venerdì 23 ottobre 2015

Sinodo e teorici della cospirazione


di Riccardo Cascioli
E meno male che il Papa lo scorso 6 ottobre aveva invitato a «evitare l’ermeneutica cospirativa» riguardo al Sinodo. Da due giorni tg e giornaloni italiani – cattolici e laici - sono pieni di teorie della cospirazione, ovviamente ordita da elementi conservatori per delegittimare il Papa. Non è la prima volta che accade durante questo Sinodo, ma il can can di questi giorni lascia a dir poco perplessi. Tutto nasce dal presunto scoop di due giorni fa del Quotidiano Nazionale circa il presunto tumore (benigno) al cervello di papa Francesco. Immediata la smentita del portavoce vaticano padre Lombardi (addirittura a mezzanotte e mezzo: visto che quando vogliono in Vaticano sono tempestivi?), ripetuta nelle ore successive e molto dura nei contenuti. Tutto sommato poteva anche finire lì. Speculazioni e falsi scoop sulla salute dei Papi non sono certo una novità: Giovanni Paolo II e Benedetto XVI ne hanno subiti diversi. Si è sempre smentito, magari qualche nota di rimprovero per un certo modo di fare giornalismo, e chiusa lì.
Stavolta no: certo, la notizia di un tumore al cervello è pesante, se è priva di fondamento ancora di più. Né si può escludere moventi particolari dietro alla diffusione della notizia. Ma quello che certamente è l’ennesimo episodio che andrebbe inquadrato casomai in un certo malcostume giornalistico è diventato il pretesto per un’altra aggressione contro i padri sinodali che si oppongono – diciamo per semplificare - alle tesi del cardinale Kasper. 
Una qualche giustificazione forse ce l’ha l’Osservatore Romano, che per primo ha affermato che «il momento scelto rivela l’intento manipolatorio del polverone sollevato». Accusa dura, ma molto generica. Ieri però era davvero sorprendente leggere tutti i principali giornali che dedicavano paginate al “complotto” riportando la stessa identica tesi cospirativa, senza alcuna prova al riguardo, come se fosse passata per le redazioni una velina.
In sintesi - sostengono in coro Corriere, Stampa, Repubblica, Avvenire - chi resiste ai cambiamenti voluti da papa Francesco avrebbe ordito questa faccenda della malattia per dare a intendere che certe idee del Papa vengono da un cervello malato, e così delegittimarlo. Si chiede infatti un acuto vaticanista: dovendo inventarsi una malattia, perché un tumore al cervello e non una leucemia? Ragionamenti degni della Signora in Giallo, ma il peggio deve ancora venire. Perché tutti mettono in fila il coming out di monsignor Charamsa alla vigilia del Sinodo, la lettera dei 13 cardinali e infine la notizia della malattia del Papa per concludere che tutto è parte di un grande disegno teso ad attaccare l’autorità del Papa e il dibattito al Sinodo.
Tre episodi che evidentemente non hanno nulla in comune – e anzi, in almeno due casi sono anche di segno opposto a quello descritto - se non il fatto che sono tutti serviti come pretesto per scatenare vere e proprie aggressioni verbali contro i padri sinodali che vedono in certe proposte sul matrimonio il tentativo di cambiare la dottrina della Chiesa pur affermando il contrario.
Incredibile, in particolar modo, che si continui a parlare di cospirazione a proposito della lettera dei cardinali, visto che era una missiva privata firmata e consegnata direttamente al Papa e alla quale il Papa ha risposto pubblicamente il 6 ottobre. Nessuna manovra segreta, nessuna trappola alle spalle del Papa, eppure le grandi firme della stampa laicista e cattolica continuano con questa menzogna. Aggravata dal fatto che, nel caso della presunta malattia del Papa, si insinua che la mente sia da cercarsi appunto nel giro di quei 13 cardinali. 
Questa sì è una manovra sporca, perché si calunnia dei cardinali che hanno sempre espresso apertamente il loro pensiero, evocando “forze oscure”, “sottili trame” e via di questo passo senza mai portare un solo fatto a sostegno della propria tesi. Provo allora a fare un'ipotesi sul perché di queste teorie della cospirazione: ho infatti l’impressione che, non avendo nel Sinodo la maggioranza per i cambiamenti voluti, i "kasperiani" abbiano messo in atto una vera e propria opera di intimidazione nei confronti dei padri sinodali e di mistificazione così che alla fine si potrà sempre dire che dal Sinodo sarebbero usciti risultati diversi se non fosse stato per le indebiti pressioni e oscure manovre dei “conservatori”. E rilanciare in questo modo lo Spirito del Sinodo che – come lo Spirito del Concilio - servirà a dare una indicazione diversa, a volte opposta, rispetto ai documenti scritti. Forse non a caso il cardinale tedesco Marx ha già detto che «il Sinodo non finisce qui».
Peraltro c’è anche da notare che per pura coincidenza il can can mediatico creato a seguito della notizia sulla presunta malattia del Papa, è servita a coprire una dichiarazione importante del cardinale sudafricano Wilfrid Fox Napier, uno dei 13 firmatari la lettera al Papa. Nella conferenza stampa di mercoledì 21 ottobre, rispondendo a una domanda proprio sulla lettera, Napier ha spiegato che nasceva dalla preoccupazione che si ripetesse quanto accaduto nel Sinodo dell’anno scorso, quando fu evidente la manipolazione a uso del pubblico messa in atto dalla segreteria del Sinodo. Vale la pena riprendere un passaggio della sua risposta, laddove con molta chiarezza spiega cosa è accaduto allora. E si noterà che i manipolatori di allora sono ancora alla guida del Sinodo e che fanno parte della compagnia che oggi grida al complotto:
«Penso che la prima cosa da dire è che nel precedente sinodo c’erano alcuni singoli elementi che erano motivo di preoccupazione. E uno in particolare è stato il presentare la relazione intermedia come se fosse venuta dal sinodo, come se facesse parte della deliberazione del sinodo. E questo non era vero, perché noi abbiamo ricevuto il documento circa un'ora dopo che voi dei media l’avevate ricevuto. E solo allora abbiamo cominciato a leggerlo. E quel documento già diceva delle cose che io sapevo erano state dette nell’aula da due o tre persone al massimo. Ma era presentato come se quelle fossero la riflessione del sinodo. Ora questo certamente dava l'impressione che il sinodo fosse spinto in una certa direzione. Ho anche fatto parte della commissione che ha redatto il documento finale. E ci sono state anche lì alcune materie che ancora una volta venivano spinte in una certa direzione. Quindi, in questo senso una particolare ideologia, o agenda, o come la si vuole chiamare, sembrava essere all’opera»

*
Quel "buonismo" pastorale che cancella il peccato
di Riccardo Barile

Nelle coppie irregolari etero e anche in quelle omo ci sono tanti atti buoni perché nessuno nella vita - per fortuna! - pecca al 100%. Da qui si sta facendo strada in modo trasversale una metodologia pastorale o nuovo approccio, che si caratterizza dal partire dal positivo: «dal desiderio profondo inscritto nel cuore di ognuno ... vedere quello che c’è di positivo nelle situazioni più difficili ... spesso nelle famiglie patchwork si trovano esempi di generosità sorprendente ... i veri cristiani sanno guardare e discernere in una coppia, in un’unione di fatto, dei conviventi, gli elementi di vero eroismo, di vera carità, di vero dono reciproco, anche se dobbiamo dire: non è ancora una piena realtà del sacramento». Chi fa altrimenti corre il rischio di parlare «con una lingua fatta di concetti vacui», mentre invece «bisogna staccarsi dai nostri libri per andare in mezzo alla folla e lasciarsi toccare dalla vita delle persone».
Il cardinale Christoph Schönborn in una recente intervista a Civiltà Cattolica(Quaderno 3966 del 26.09.2015) - le citazioni precedenti sono sue - ha anche formulato il principio teologico ecclesiale del metodo positivo: come secondo la Lumen Gentium 8 «l’unica Chiesa di Gesù Cristo sussiste nella Chiesa cattolica» sussistendo però al di fuori dei suoi confini visibili elementi di verità e di santificazione, così, analogamente, il vero matrimonio sussiste nel sacramento della Chiesa, ma al di fuori di esso ci sono «elementi del matrimonio che sono segnali di attesa, elementi positivi». Il presente intervento non è una polemica verso il cardinale Schönborn - che nell’intervista in più passi è dottrinalmente ineccepibile, moralmente esigente e pastoralmente equilibrato, tranne che nella ipotesi di riservare a un confessore/direttore spirituale il giudizio sull’ammissione ai sacramenti in casi limite (suppongo di coppie che praticano una vita sessuale, altrimenti il problema non si porrebbe) -, ma l’intervista è citata perché esprime una tendenza trasversale con molta chiarezza e anche con una gradevole dose di pathos.
A questo punto è opportuno passare a una minima digressione sulla comunicazione. In uno scritto o discorso articolato è, infatti, abbastanza evidente che: esiste una verità delle singole proposizioni e una dell’insieme e non è detto che coincidano; esiste una verità del testo e una verità della recezione, che talvolta non coincidono; esiste una verità teorica che giustifica il dire certe cose e un’opportunità pastorale che sconsiglia di divulgarle (chi scrive è un domenicano e non dovrebbe mai sostenere l’ultima contrapposizione - dire, ma non in pubblico -, che è alquanto gesuitica, ma siccome oggi i gesuiti vanno di moda...). Ecco, leggendo la motivata giustificazione del metodo positivo, mentre le singole frasi sono accettabili, l’insieme genera un sottile disagio di trovarsi fuori strada, per non parlare poi di come il discorso potrebbe essere recepito.
Il “partire dal positivo” è senz’altro un metodo valido, ma, senza la dichiarazione esplicita del peccato dal quale ritrarsi - per lo meno il “peccato oggettivo” come è formulato nella “dottrina” -, il metodo unicamente positivo rischia di non arrivare mai a indurre alla conversione, cioè rischia di fallire; inoltre oggi si basa su due discorsi equivocamente proposti come novità mentre non lo sono. Quali sono le novità che non sono tali? La prima è l’esigenza di accogliere coppie irregolari etero e, a un diverso livello, omo. Gli ultimi decenni del recente Magistero sono talmente zeppi di affermazioni in tal senso che dispensano dalla documentazione, se non per concludere che questa, oggi come oggi, non è una via nuova. Più intrigante il secondo equivoco, e cioè che nelle persone di cui sopra ci sono dei valori e degli atti positivi: affermazione contestualizzata nel gioioso stupore di aver finalmente scoperto qualcosa che da anni - da secoli? - ci era vicino e non abbiamo visto... Ahimè, non è vero che non l’abbiamo visto! Da sempre la rivelazione, la sana ragione, la Chiesa, la teologia ecc. hanno insegnato che il male assoluto non esiste perché il male è privazione del bene e dunque sussiste in qualcosa di bene (San Tommaso I-II, q 43, a 1.3; D 3251) e così neppure i demoni hanno una “inclinazione naturale” verso qualche male e dunque non sono “naturalmente” cattivi (I-II, q 63, a 4). Passando dai demoni agli uomini, il Magistero ha dichiarato errata la proposizione giansenistica di Baio († 1589) secondo il quale «tutte le opere degli infedeli sono peccati e le virtù dei filosofi sono vizi» (D 1925). A questo punto figurarsi se - da sempre - non si è pensato che anche chi vive in situazioni irregolari compie alcuni atti buoni e non solo in relazione a Dio e agli altri, ma anche a “l’altro” o a “l’altra”!
Ma la questione non è questa, bensì quella di un tipo di vincolo relazionale che cristianamente non è ammesso ed è peccato. Ed è per questo che sino a poco tempo fa si è parlato di irregolari, di conversione, di astensione dai rapporti sessuali quando la convivenza non può essere prudentemente sciolta ecc.: non perché si fosse tanto antievangelici da non praticare l’accoglienza o tanto giansenisti da non ammettere atti buoni in queste persone! Ci si potrebbe allora domandare come mai si fanno questi discorsi inutili. Una prima risposta è: perché si vuol dire altro. Dunque, invece di scomodare l’accoglienza e la presenza di molti atti buoni nelle coppie irregolari, sarebbe più onesto dichiarare: «Io sono (noi siamo) per l’ammissione alla comunione delle coppie irregolari, omo comprese, purché vivano con una certa stabilità con lo stesso partner... un rito sacramentale delle nozze omo no, le seconde nozze perdurante il primo vincolo restano un cantiere aperto, per tutti poi gli irregolari una benedizione all’inizio della nuova convivenza non farebbe male, anzi». Questo sarebbe un parlare chiaro e onesto.
Una seconda risposta sembra scontata: si vuole fondare teologicamente e pastoralmente un approccio che eviti di affrontare ciò che non va, l’irregolarità, il peccato. E qui, in altri campi, la situazione diventerebbe comica. Sarebbe come se uno, affetto da un cancro alla prostata, andasse da un urologo e questi gli proponesse: «Lasciamo stare il cancro. In realtà lei digerisce quasi bene: cerchiamo di partire dal positivo ottimizzando la sua digestione con qualche farmaco». Chi andrebbe una seconda volta da un simile dottore? Eppure tante proposte pastorali, tanti articoli di riviste pastorali, qualche teologo... Dicevamo che il metodo unicamente positivo rischia di non arrivare mai a indurre alla conversione, cioè rischia di fallire. Ovvio che il traguardo della conversione suppone che la situazione attuale si configuri come un “peccato oggettivo” dal quale uscire. Per cui partire dal positivo è vero e opportunamente pastorale solo se è accompagnato dalla manifestazione del negativo, della irregolarità, del peccato ecc., sempre fatta salva la buona fede o una soggettività che fa fatica a discernere la propria situazione di fronte a Dio.
Una cosa, infatti, è l’itinerario di Paolo: «dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la meta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù» (Fil 3,13-14); un’altra cosa invece sono inviti che presuppongono sì un itinerario, ma di conversione: «se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13,3.5), «non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio» (Gv 5,14), «va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11), «tornate indietro dal vostro cammino perverso e dalle vostre opere malvagie» (Zc 1,4). Nel primo caso c’è un procedere in linea retta, nel secondo caso un cambio di direzione. Ora, non far emergere la dottrina sul male di certe relazioni affettive e vitali, pone tutti e senza distinzione - cristiani ferventi, convivenze etero irregolari, convivenze omo - nella situazione di san Paolo proteso verso il meglio e già in una situazione buona senza richiedere ad alcuno un cambiamento di rotta. E questo è pastoralmente deviante. Per non parlare poi della ingiustizia e della umiliazione che si infligge a quanti con sforzo si stanno adeguando alla legge di Dio e che devono sempre tacere perché a ogni loro parola scatta l’accusa di moralisti, ipocriti, ingiustamente divisori della Chiesa e dell’umanità in buoni e cattivi ecc.
Ma perché ci sia un cambiamento di rotta occorre aiutare a capire che qualcosa non è a posto con Dio/Cristo/Chiesa a livello di “peccato” e non solo a livello dei buoni rapporti umani con il coniuge precedente o con l’attuale. È vero, ciò crea una certa tensione, ma è benefica perché richiama alla conversione e mantiene nella verità. San Gregorio Magno spiega che «il rimprovero è una chiave. Apre,  infatti, la coscienza a vedere la colpa, che spesso è ignorata anche da quello che l’ha commessa» (LdO, Uff. lett., II lett. Domenica XXVII ord.), nel nostro caso apre anche alla prospettiva di un nuovo traguardo, di una nuova bellezza, di una nuova pace. Poiché il fondo dell’imbuto si concretizza ecclesialmente e personalmente il più delle volte nel colloquio con un presbitero nel sacramento della Penitenza o fuori di esso, c’è da domandarsi se un prete così procedendo non risulti crudele, disumano, incapace in ogni caso di comprendere e di consolare ecc. No, perché la valorizzazione del positivo rimane: ci mancherebbe!
Ma anche nel portare alla luce il peccato, il disordine, la brutta bestia dellointrinsece malum (per il commento a questa espressione si rilegga l’intervista citata), il presbitero resta umano se sa coniugare la preoccupazione di mantenere il “odore delle pecore” (l’espressione è di papa Francesco) restando però «modello del gregge» (1Pt 5,3) (l’espressione è dello Spirito Santo e dunque ha una marcia in più), cioè la fraternità e la paternità. La fraternità ammettendo la difficoltà per tutti e anche per lui di vivere casti e di aver in ogni caso trovato Gesù Cristo che sostiene la fragilità; la paternità dettando le regole e ricostituendo un mondo ordinato nel quale reinserirsi, ma insieme manifestando l’amore del Padre che segue tutti e ognuno con la sua provvidenza in vista della salvezza e solo per questo. A meno che uno sia pregiudizialmente maldisposto, questo amore, che passa attraverso la pazienza dell’ascolto e la preghiera, si percepisce e risulta una preziosa consolazione anche umana.
*
Il cardinale Marx? Parla come Lutero
di Angela Pellicciari

Il problema dell’accesso dei divorziati risposati alla comunione è davvero così difficile da risolvere? Un gruppo di porporati di lingua tedesca suggerisce la quadratura del cerchio: si tratta di consentire a quanti si trovano nella spinosa situazione di voler fare la comunione pur senza averne diritto, di decidere cosa fare a livello personale, a livello di “foro interno”, con l’aiuto, va da sé, di un padre spirituale.
Portata alle estreme conseguenze la soluzione suggerita dal gruppo tedesco opta per un deciso ricorso al relativismo: non c’è una verità assoluta perché le cose cambiano col variare delle situazioni e ciascuno può valutare in coscienza la cosa migliore da fare. Padre di questa posizione è un altro tedesco, un tedesco famoso: Martin Lutero.
Mutatis mutandis anche Lutero si trova a dover prendere posizione su un caso spinoso: è lecito al langravio Filippo d’Assia, luterano della prima ora, definito dal “profeta della Germania” il “nuovo Arminio”, diventare bigamo? Vizioso e lussurioso, Filippo scrive a Lutero per ottenere il suo consenso alla celebrazione in pubblico di seconde nozze - cui la prima moglie acconsente - con la diciassettenne damigella di corte Margherita di Saale. Il caso non è di facile soluzione perché, se Lutero rifiuta, il suo braccio destro può passare armi e bagagli nelle fila del cattolico imperatore Carlo V. Vista la delicatezza del momento Lutero e Melantone rispondono immediatamente, il giorno dopo aver ricevuto la lettera: in pubblico non si può celebrare nessun matrimonio perché lo scandalo sarebbe troppo grande; se però il langravio insiste, gli si può concedere una dispensa perché il “matrimonio supplementare” non ha nulla contro la legge di Dio e può essere determinato da una “necessità di coscienza”: “l’uomo può col consiglio del suo pastore, prendersi ancora un’altra donna”.