giovedì 25 febbraio 2016

Un amore a forma di Croce


“Quando eravamo femmine”, ultimo libro di Costanza Miriano, non sembra poter interessare minimamente un maschio: la copertina, il titolo, il sottotitolo, l’autrice, finanche la casa editrice (Sonzogno), sono color rosa. Eppure ogni maschio dovrebbe diffonderlo, promuoverlo, consapevole di quanto sia urgente rammentare che “maschio e femmina li creò”. Genesi 1,27 potrebbe essere l’epigrafe di questa raccolta di lettere indirizzate alle figlie Lavinia e Livia affinché non diventino di quelle donne dai discorsi ridotti a “elenco di paturnie o comunque di proiezioni di sé”. Le conosciamo tutti quelle donne che credono di essere libere perché sono schiave delle proprie emozioni. Il libro contiene due comandamenti bellissimi e indispensabili, da scolpire nelle tavole della legge dell'Amore: 1) “Stare zitte quando si vorrebbe parlare e parlare quando si vorrebbe stare zitte”; 2) “Non esprimere quei sentimenti pazzi, la gelosia, il dubbio, la rabbia, il sospetto: non prima che siano passati dal vaglio del silenzio”. Ogni maschio ringrazi Costanza Miriano di esistere. (Camillo Langone, http://www.ilfoglio.it/)

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http://www.gdp.ch/…/un-amore-forma-di-croce-che-porta-al-se…
di Stella N’Djoku
Capita che qualcuno, ogni tanto, pensi «chi me l’ha fatto fare». Succede a tutti, in un primo momento, probabilmente, anche Costanza Miriano, giornalista, moglie e mamma di quattro figli, ospite nel salone parrocchiale di San Nicolao venerdì sera scorso, che ha raccontato la comunicazione tra moglie e marito e della quale uscirà, proprio oggi, il quarto libro dal titolo "Quando eravamo femmine", edito da Sonzogno. Un libro, che arriva dopo i tanto discussi “Sposati e sii sottomessa”, “Sposala e muori per lei” e “Obbedire è meglio. Le regole della Compagnia dell’Agnello”.

Durante la serata, davanti a un ben nutrito pubblico, la Miriano ha mostrato quanto siano diversi i linguaggi femminile e maschile, già solo per il fatto che le donne usino il triplo di parole al giorno rispetto agli uomini, parole che usano per raccontarsi, per esporre, per sfogarsi, mentre per l’uomo il linguaggio “base” si esprime nella modalità «problema-soluzione», e come, se da un lato la donna ha bisogno di uno sguardo nel quale sentirsi riconosciuta, allo stesso modo l’uomo ha bisogno di sentirsi dire «bravo».
«L’uomo vuole trasformare la realtà al suo esterno, la donna invece ha una chiamata speciale alla relazione, a costruire l’uomo», ha ricordato la Miriano, «non sempre però accogliamo le differenze in modo fecondo, si rischia dunque di essere entrambi frustrati».
Imparare a ricevere e accogliere quello che ci viene dato, imparare a cambiare sguardo cercando di cogliere tutto quello che l’altro fa per noi in un linguaggio che non è il nostro, e il matrimonio diviene conversione reciproca: «abbiamo solo questa via: stare nella relazione nel modo più vero e più reale possibile».
Quello che ha raccontato e racconta, con i suoi libri e il suo esempio, Costanza Miriano, è un amore autentico, perché non si scandalizza del fatto che deve passare anche per la Croce; un amore che non ha a che fare con i sentimenti, ma con la Grazia, il giudizio e la decisione quotidiana che è anche «seconda chiamata» quando ci troviamo in un momento in cui la fatica è talmente tanta che bisogna decidere se rimanere nonostante la fatica stessa, il grigiore, il tradimento, la povertà; un amore preterintenzionale che va oltre le nostre idee e i nostri sentimenti. Un amore dove sicuramente il punto di conversione della donna e dell’uomo lo trova San Paolo nella Lettera agli Efesini e cioè sottomettersi al marito come la Chiesa a Cristo che ha dato la vita per lei.
I punti di partenza di oggi però appaiono diversi perché si tenta di sfuggire a questa chiamata: la donna non vuole «farsi sottomettere» e l’uomo non vuole morire per lei, ma vuole invece tenersi un po’ di vita solo per sé.
È qui, allora, che troviamo un punto di collegamento con la riflessione della Miriano al suo nuovo libro “Quando eravamo femmine” in cui riecheggia il titolo di “When We Were Kings”, il documentario su Cassius Clay «in cui il pugile riscopre la sua identità di nero e le sue radici etniche e religiose, andando in Africa»: l’autrice, in questa lettera alle due figlie femmine, esorta a riscoprire la propria identità di donna e il proprio ruolo nella società e parla di una donna con una «persa consapevolezza di essere guida per l’uomo» che deve decidere se mettere la sua spiritualità nel Signore e usare i doni che le sono stati concessi per il bene del marito e della famiglia, ed essere come Maria, la contraddizione ricomposta, per la quale emozioni e preoccupazioni che ogni giorno vengono offerte sull’altare, oppure se essere come Eva e vivere nei sentimenti, che divengono l’unico modo per decidere.
Costanza Miriano, in conclusione, dopo le belle parole di don Marco Dania e le molte domande del pubblico, ha ricordato come sia importante imparare ad avere uno sguardo di riconoscenza per l’altro perché la fecondità del maschile e del femminile viene proprio da questa distanza, e che «il punto centrale del matrimonio è questo: è  l’unico punto per cui vale ancora la pena sposarsi. Solo se c’è la garanzia di un amore a forma di Croce si può dire “per sempre”, altrimenti è una follia. Solo in Lui si ricompongono le delusioni e i momenti di fatica. È in questa dinamica fra maschile e femminile che si nasconde il segreto di Dio: è proprio nel mistero della continua dinamica fra maschile e femminile che c’è questa tensione d’amore, che è divino e che è Mistero».