martedì 22 dicembre 2015

Una vita controcorrente



Il 22 dicembre 1917 moriva a Chicago madre Francesca Cabrini. 

(Maria Barbagallo) Se tutti i santi hanno fatto della loro vita un esercizio mirabile di opere di misericordia, senza dubbio la vita diFrancesca Cabrini, morta novantotto anni fa, il 22 dicembre, a Chicago, ci appare oggi un vero modello di opere di misericordia, spirituali e materiali, necessarie per il mondo di oggi. Aveva solo 67 anni ed era da poco ritornata da Seattle, la bellissima città dello Stato di Washington adagiata tra un braccio dell’oceano Pacifico, chiamato Puget Sound, e il lago Washington, circa centocinquantaquattro chilometri a sud del confine con il Canada. L’avevano chiamata per aiutare gli italiani là emigrati, e all’inizio tutto sembrava andare per il meglio.
Così ricordano le Memorie: «Oggi la Veneratissima Madre Generale lascia la Casa Provinciale di New York e intraprende un lungo viaggio: sua meta è Seattle, suo scopo è fondare una nuova casa, in quella città in onore e gloria del Cuor SS. di Gesù e a sollievo morale ed intellettuale di una numerosa colonia italiana che colà si trova, bisognosa d’aiuto spirituale. Sua Eccellenza, Mons. Eduardo Giovanni O’Dea, Vescovo della Diocesi di Nequally e residente in Seattle, avendo conosciuto il gran bene che apportano agli italiani il buon numero delle case che la Venerata Nostra Madre ha fondato in molte città degli Stati Uniti, la invitò e sollecitò molto caldamente ad aprire una casa in Seattle; ella non curando le incomodità di un lungo viaggio, e solo avendo di mira la gloria di Dio e la salvezza delle anime, pronta e sollecita vi si porta». Invece la fondazione dell’ospedale fu una vera via crucis di permessi dati e ritirati, ripensamenti e contraddizioni e perfino la visita del vescovo. Dicono ancora le Memorie: «Ci ha recato gran pena perché tutto ciò che è a lei di dolore è pure nostro (...) l’uragano di umiliazioni e contraddizioni che con così forte veemenza le rugge attorno ci fa molto temere per la sua salute già tanto debilitata dalle sue straordinarie fatiche». I benestanti della città non volevano fastidiosi emigrati italiani vicino alle loro istituzioni e alle loro belle case. Madre Cabrini continuò nella sua lotta per «istruire gli ignoranti», per sopportare pazientemente le persone che facevano di tutto per scoraggiarla, per consolare gli emigrati che già assaporavano la gioia di avere un’opera per loro e la vedevano osteggiata, un’opera che avrebbe accolto i forestieri, tra i quali gli italiani ritenuti poco degni di vivere accanto a persone educate e avrebbe assistito gli ammalati. Le suore visitavano anche i carcerati, e l’avrebbero fatto per oltre settant’anni. Dalle Memorie, sappiamo ancora che «La Venerata Madre lasciò Seattle il 21 Novembre 1916 per Los Angeles col cuore amareggiato pensando alla continua guerra che sempre più infieriva contro l’ospedale». La sua salute era fortemente compromessa. La storia dei santi consiste soprattutto nella strada controcorrente che hanno dovuto percorrere. In madre Cabrini, questa caratteristica «di agire sempre controcorrente», è un segno distintivo. Le sue opere di misericordia, spirituali e corporali, la tennero impegnata sul fronte della lotta contro la cultura dello scarto, come la chiamerebbe oggi Papa Francesco. Il suo carisma era quello di evangelizzare con l’amore del cuore di Gesù, a cominciare da se stessa quando doveva capire i valori di una cultura diversa dalla sua. Poi doveva evangelizzare le sue suore che, quasi tutte del nord Italia, criticavano gli italiani del Sud, che costituivano la massa degli emigrati. Doveva evangelizzare le istituzioni che solo apparentemente si occupavano dei più deboli, praticando invece un umanitarismo selettivo: i cristiani irlandesi, non erano uguali a quelli italiani. Erano da evangelizzare anche i leader, i politici, i dirigenti amministrativi, tutti gli addetti alle opere di solidarietà i cui interessi erano spesso ben diversi dallo scopo dell’istituzione. La stessa madre Cabrini lo denunciò più volte: «Poveri emigrati! Sfruttati tante volte da coloro che si atteggiano a loro protettori e ingannati tanto più quanto meglio questi sanno colorire i loro privati interessi con il manto della carità e dell’amor patrio!». Per questo madre Cabrini scelse l’educazione come mezzo privilegiato dell’evangelizzazione, perché innanzitutto era necessario evangelizzare le coscienze, fare in modo che le persone cambiassero la propria mentalità e rimuovessero i pregiudizi, superassero i luoghi comuni e, specialmente negli ambienti cristiani, promuovessero le opere di misericordia spirituali che erano da considerarsi un obbligo di tutti. Comprese che occorreva avere il coraggio di ammonire anche le persone di riconosciuto prestigio, quando il loro comportamento lasciava a desiderare. La sua vita è un susseguirsi di piccole storie, talvolta curiose ma anche significative. Ne citiamo solo una. In Argentina madre Cabrini dovette avere a che fare con un sacerdote tutt’altro che santo, ma dal quale dipendeva la fondazione di un istituto. Madre Cabrini si comportò con lui come sempre, con tatto e delicatezza, riverenza ed educazione. Ma quando stava per partire chiese alla sua compagna di viaggio (era regola andare sempre in due) di lasciarla sola con il sacerdote. La compagna si meravigliò del fatto che la madre si volesse confessare proprio con quel sacerdote che, tra l’altro, le aveva dato filo da torcere. Ma presto si rese conto che la madre lo stava catechizzando sottoponendolo a un drammatico esame di coscienza con una energica omelia. Lo stesso atteggiamento si può cogliere nelle sue Lettere, sia quelle dirette alle suore sia quelle indirizzate a personalità di ogni tipo. Le sue opere di misericordia corporale — «dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti» — erano strettamente congiunte a quelle spirituali e furono al centro del suo lavoro costante, unito alla preghiera perché la misericordia di Dio le purificasse e le rendesse oggetto della sua benevolenza. Raccomandava alle suore: «Lavorate molto per le anime a voi affidate, lavorate con zelo, con slancio, con retta intenzione; adoperatevi in tutto, non risparmiatevi in nulla e fate che le opere a voi affidate si sviluppino e crescano. Lavorate, e molto, ma nel silenzio, nel nascondimento e bramate che il lavoro vostro sia noto solo a Dio e da Dio solo aspettate il compenso, speratene i meriti». Se oggi Francesca Cabrini fosse viva avrebbe comprato un bastimento per portare il nome di Gesù dappertutto, ma anche per salvare i migranti lasciati morire in mare alla deriva. Ci sono tante persone buone e capaci oggi, che possono fare quello che faceva madre Cabrini, ma non basta l’opera di misericordia corporale, occorre la misericordia di Dio che cambi e converta i cuori e apra i nostri occhi. Come dice Papa Francesco: «Apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto. Le nostre mani stringano le loro mani, e tiriamoli a noi perché sentano il calore della nostra presenza, dell’amicizia e della fraternità. Che il loro grido diventi il nostro e insieme possiamo spezzare la barriera di indifferenza che spesso regna sovrana per nascondere l’ipocrisia e l’egoismo» (Misericordiae Vultus, n. 15) Francesca Cabrini ci invita a fare la misericordia, ma anche a invocarla per noi e per gli altri con la forza della preghiera. «La preghiera è potente, maestosa, fa riempire tutta la terra di misericordia, e fa passare la clemenza di generazione in generazione: tutti i secoli contano le opere meravigliose compiutesi pel ministero della preghiera. (...) La misericordia, la clemenza ottenuta colla potenza della preghiera farà sempre sperimentare ai popoli, per cui si prega, le larghe dovizie, i salutari effetti. (...) Sarà la misericordia come un ammasso di scintille sfolgoranti, che dall’incendio vastissimo dell’Amor Divino, andranno a cadere, come raggi luminosi, a confortare i figli suoi. La preghiera quindi sia il nostro conforto, nei limiti tanto ristretti in cui ci troviamo, per aiutare tutte quelle anime che pur già tutte abbracciamo col cuore e coll’affetto».

L'Osservatore Romano