimento: www.figlincielo.org

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 Il giorno più "femminile" dell'anno liturgico...

di Alessandro D'Avenia

Il Sabato Santo è il giorno più femminile dell’anno, perché è il giorno dell’attesa. Solo la donna sa cosa vuol dire attendere, perché porta in grembo la vita per nove mesi e la si dice per questo in dolce attesa. Attesa e attenzione hanno la stessa radice, per questo le donne sono attente ai dettagli sino a rischiare di perdersi in essi, perché ogni talento ha la sua ombra. Solo la donna sa cosa vuol dire tessere la vita, prendersene cura e donarla al mondo. Solo la donna conosce questo accadere in lei e ne stupisce nel corpo e nell’anima. Il Sabato Santo è infatti il giorno delle donne. Alle donne è affidato il compito di prendersi cura, cioè di 'attendere' al corpo di Cristo, prima che inizi il sabato ebraico: con i profumi e le essenze ne preparano la sepoltura provvisoria, in tutta fretta, in attesa di quella definitiva dopo l’obbligatorio riposo sabbatico. In qualche modo anticipano, inconsapevolmente, la risurrezione con quel gesto umanissimo della mirra e dell’aloe, che avevano funzione non solo di profumare ma di rallentare la corruzione del corpo. È proprio della donna dare la vita, è proprio della donna profumare e preservare dalla corruzione, è proprio della donna prendersi cura del corpo. Ed è a una donna che viene dato il lieto annuncio della risurrezione, della vita preservata dalla morte che si scopre sconfitta, quando credeva ormai di aver vinto la partita su un cadavere, che è il Corpo più vivo della storia umana. Le parole di Luca, apparentemente soltanto descrittive, svelano il motivo per cui alle donne per prime è dato l’annunzio, loro così attente a quel corpo perché in attesa di quel corpo: «Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea osservarono la tomba e come era stato deposto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo secondo il comandamento. Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino, si recarono alla tomba, portando con sé gli aromi che avevano preparato».

Il silenzio del sabato per gli uomini è sconfitta e disfatta. Tutto è finito. Per gli uomini che cercano sempre soluzioni efficaci ai problemi, la morte non ha soluzione: Cristo è stato un’illusione, non è la soluzione al problema, che differenza vuoi che facciano gli aromi e gli oli profumati (solo Nicodemo fa eccezione, proprio quello a cui nottetempo Gesù aveva spiegato che bisogna rinascere dall’alto). Per le donne c’è qualcosa di diverso, intuiscono che Cristo è come loro, che danno ai loro figli il loro sangue e il loro corpo, perché i figli abbiano la vita. Il punto per loro non è trovare la soluzione al problema, ma accompagnare chi ha il problema, non lasciarlo solo. Il chicco di grano muore a sé, come chi è in dolce attesa, per dare frutto: la donna questo lo sa nel corpo e quindi anche nell’anima, il suo dischiudersi è dolore che dà la vita. L’uomo invece vede la morte con freddo realismo: senza soluzione, e basta. Altro che risurrezione. Anche nella nostra vita molte cose devono morire (e noi moriremo), perché appartengono al mondo vecchio, mortalmente ferito dal peccato. Ma su questo se ne innesta uno nuovo, inaugurato da Cristo, che fa risorgere la vita e la restituisce intatta, prendendosene cura come fa una donna incinta: il realismo del cristianesimo non ha nulla a che fare con le favole. Si muore realmente e con tutte le sofferenze del caso, ma si risorge altrettanto realmente, per intervento del Padre a cui la vita è affidata. Questa buona notizia, l’unica buona notizia nel naufragare continuo delle cose umane, è data a una donna, a Maria di Magdala, perché sono le donne che sanno dare la vita e sono loro che devono trasmettere agli uomini il messaggio che la vita è ricominciata. Sono loro ad attendere preparando aromi e oli, non sono in fuga, c’è ancora qualcosa da fare per il corpo di Cristo: preparano la loro umanissima ricetta di risurrezione. Tutto questo avviene nel giardino del sepolcro, così come nel giardino la donna aveva mangiato dell’albero della conoscenza del bene e del male, decidendo che poteva essere lei a dare la vita in proprio, senza il consenso di Dio, e quindi avrebbe potuto anche non attendere la vita, non attendere alla vita. Nello stesso giardino tutto viene riparato: «Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio». Quella donna si era alzata prima dell’alba, probabilmente dopo ore insonni, ed era andata di fretta al sepolcro. Ecco perché il sabato è donna, perché la donna ha atteso trepidante tutto il sabato e quando può scatta in avanti, corre in fretta, come una molla compressa, per curare la vita, anche quella più ferita, si alza quando è ancora buio, per nutrire la vita, come le madri che allattano nel cuore della notte. Non si cura del fatto che il sepolcro è chiuso da una pietra che non potrà mai spostare, a lei quello che interessa è stare il più vicino possibile al suo amore, essere lì presente, fisicamente. Proprio a lei, innamorata folle, allora viene concesso il privilegio di essere chiamata per nome («Maria!») dal risorto, e così riconoscerlo. Una nuova vita viene attesa dagli uomini, scegliendo il nome che ne inaugurerà l’inedito essere al mondo. La nuova vita di Cristo risorto si mostra pronunciando il nome di Maria come nessuno lo ha mai pronunciato, con un tono tale che sentiamo risuonare tutta la meraviglia del nostro essere, che non solo è amato così come è, ma è voluto dall’eternità e per l’eternità proprio da chi non può morire più, perché è risorto una volta per tutte. Come quando lo sposo dice alla sposa nel Cantico dei Cantici: «Sei tutta bella», e quel 'tutta' non indica solo la totalità del corpo ma la totalità del tempo, bella in ogni tempo, passato presente e futuro. Lei che era andata a prestar cura a un corpo senza vita si ritrova a essere chiamata per nome, per prima, dalla Vita stessa, che non può più morire. E la sua vita rifiorisce, dall’alto. Lei ora sa che non può più appassire, grazie a quella Vita che pronuncia il suo nome come nessun amore umano potrà mai fare.

In quel giardino la donna che era in attesa, era in realtà la donna attesa. Lei che voleva in qualche modo ridare vita a quel corpo con i suoi profumi, rinasce dall’alto, a partire dal suo nome. Lei per prima viene a sapere la buona notizia, sin dentro al suo nome, perché piena di fede e di cure, che poi è lo stesso. Lei la prima a dare la notizia, la buona notizia, perché lei è la prima, vigile, scattante, ad aspettarla quella notizia per un intero trepidante malinconico sabato d’attesa.

Avvenire