venerdì 23 ottobre 2015

Il patriarca verde.



Francesco e Bartolomeo di fronte alla crisi ecologica. Con gli stessi sentimenti

Il patriarca verde. Anticipiamo, a firma del priore di Bose, stralci della prefazione al libro Nostra madre terra (Magnano, Edizioni Qiqajon, 2015, pagine 129, euro 13). Il volume, in uscita nei prossimi giorni, raccoglie alcuni interventi che il patriarca Bartolomeo, che i media hanno definito anche come il “patriarca verde”, ha dedicato negli ultimi anni al tema della cura e della custodia del creato; testi che, viene sottolineato, «possono considerarsi un vero e proprio commento all’enciclica di Papa Francesco Laudato si’».

(Enzo Bianchi) Papa Francesco, all’inizio dell’enciclica Laudato si’, pubblicata nel giugno 2015, rendeva un sincero omaggio e dava il più solenne risalto all’azione e alla riflessione ecologica del patriarca ecumenico Bartholomeos, non temendo neppure di compiere un’innovazione assoluta rispetto al genere letterario delle encicliche papali, in cui solitamente si citano solo testi della Scrittura, dei padri o del magistero, ma mai di cristiani appartenenti ad altre tradizioni ecclesiali. Non si è trattato di un omaggio di circostanza, dettato da motivazioni di cortesia o di strategia ecumenica ispirate al politicamente corretto. Certamente, in un certo senso, l’omaggio era doveroso, perché l’impegno pionieristico e pluridecennale del patriarca ecumenico nella difesa del creato fanno di lui un modello e un punto di riferimento imprescindibile in ambito cristiano; non per nulla egli è ormai conosciuto a livello internazionale come il “patriarca verde”.
C’è però di più. Come sa bene chi ha seguito da vicino le vicende ecclesiali ed ecumeniche degli ultimi due anni, i due leader religiosi, profondamente e fermamente impegnati a ristabilire la comunione tra le loro due “Chiese sorelle”, si sono in poco tempo scoperti fratelli homópsychoi, “animati dagli stessi sentimenti”, a imitazione dei due fratelli apostoli, Pietro e Andrea, che una celebre icona contemporanea del monaco athonita Meletios Sikiotis — divenuta simbolo del “dialogo della carità” tra cattolici e ortodossi dai tempi di Athenagoras e Paolo VI — ritrae affettuosamente stretti in un abbraccio. La sintonia è ben più profonda della semplice volontà comune di proseguire il cammino di dialogo verso l’unità e non riguarda neppure soltanto la questione della custodia della creazione che sta così a cuore a entrambi i presuli. Quest’ultima è semmai l’emergenza — la punta dell’iceberg — di una comune visione e preoccupazione che cerca di promuovere un nuovo paradigma antropologico: se ne renderà ben conto chi legga in sinossi i testi qui pubblicati con le pagine dell’enciclica; la sintonia di pensiero e di ragionamento (e spesso anche l’identità di linguaggio) sono palesi.
Francesco e Bartholomeos sono entrambi profondamente convinti che la cosiddetta “crisi ecologica” sia anzitutto una crisi di natura spirituale ed etica e, sulla base delle comuni convinzioni di fede radicate nella Bibbia e nel Vangelo, contestano radicalmente il modello antropologico imposto dalla società tecnocratica affermatosi in occidente, che vede l’uomo come solitario dominatore della natura, e denunciano senza mezzi termini la connessione tra lo sfruttamento delle risorse ambientali e la violenza e l’iniquità nelle relazioni sociali, che producono invariabilmente divisione, guerra, miseria e morte.
La questione della custodia dell’ambiente non può essere quindi affrontata in modo “tecnico” o isolato né può essere mai disgiunta da quella della tutela dei diritti umani fondamentali e della giustizia sociale. «Tutto è connesso», «tutto è in relazione», ripete a più riprese Francesco nella sua enciclica. Gli fa eco Bartholomeos: l’ambiente è considerato come oíkos, casa, abitazione, dimora comune di tutte le creature viventi, e l’intera creazione come koinonía, comunione di vita, di cui l’uomo è parte e da cui non può in alcun modo separarsi senza morire. Ecco perché se l’uomo contemporaneo continua ostinatamente nella via della hýbris, di quella sua autoaffermazione senza limiti, contro tutto e contro tutti, ciò non solo condurrà immancabilmente alla catastrofe dell’ambiente naturale (di cui oggi già avvertiamo ampiamente i prodromi), ma porterà alla morte e alla rovina della stessa umanità.
È richiesta quindi una profonda “conversione” (metánoia), un cambiamento di mentalità, un vero pentimento — e anche qui Bartholomeos usa lo stesso linguaggio di Francesco, il quale da parte sua dedica ampio spazio nell’enciclica a quella che egli chiama “conversione ecologica” — una conversione destinata ad aprire gli occhi all’uomo sulla verità della sua condizione e sul suo peccato nei confronti della creazione, la quale, secondo la volontà originaria di Dio, non è un deposito di beni di consumo da depredare e sfruttare, ma un giardino da “coltivare” (o anche “servire”, secondo la lettera del testo ebraico) e da “custodire” (cfr. Genesi, 2, 15). La vera dignità e vocazione dell’uomo consiste nell’essere “economo”, amministratore della “casa comune” che gli è stata affidata. Non è però suo diritto usarla a proprio esclusivo arbitrio e vantaggio, dimenticandosi sia della “comunità delle creature” che vi abitano insieme a lui, sia dello stesso proprietario, il Creatore, a cui quella casa dovrà essere restituita e al quale si dovrà rendere conto.

L'Osservatore Romano