martedì 27 ottobre 2015

Le trascrizioni dei matrimoni gay in Italia sono contra legem.



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VINCIAMO IN PIAZZA, NEI TRIBUNALI, IN PARLAMENTO E NELLA CHIESA
di Mario Adinolfi
C'era un vizio qualche tempo fa che respiravo denso e che talvolta mi si ripropone specie nei convegni in giro per l'Italia: è il germe dello "sconfittismo" dei cattolici italiani. Alcuni esponenti anche autorevoli di questo mondo me lo ripetono convinti, ad esempio sui temi delle leggi contro la famiglia: è inutile battersi, "si fa solo la figura dei bigotti e dei retrogradi", tanto le leggi passeranno comunque. Purtroppo è stato l'atteggiamento anche di una parte della gerarchia ecclesiastica e ha ingenerato un clima di rassegnazione che, semplicemente, era quello determinato dalla propaganda dei nostri avversari che non hanno come obiettivo "il matrimonio gay", ma l'abbattimento dell'istituto matrimoniale e della famiglia naturale come cellula base del tessuto sociale, come passaggio del vero obiettivo finale: disarticolare la capacità di influenza della Chiesa cattolica in Italia, indebolendola e confinandola in una dimensione meramente spirituale, religione tra le tante religioni, sradicando il paese dal rapporto forte e intimo (quindi fecondo) che ha con essa.
Il quotidiano La Croce ha proposto un altro percorso rispetto a quello "sconfittista". Intanto riconoscere che questa azione prepotente, contro la famiglia prima e contro la Chiesa poi, è in atto. E, partendo dal riconoscimento di questo fatto, abbiamo avanzato l'ipotesi che si potesse attivamente resistere. Il tema della resistenza, non meramente culturale, non da convegno lamentevole, ma attiva e coriacea è al centro della nostra attività dal primo giorno di vita di questa testata.
Il terreno su cui gli "sconfittisti" ci spiegavano che non ci fosse spazio per la resistenza era sia quello politico ("le leggi passeranno") che quello giudiziario ("se non passeranno le leggi, ci penseranno le sentenze"). Vero, il rischio c'è tutto. Ma gli sconfittisti propongono sempre la resa senza combattimento, si vorrebbero limitare a un po' di lamentazioni successive. I resistenti considerano possibile fermare le leggi, sapendo che senza le leggi non possono esserci sentenze.
I fatti sono che il ddl Cirinnà sui "matrimoni" gay (chiamati unioni civili per mero gioco lessicale) è stato prima stoppato e poi ri-ti-ra-to dai proponenti, che l'hanno dovuto riscrivere e presentare modificato in Senato saltando (in barba a Costituzione e regolamenti parlamentari) la discussione in commissione dove erano stati inchiodati come effetto immediato della grande manifestazione di piazza San Giovanni del 20 giugno. I fatti sono che l'articolo 5 del ddl Cirinnà, quello sulla "stepchild adoption", che legittima persino la pratica dell'utero in affitto compiuta all'estero, mai spiegato dai proponenti imbroglioni e per una fase persino negato nella sua essenza, l'abbiamo spiegato noi agli italiani, che oggi a stragrande maggioranza lo contrastano nettamente. E gli effetti di questa ondata popolare di dissenso, attivata anch'essa dalla mobilitazione di piazza San Giovanni, sono arrivati fino a Palazzo Chigi, rendendo dubbiosi quelli che prima parevano avere granitiche certezze. E il ddl sui "matrimoni" gay è stato così rinviato a un'imprecisata fase di dibattito nel 2016.
I fatti, anche sul piano giudiziario, sono testardi. Abbiamo sempre ripetuto che tutte le forzature per far entrare nel sistema il "matrimonio" gay usando la via giurisprudenziale si sarebbe scontrato con un dato di fatto: tali atti, come le trascrizioni operate dai sindaci, sono contra legem. Il Consiglio di Stato lo ha appena riconosciuto e ha affermato che in Italia per la legge il matrimonio è "ontologicamente" quello tra un uomo e una donna, restituendo ai prefetti il potere di cancellare atti illegittimi compiuti dai sindaci. Ci siamo battuti in piazza e politicamente affinché non ci fosse una legge contro la famiglia naturale, senza una legge non possono esserci sentenze o atti amministrativi. Semplice no? Grazie al Consiglio di Stato ora questa ovvietà è chiara a tutti.
C'era poi un passaggio molto problematico, quello di un racconto mediatico che voleva disegnare una Chiesa pronta a dare il via libera alle unioni gay, per anni ci hanno spiegato che dal sinodo sulla famiglia sarebbe partita questa "rivoluzione". Bene, punto 76 della relazione finale del sinodo: "Circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, «non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia». Il Sinodo ritiene in ogni caso del tutto inaccettabile che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il ‘matrimonio’ fra persone dello stesso sesso". Possono esserci parole più chiare? Il capitolo di una Chiesa aperturista sui 'matrimoni' gay è chiuso e certo Melloni sul Corriere della Sera o il teologo Mancuso su Repubblica possono pure scrivere che la Chiesa si arrenderà o si è già arresa sul gender, ma ormai sappiamo che è mera propaganda che ha come obiettivo quello di fiaccare i resistenti.
Anche gli sconfittisti cattolici hanno lo stesso obiettivo. Qui siamo invece convinti che senza fare un grande sforzo, semplicemente dicendo la verità, quella più chiara ed evidente, l'esito della battaglia sia tutt'altro che scontato. C'è solo un modo perché l'esito sia certamente a favore degli avversari della famiglia, dei diritti dei più deboli, della Chiesa: non combattere.
A noi la battaglia, a Dio la vittoria.