martedì 22 marzo 2016

Come ho fatto io.... così fate anche tra di voi



Forse queste parole hanno un senso anche oggi? Anche in questa Europa dilaniata? Chi laverà i piedi di chi a Bruxelles, a Parigi, a Berlino, a Idomeni? Fino a quando i nostri governanti saranno così stupidi? Come si fa a non comprendere che i profughi sono OGGI la carne viva di Cristo? E' così difficile capire che Idomeni è figlia di Bruxelles? E che se continuiamo così ci sarà tanto altro sangue versato? La verità è che è facile vedere Papa Francesco che lava i piedi a quei poveretti. Stando comodamente seduti a guardare la televisione. E magari commuoversi pure.
admin

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"Sì, Dio schiaccerà il capo dei suoi nemici, 
la testa altèra di chi percorre la via del delitto. 

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perché il tuo piede si bagni nel sangue, 
e la lingua dei tuoi cani riceva la sua parte tra i nemici". 

Salmo 68, vv.22.24

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Lavanda per tutti. Il giovedì santo di Francesco 
 Settimo Cielo - L'Espresso 
(Sandro Magister) La lavanda dei piedi mette ormai in ombra la messa dell'ultima cena. Il papa ha ammesso al rito le donne, purché appartenenti alla Chiesa. Ma lui si spinge più in là e lava i piedi anche ai musulmani -- Come riformatore, papa Francesco si distingue anche in campo liturgico. (...)

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Il Papa laverà i piedi a dodici ospiti del centro di accoglienza di Castelnuovo di Porto. Giovedì santo tra i profughi 

(Rino Fisichella) Non passa giorno che Papa Francesco con la sua parola non provochi a prendere in considerazione l’urgenza umanitaria che scorre sotto i nostri occhi distratti. Milioni di profughi stanno mostrando al mondo i tratti reali di un nuovo esodo che sposta masse di derelitti senza più casa né patria. Fuggono a malincuore sotto la pressione della violenza gratuita, della guerra inutile e dei morsi della fame, verso mete che spesso sono il frutto dell’immaginazione più che della realtà. 
Eppure, soprattutto i Paesi ricchi dell’Occidente permangono con la loro carica di pressapochismo, indifferenti davanti a un dramma che sconvolge per la durata e per il numero delle persone coinvolte. Basterebbe un colpo di reni della politica per affrontare con coraggio e disamina queste situazioni, ma si preferisce far passare il tempo incuranti della sofferenza. Al massimo, si deliberano stanziamenti di denaro per mettere a riposo la coscienza. Da ultimo, sembra che la soluzione più a portata di mano sia quella di chiudere i propri confini per sentirsi più sicuri, oppure costruire nuovi muri spinati. Soluzioni che appaiono tanto più anacronistiche quanto più ci si vanta di aver raggiunto progresso e maturità democratica.
Nel suo appello lo scorso 6 settembre, proprio in prossimità del giubileo della misericordia, il Papa durante l’Angelus domenicale aveva chiesto che dinanzi a questa tragedia ogni parrocchia, ogni comunità religiosa, ogni monastero, ogni santuario d’Europa potesse ospitare una famiglia, incominciando dalla sua diocesi di Roma. Un piccolo gesto concreto per provocare alla consapevolezza del dramma internazionale. Si è messo in moto un movimento che ha portato a esprimere nel silenzio tanta solidarietà.
Passa il tempo e la provocazione iniziale, purtroppo, sembra attenuarsi mentre i problemi permangono e si acuiscono. I primi mesi dell’anno santo della misericordia hanno registrato un notevole afflusso di popolo in tutto il mondo, segno evidente che i cristiani sentono questo momento come un’opportunità offerta loro per sentire la vicinanza, la tenerezza e il perdono di Dio. La misericordia però per essere un’esperienza completa ha bisogno di convertire il cuore. Mentre si riceve misericordia si diventa strumenti per esprimere misericordia.
Tra le sette opere di misericordia corporale permane con la sua attuale provocazione quella dell’ospitalità. Accogliere i profughi quindi diventa per i cristiani un’espressione tangibile per vivere il giubileo della misericordia.
In questo anno, Papa Francesco è solito un venerdì al mese dare testimonianza concreta di queste opere. Nel mese di dicembre ha aperto la porta santa nell’ostello Don Luigi di Liegro, che ospita i senza tetto e distribuisce quotidianamente i pasti. A gennaio, si è fatto vicino a tanti anziani e ad alcuni malati in stato vegetativo, per far comprendere che la “cultura dello scarto” ha poco da spartire con la visione cristiana della vita. A febbraio ha visitato una comunità terapeutica per giovani tossicodipendenti, per infondere in ciascuno di loro una forte dose di speranza nel futuro.
Il prossimo Giovedì santo, Papa Francesco si recherà a Castelnuovo di Porto per rimanere con i giovani profughi ospiti del Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara). Sarà un segno semplice ma eloquente. La visita sarà accompagnata dalla celebrazione del rito della lavanda dei piedi. Su dodici profughi il Papa si inchinerà e laverà loro i piedi come segno di servizio e attenzione alla loro condizione.
Nell’udienza giubilare di sabato scorso, Papa Francesco proprio commentando il gesto della lavanda dei piedi ha detto: «Lavando i piedi agli apostoli, Gesù ha voluto rivelare il modo di agire di Dio nei nostri confronti, e dare l’esempio del suo “comandamento nuovo” di amarci come lui ci ha amato, cioè dando la vita per noi». E per entrare ancora più nello specifico ha aggiunto: «L’amore è il servizio concreto che rendiamo gli uni agli altri. L’amore non sono parole, sono opere e servizio; un servizio umile, fatto nel silenzio e nel nascondimento... si esprime nella condivisione dei beni materiali perché nessuno sia nel bisogno... è uno stile di vita che Dio suggerisce anche a molti non cristiani come via di autentica umanità».
Alla luce di queste considerazioni si possono comprendere il valore simbolico che Papa Francesco intende imprimere nella sua visita al Cara di Castelnuovo di Porto e il suo abbassarsi per lavare i piedi dei profughi. Vuole dirci che è necessaria la debita attenzione verso i più deboli di questo momento storico; che siamo chiamati tutti a restituire loro dignità senza ricorrere a sotterfugi. Ci spinge a guardare verso Pasqua con gli occhi di chi fa della sua fede una vita vissuta a servizio di quanti portano impresso nel proprio volto i segni della sofferenza e della violenza.
Molti di questi giovani non sono cattolici. Il segno di Papa Francesco pertanto diventa ancora più eloquente. Indica la via del rispetto come strada maestra per la pace. Rispetto, nel suo valore semantico, significa accorgersi che c’è un’altra persona accanto a me. Una persona che cammina con me, soffre con me, gioisce con me. Una persona a cui, un giorno, potrò appoggiarmi per trovare sostegno. Lavando i piedi ai profughi, Papa Francesco chiede rispetto per ognuno di loro.
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Il primo gesto di ospitalità 

(Marcelo Figueroa) Lungo i difficili e scomodi cammini che portavano a Gerusalemme, i piedi dei pellegrini si ferivano e si sporcavano in occasione delle feste importanti. Soprattutto quelli dei poveri e degli stranieri che, venendo dai luoghi più remoti, si recavano con enorme sacrificio alla grande e santa città, pur sapendo che come proseliti non avrebbero ricevuto una buona accoglienza. Se trovavano qualche famiglia ospitale che li invitava a mangiare e a riposare, il primo gesto, il più misericordioso, era quello di lavare e curare i loro piedi feriti. Non era compito del padrone di casa, ma dovere degli schiavi; anche così però era un gesto di enorme carità umana e spirituale.
Nella cena della festa di Pesach, mentre Gesù è riunito con i suoi discepoli, nessuno prevede tale gesto e nessuno è disposto a svolgere tale compito, considerato umanitario ma umiliante per chi lo realizza. Eccetto Gesù, che come esempio della sua visione del servizio lo compie con ognuno di loro. Quella notte, probabilmente nella pia casa della madre di san Marco, si chinerà come schiavo della misericordia per lavare lui stesso i piedi degli sconcertati discepoli. Poi dirà loro: «Lo sentite? Sarete beati se lo metterete in pratica» (cfr. Giovanni 13, 17).
Papa Francesco ancora una volta mette in pratica questo gesto dal fortissimo simbolismo che c’interpella tutti affinché lo comprendiamo pienamente e lo pratichiamo in altre forme di servizio ospitale e amorevole. Ad avere oggi i piedi e l’anima feriti per il loro lungo pellegrinare verso le “grandi città” sono i migranti e i profughi; uomini e donne di diversi Paesi doppiamente esclusi. Perciò il rituale della lavanda dei piedi acquista nella persona di Papa Bergoglio un significato speciale, universale, inclusivo, profetico e urgente all’inizio del triduo pasquale. Il messaggio dalla città eterna, la sua casa, è un invito a ripensare la casa comune e l’inclusione misericordiosa e degna degli esclusi e degli stranieri erranti di oggi.
L’ultima cena di Pesach alla quale Gesù partecipa ricorda la liberazione del popolo di Dio verso la terra promessa e, al tempo stesso, è per lui l’inizio irreversibile della sua passione. È in quel profondo memoriale e in quel personalissimo momento che Gesù decide di lavare i piedi dei discepoli.
Questo giovedì santo Papa Francesco ripeterà il gesto di libertà con dodici profughi, uomini e donne di diversi paesi. La domanda del maestro di Galilea continua a risuonare nell’universo e nella storia e da Roma si ripeterà nel primo dei tre giorni sacri: «Lo sentite? Sarete beati se lo metterete in pratica». Da questa comprensione e attuazione dipenderà il destino della nostra umanità errante, rifugiata e ferita. Che il Signore aiuti tutti noi a capire e ad agire, dimostrandoci all’altezza di questi tempi difficili e del kairòs attuale della misericordia.