martedì 29 marzo 2016

Il gene del diavolo



Il gene del diavolo e il rischio eugenetico
di Andrea Bartelloni

Quando Gilbert Keith Chesterton scriveva i suoi articoli sull’eugenetica (raccolti in Eugenetica e altri malanni, Cantagalli, 2000) erano gli inizi del secolo scorso e la genetica clinica non esisteva, anzi la genetica tout court muoveva i primi passi (il termine è coniato nel 1905), ma una mente profetica come la sua vedeva lontano. Il ‘900 gli ha dato ragione e il nuovo millennio ancora di più.
Dopo più di cento anni la genetica sta diventando la regina della scienza medica e ci offre la possibilità di prevedere il futuro dell’uomo: sapere se e quando ci ammaleremo e che tipo di malattie ci affliggeranno. Il problema è che la mentalità moderna prevede che l’uomo sia sempre più perfetto e che sia impensabile avere un figlio con qualche problema di salute. L’aborto è ormai un mezzo di selezione e le tecniche di fecondazione assistita consentono la scelta degli embrioni in base alle loro caratteristiche, ovviamente, scartando i difettosi o presunti tali.
Oggi i test per la ricerca delle malattie genetiche sono sempre più precisi ed economici, internet consente di ricevere il kit, inviare il campione biologico richiesto e avere le risposte in breve tempo. La lotta contro le malattie genetiche è uno sforzo meritorio della comunità scientifica che vede impegnati i migliori ricercatori grazie anche alle raccolte di fondi attraverso le maratone televisive (Theleton), ma il punto controverso riguarda il lato della prevenzione che oggi è il punto cruciale. Cosa significa prevenire le malattie genetiche? Significa brutalmente abortire o scartare gli embrioni in fase pre impianto. Semplice. La caccia al Down, una delle prime malattie genetiche identificate, insegna: il 96% di diagnosi positive per la sindrome di Down porta all’ aborto e tra qualche decennio non ci saranno più persone affette da questa sindrome.
La mentalità è quella della caccia al difetto e chi se la sente di far nascere un figlio difettoso? Anzi ormai è la società che spinge alla loro eliminazione; i genitori che portassero avanti una gravidanza nonostante l’indicazioni ad abortire verrebbero additati come genitori senza cuore e posti alla berlina nella nostra società di … perfetti.
Barouck M. Assael è un medico che per tutta le sua vita professionale si è dedicato alla ricerca sulle malattie ereditarie e in particolar modo alla fibrosi cistica. Ha scritto un volume dal titolo significativo: Il gene del diavolo. Le malattie genetiche, le loro metafore, il sogno e le paure di eliminarle (Bollati Boringhieri, 2016). Nel sottotitolo c’è la parte più importante e problematica del volume che percorre la storia della lotta alle malattie genetiche: la talassemia, la fibrosi cistica, la drepanocitosi, le più importanti, alcune delle quali sconfitte.
Ma Assael si pone anche molte domande e porta la riflessione sul rischio eugenetico che riappare periodicamente ogni volta che si parla di eliminazione di una malattia. Ovviamente non si parla mai di cure, ma di eliminazione della malattia che equivale all’eliminazione del malato. I sistemi sono più soft rispetto ai metodi dell’eugenetica del 1900 e hanno a che fare con un essere umano che ancora non si vede perché è piccolissimo, l’embrione ai primi giorni o che è ancora nella pancia della mamma.
Il volume si chiude con dieci tesi e molte domande: bisogna prevenire tutte le malattie genetiche? A fronte di grandi campagne che raccolgono grandi cifre per la ricerca e per progetti clinici i programmi di prevenzione sono poca cosa. Ma prevenzione fa pensare subito ad eugenetica. Qui il rimando a Galton (cugino di Darwin) è inevitabile e le sue teorie univano evoluzionismo e genetica umana per portare verso una nuova selezione al fine di migliorare la specie umana, l’autoevoluzione è ormai a portata di mano.
Ci si pone anche delle domande sulla liceità di certi metodi di indagine e, altra domanda inquietante: dove potremmo fermarci col controllo della vita selezionando chi deve nascere? L’eugenismo porterà al transumanismo nella speranza di migliorare la natura umana?
La maggior parte delle domande restano senza risposta, ma, forse, è già un passo avanti essersele poste e la più importante è quella finale: chi si prenderà la responsabilità di andare alla ricerca delle anomalie genetiche e chi prenderà le decisioni? La risposta è un po’ semplicistica: si auspica che tutto rimanga nell’ambito delle scelte personali e di coppia senza un intervento dello Stato, se non “leggero”. “Il potere di vita e di morte non dipende più dal «sovrano», né è semplicemente riducibile a una decisione dall’alto. Qual è il fascio di forze, (…), che determinerà le scelte?”
Si dimentica che le persone sentono e sentiranno sempre di più la pressione dell’opinione pubblica che spingerà sempre di più verso la ricerca della perfezione additando chi questa strada non ha voluto prenderla non sacrificando il proprio figlio sull’altare della nuova divinità.
Qualcuno si sta ribellando alla diffusione delle metodiche diagnostiche prenatali che cominciano ad avere un impatto sulla vita professionale di molti operatori sanitari. Se l’obiezione di coscienza nei confronti dell’aborto è una dato ormai consolidato, quella che riguarda gli screening prenatali, che portano quasi inevitabilmente all’aborto, è sicuramente una novità. È notizia di pochi giorni fa di un medico spagnolo che ha posto il problema dell’obiione di coscienza nei confronti della diagnosi prenatale a scopo eugenetico con l’appoggio dell’European Center for Law and Justice facendo ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo.