domenica 25 ottobre 2015

Francesco non si fermerà...




Conservatori e temporalisti lo frenano ma Francesco non si fermerà
Repubblica.it

(Eugenio Scalfari) Il Papa non ha un tumore, sia pur benigno, al cervello né altre malattie. Se ne avesse lo direbbe. Jorge Bergoglio è un uomo le cui passioni sono state e sono la verità e la fede. La verità per lui è un valore assoluto; accetta il relativismo di tutti gli altri valori ma lo respinge fermamente per quanto riguarda la verità. Dico queste cose perché di esse abbiamo più volte discusso nei nostri incontri. E poiché io non credo nella verità assoluta,..

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Vatican Insider
(Andrea Tornielli) Uno sguardo a ciò che è accaduto in aula al momento delle votazioni e a ciò che significa il paragrafo 85 del documento finale dell'assemblea sinodale sulla famiglia. Il Sinodo si è concluso, il paragrafo più controverso che conteneva una significativa apertura verso i divorziati risposati e la possibilità per loro di accostarsi ai sacramenti - pur senza menzionare esplicitamente la comunione - è stato approvato con 178 voti a favore, (...)

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Sinodo, che cosa è davvero successo
Massimo Introvigne
[Una versione parziale di questo testo appare oggi sul "Mattino" di Napoli]
Nella Chiesa riforme, ma non rivoluzione
Massimo Introvigne
Si è concluso il Sinodo ordinario dei vescovi, «secondo tempo» dello sforzo sinodale cattolico sulla famiglia dopo il Sinodo straordinario del 2014. Oggetto di attese per alcuni e di preoccupazione per altri, ci si aspettavano dal Sinodo grandi riforme dell'insegnamento cattolico in tema di comunione ai divorziati risposati, convivenze, omosessuali. I media avevano alimentato queste attese, qualche volta equivocando su che cos'è e a che cosa serve un Sinodo. Due volte nel corso del Sinodo è intervenuto Papa Francesco a ricordare che «un Sinodo non è un parlamento» ed è regolato, in attesa di eventuali riforme, dal documento del 1965 di Papa Paolo VI che lo ha istituito. Questo documento precisa che scopo del Sinodo non è introdurre riforme ma fornire «informazioni e consigli» al Papa in vista di decisioni che lui, e lui solo, potrà eventualmente prendere.
Anche la relazione finale del Sinodo, approvata ieri, non è un testo rivolto immediatamente ai fedeli per regolare la loro vita cristiana. È una sintesi dei consigli e delle informazioni che i padri sinodali intendono fare giungere al Papa, rimettendosi alle sue decisioni. Questa è la realtà teologica e canonica del Sinodo. Ma accanto a questa c'è una realtà sociologica. I padri sinodali vivono nel XXI secolo e sanno benissimo che molti fedeli e forse anche molti parroci leggeranno la loro relazione come opinione autorevole della Chiesa.
Che cosa ha detto, dunque, il Sinodo? Dalla lettura dei documenti mi pare di poter rispondere che non vi sono rivoluzioni, ma un generale spirito di riforma. Il Sinodo vuole anzitutto che ovunque si parli di più della bellezza della famiglia, del matrimonio, dell'amore fedele e indissolubile di un uomo e di una donna. Il Sinodo sa che in molti Paesi, Italia compresa, il primo problema non è la sorte dei matrimoni ma il fatto che un numero crescente di giovani sceglie di convivere senza sposarsi. I padri sinodali non raccomandano al Papa anatemi e condanne, ma gli chiedono di guidare la Chiesa in una grande campagna mondiale perché i giovani si innamorino nuovamente del matrimonio e decidano di spendere la loro vita nel rischio e insieme nella bellezza della famiglia e dei figli.
Nel discorso conclusivo Papa Francesco ha rilevato che ci sono opinioni diverse su molti punti da un Paese e da un continente all’altro. Ha «sollecitato tutti a comprendere l’importanza dell’istituzione della famiglia e del Matrimonio tra uomo e donna, fondato sull’unità e sull’indissolubilità, e ad apprezzarla come base fondamentale della società e della vita umana». Nello stesso tempo, ha invitato alla misericordia, senza «condanne e anatemi» e ha affermato che «i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito; non le idee ma l’uomo; non le formule ma la gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono».
Francesco lo aveva detto: non ci occuperemo esclusivamente e neppure principalmente di divorziati. La parte che riguarda i divorziati risposati occupa poche pagine, a fronte dell'amplissima trattazione della grandezza del matrimonio e del ruolo cruciale della famiglia nella Chiesa e nella società. La relazione ribadisce che il matrimonio cristiano è indissolubile e non contiene nessuna apertura al divorzio. Invita ad accogliere i divorziati risposati nelle comunità cristiane, ma questo era stato detto tante volte in passato. Su un cammino che possa portare ad una eventuale ammissione eventuale ai sacramenti, senza mai menzionare esplicitamente l’eucarestia, invita a un discernimento caso per caso, in un brano della relazione – il numero 84 – che ha raggiunto la maggioranza prescritta per essere approvato per un solo voto. Tra i criteri di discernimento si invita riguardo ai divorziati a «chiedersi come si sono comportati verso i loro figli quando l'unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati tentativi di riconciliazione; come è la situazione del partner abbandonato; quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio».
Un discernimento che, scrive il Sinodo, «non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità» ma dovrà mettere insieme verità e misericordia, come il Papa ha richiesto. Questo discernimento - lo rivelano tante inchieste sociologiche - di fatto già avviene nella maggioranza delle parrocchie, e criteri più precisi potranno essere indicati dal Papa.
Deludendo forse qualcuno, la relazione fa appena un cenno agli omosessuali, ripetendo quanto il «Catechismo della Chiesa Cattolica» del 1992 già affermava: vanno accolti nelle famiglie e comunità con «rispetto, compassione e delicatezza». Nello stesso tempo, ribadisce che il matrimonio è solo fra un uomo e una donna, e che la Chiesa non accetta «analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia». Lungi dal cedere a chi cerca d’intimidire la Chiesa sostenendo che la teoria del gender non esiste, il documento afferma al n. 8 che «una sfida culturale odierna di grande rilievo emerge da quell’ideologia del “gender” che nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna. Essa prospetta una società senza differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia. Questa ideologia induce progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva radicalmente svincolate dalla diversità biologica fra maschio e femmina». Nelle scuole e in altri ambiti educativi, denuncia il n. 58, «spesso vengono presentati modelli in contrasto con la visione cristiana della famiglia. La sessualità è spesso svincolata da un progetto di amore autentico. In alcuni Paesi vengono perfino imposti dall’autorità pubblica progetti formativi che presentano contenuti in contrasto con la visione umana e cristiana»: rispetto ad essi, «vanno affermati con decisione la libertà della Chiesa di insegnare la propria dottrina e il diritto all’obiezione di coscienza da parte degli educatori». La relazione stigmatizza pure le organizzazioni internazionali che vogliono imporre la teoria del gender ai Paesi in via di sviluppo. Non sembra proprio un assist ai fautori di certe leggi, né in Italia né altrove. Su questo punto come su altri – in tema di anticoncezionali, si afferma che la Humanae vitae dev’essere «riscoperta», «al fine di ridestare la disponibilità a procreare in contrasto con una mentalità spesso ostile alla vita» – alla fine, nessuna rivoluzione: ma la riforma quotidiana di una Chiesa che Francesco vuole misericordiosa e accogliente, senza però rovesciare né demolire la dottrina, anzi riaffermandola. Il Sinodo, forse, ha capito più dei media questo Papa che, se è riformista, non è certamente rivoluzionario.
Inviato da iPad

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La "soluzione tedesca" ha spiazzato i conservatori. La minoranza rigorista sconfitta dalla mossa a sorpresa in assemblea
La Stampa
(Andrea Tornielli) «Sinodo», dal greco, significa «camminare insieme». E il testo che i padri sinodali hanno  «partorito» votando ogni paragrafo con una maggioranza qualificata di almeno due terzi e a  scrutinio segreto rispecchia davvero questa tensione a camminare insieme. Ma al tempo stesso  l’esito finale, che ha visto passare soltanto per un voto (178 placet, 80 non placet, 7 astenuti, con il  quorum dei due terzi a 177) il paragrafo più controverso dedicato ai divorziati risposati, ha mostrato ancora una volta la presenza di un significativo blocco che non intende mutare assolutamente nulla  nell’atteggiamento. Tutti i padri sinodali avevano l’altro ieri elogiato lo sforzo della commissione di produrre un testo condiviso, e gli elogi universali avevano lasciato intendere che alla fine quasi tutti  avrebbero detto di sì. 

Il paragrafo 85 
Ma una minoranza di padri «rigoristi», quella più organizzata, si preparava a bocciare il paragrafo  numero 85, probabilmente sperando di ripetere quanto accaduto un anno fa, quando i passaggi più  controversi non ottennero il voto dei due terzi dei padri. Francesco volle che tutto fosse pubblicato  lo stesso, con i voti per ogni singolo paragrafo, come è accaduto ieri. Il colpo di scena però questa  volta non c’è stato, o meglio c’è stato nel senso che anche il testo più «aperturista» - se così si  possono chiamare frasi che citano Papa Wojtyla, il Catechismo e le norme della dottrina tradizionale sul discernimento, la confessione e la maggiore o minore imputabilità a seconda delle circostanze -  è passato come piena espressione dell’assemblea, anche se soltanto per un soffio.  
L’intesa Kasper-Müller 
L’ampio documento finale, che non è affatto focalizzato sul tema dell’accesso ai sacramenti ai  divorziati e risposati, dice chiaramente che bisogna accogliere più e meglio di prima questi ultimi  nella Chiesa. Ma non c’è dubbio che proprio questa sia stata la questione dibattuta, non soltanto dai  media e sui media, ma anche dai cardinali e dai vescovi: con interviste, libri, pamphlet. La  soluzione proposta non tocca la dottrina, è stata di fatto messa a punto nel circolo minore di lingua  tedesca, dove hanno lavorato fianco a fianco teologi come Walter Kasper, autore della proposta più  aperturista, e Gerhard Müller, Prefetto dell’ex Sant’Uffizio, contrario alle aperture. 
Sul solco di Papa Wojtyla 
Approfondendo quanto affermato da Giovanni Paolo II nell’enciclica «Familiaris consortio», dove  si affermava che i pastori «sono obbligati a ben discernere le situazioni» facendo notare ad esempio  che «c’è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e  sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un  matrimonio canonicamente valido», il padri del Sinodo chiedono ai sacerdoti e ai vescovi di  «accompagnare» i divorziati risposati. Propongono dei criteri per l’esame di coscienza e momenti  «di riflessione e di pentimento», chiedendo loro «come si sono comportati verso i loro figli quando  l’unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati tentativi di riconciliazione; come è la situazione del partner abbandonato; quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la  comunità dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio». Criteri per «discernere» le diverse situazioni, per poi affidarsi al confessore, ricordando che anche,  con il Catechismo alla mano, che «l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere  sminuite o annullate a causa di diversi condizionamenti». Dunque il solo fatto di essere divorziati  risposati «non deve portare a un giudizio sulla imputabilità soggettiva», perché «in determinate  circostanze le persone trovano grandi difficoltà ad agire in modo diverso». Dunque più spazio  all’esame del caso per caso. Spetta ora a Francesco valutare il documento e prendere decisioni in  merito.

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«È il successo di un metodo di lavoro»
Avvenire
(Stefania Falasca) Schönborn: la fatica di pensare insieme ha ricomposto le differenze «Mentre seguivo i lavori del Sinodo, mi sono chiesto: che cosa significherà per la Chiesa concludere questo Sinodo dedicato alla famiglia?» ha chiesto il Papa nel toccante discorso conclusivo al termine delle votazioni sulla Relazione finale. Una maggioranza qualificata, sempre superiore ai due terzi, ha approvato tutti i 94 paragrafi del documento finale consegnato ieri sera nelle mani di papa Francesco e votato nel pomeriggio paragrafo per paragrafo dai 265 padri sinodali presenti, testo che il Papa ha disposto di pubblicare. «Ci auguriamo che il frutto di questo lavoro, ora consegnato nelle mani del Successore di Pietro, dia speranza e gioia a tante famiglie nel mondo, orientamento ai pastori e agli operatori pastorali e stimolo all' opera dell' evangelizzazione - affermano i padri sinodali nel documento conclusivo del Sinodo -. Concludendo questa relazione chiediamo umilmente al Santo Padre che valuti l' opportunità di offrire un documento sulla famiglia, perché in essa, Chiesa domestica, risplenda sempre più Cristo, luce del mondo». La direzione che indicano al Papa è quella di una pastorale della «tenerezza», che certamente comporterà nuovi atteggiamenti. «Nel corso di quest' assemblea noi padri sinodali riuniti intorno a papa Francesco abbiamo sperimentato - concludono i vescovi - la tene- rezza e la preghiera di tutta la Chiesa, abbiamo camminato come i discepoli di Emmaus e riconosciuto la presenza di Cristo». Si conclude così il Sinodo della 'sinodalità', o meglio, si apre. Un Sinodo che, come ha ricordato il cardinale Christoph Schönborn intervenendo nel briefing presso la Sala stampa vaticana, è stato segnato da una intensa ed effettiva partecipazione e da spirito di collegia-lità, dalla condivisone di diverse esperienze per un discernimento pastorale alimentato nel dialogo, nella ricerca e nella fatica del pensare insieme e ricomporre in armonia le divergenze. E che nel corso di tre settimane ha visto andare avanti con metodo il camminare insieme con 54 ore di assemblea in aula e altre 36 nei gruppi di lavoro per un totale di 753 interventi, senza contare le discussioni nei diversi gruppi linguistici. Si compie così quanto suggerito dal Papa nel discorso di apertura, quando aveva ricordato come questo può essere «uno spazio dell' azione dello Spirito Santo solo se noi partecipanti ci rivestiamo di coraggio apostolico, di umiltà evangelica e di orazione fiduciosa». «Se ci sentiamo bene alla fine di questo Sinodo - ha detto ieri Schönborn -, è dovuto in gran parte alla nuova metodologia, che è stata certamente il grande guadagno di questo Sinodo perché ha permesso a tutti di esprimersi. E questo è un successo», «un vero progresso», così come «il fatto che papa Francesco abbia voluto un cammino sinodale in più tappe, e tutta la grande consultazione del popolo di Dio che ha preceduto e seguito il Sinodo dell' ottobre scorso». Proprio da questo autentico processo sinodale sono emerse una dottrina approfondita e una pastorale familiare rinnovata, aggiornata, ovvero le finalità che questo Sinodo ordinario - svolgendosi cum et sub Petro - si era prefisso e delle quali è prova il documento finale. «L' esperienza del Sinodo per me ha confermato - aggiunge Schönborn - ciò che il Papa ha detto sabato scorso sulla sinodalità a tutti i livelli, e questo si riflette nel documento », un testo definito «di consenso». Perché lo scopo dei dibattiti è il discernimento comune del volere di Dio. Anche quando si vota (come alla fine di ogni Sindodo) non si tratta di lotte potere, di formazione di partiti, ma di un processo di formazione comunionale del giudizio: come fu nel primo Concilio di Gerusalemme, dove l' esito non fu un compromesso politico su un minimo comune denominatore ma su questo valore aggiunto che dona lo Spirito Santo. Così da poter dire, a conclusione: 'Abbiamo deciso, lo spirito Santo e noi'. Questo significa, ha detto ieri il Papa, «anche aver spogliato i cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa, o dietro le buone intenzioni, per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite».

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Il cardinale Christoph Schoenborn: "Passo storico ma sui gay non potevamo fare di più" 
 La Repubblica 
(Marco Ansaldo)L'arcivescovo di Vienna: "Anche il conservatore Mueller alla fine ha collaborato con noi. La parola chiave è discernere: bisogna valutare la singola situazione. E ognuna è diversa dall'altra. La famiglia è la rete più importante, anche se ferita. Me lo dice anche la mia esperienza di figlio di divorziati" (...)




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«Basta anatemi, la Chiesa si apra». Il sorriso del Pontefice e il discorso di chiusura: non difendere la lettera ma lo spirito della dottrina
Corriere della Sera
(Gian Guido Vecchi)  «Basta anatemi, la Chiesa si apra»  di Gian Guido Vecchi in “Corriere della Sera” del 25 ottobre 2015 «Il primo dovere della Chiesa non è quello di distribuire condanne o anatemi, ma di proclamare la  misericordia di Dio, chiamare alla conversione e condurre tutti gli uomini alla salvezza del  Signore». Mancano quattro minuti alle sette di sera, Francesco esce dal Sinodo e tra i cardinali e  vescovi rimasti fuori — qualcuno è già salito in macchina per filare via rapido — si leva un  applauso, come quello che in aula aveva accompagnato un lungo discorso che è già storico.  
Bergoglio sorride, saluta, si avvia da solo verso Santa Marta. Sarà lui a decidere, alla fine. Ma sono  parole soddisfatte, quelle del Papa. Voleva che l’assemblea gli lasciasse una porta aperta ed è quello che è successo: «L’esperienza del Sinodo ci ha fatto capire meglio che i veri difensori della dottrina  non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito; non le idee ma l’uomo; non le formule ma la  gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono». 
Francesco ha preso la parola alla fine, dopo aver assistito a tre settimane di discussione. E tra l’altro  non l’ha mandata a dire a chi è rimasto sulle barricate fino alla fine: «Le opinioni diverse che si  sono espresse liberamente — e purtroppo talvolta con metodi non del tutto benevoli — hanno  certamente arricchito e animato il dialogo, offrendo un’immagine viva di una Chiesa che non usa  moduli preconfezionati». 
Tutto parte da una domanda: «Che cosa significherà per la Chiesa concludere questo Sinodo?». Nel  discorso del Papa c’è anche un riferimento alla lettera dei 13 cardinali conservatori che all’inizio  temevano un’assemblea orientata e ai quali aveva già risposto in aula, mettendo in guardia da  interpretazioni «cospirative». Concludere il Sinodo, spiega Francesco, significa anche «aver cercato di aprire gli orizzonti superando ogni ermeneutica cospirativa o chiusura di prospettive, per  difendere e diffondere la libertà dei figli di Dio, e trasmettere la bellezza della Novità cristiana,  qualche volta coperta dalla ruggine di un linguaggio arcaico o non comprensibile». 
Ma significa tante cose, questo Sinodo. Anzitutto, scandisce, «aver sollecitato tutti a comprendere  l’importanza dell’istituzione della famiglia e del matrimonio tra uomo e donna, fondato sull’unità e  sull’indissolubilità, ad apprezzarla come base fondamentale della società e della vita» e a  «difenderla da tutti gli attacchi ideologici». Ma anche «aver spogliato i cuori chiusi che spesso si  nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa, o dietro le buone intenzioni, per sedersi  sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le  famiglie ferite». 
Al centro, c’è l’idea di Chiesa aperta cara a Francesco: «Il Vangelo rimane per la Chiesa la fonte  viva di eterna novità, contro chi vuole “indottrinarlo” in pietre morte da scagliare contro gli altri».  Perché la Chiesa «è Chiesa dei poveri in spirito e dei peccatori in ricerca del perdono e non solo dei  giusti e dei santi, anzi dei giusti e dei santi quando si sentono poveri e peccatori». Nella riflessione  del Papa c’è un passo importante sulla «integrazione» della fede: «Abbiamo visto che quanto  sembra normale per un vescovo di un continente, può sembrare uno scandalo per quello di un  altro». Così «ogni principio generale ha bisogno di essere inculturato». 
Ora si tratta di «tornare a camminare insieme» per «portare in ogni parte la luce del Vangelo»,  conclude Francesco. La misericordia, la consapevolezza che la salvezza è «inacquistabile» perché  «compiuta da Cristo gratuitamente sulla Croce». L’essenziale, «senza mai cadere nel pericolo del  relativismo oppure di demonizzare gli altri», è la frase di San Paolo che Francesco ha voluto  scrivere a caratteri maiuscoli: «La bontà e la misericordia di Dio supera i nostri calcoli umani e non  desidera altro che “TUTTI GLI UOMINI SIANO SALVATI”».

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I tre fronti dei cardinali
Corriere della Sera
(Luigi Accattoli)  Per il Papa le poste in gioco erano due: scelte coraggiose sulla crisi della famiglia, fare del Sinodo  uno strumento di vera consultazione. Forse Francesco non ha ottenuto — dall’assemblea sinodale  che è terminata ieri — tutto quello che si riprometteva sul fronte della famiglia, ma sul Sinodo come strumento del governo collegiale della Chiesa ha ottenuto anche di più di quello che immaginava  quando invitò i «padri», un anno addietro, a «parlare con libertà e ad ascoltare con umiltà».  
Per la prima volta nella storia del Sinodo — che ha festeggiato i 50 anni sabato 17 — le due  assemblee sulla famiglia hanno mostrato senza reticenze e con grinta, non solo con chiarezza, la  varietà cattolica. Varietà di popoli e lingue, di culture, di teologie. E dunque una varietà che  abbisogna di linguaggi, di regole e di prassi diversificate: anche sulla famiglia e anche sul  «camminare insieme», come vuole l’etimologia greca della parola «Sinodo».  
Forse Papa Bergoglio non si aspettava che gli statunitensi, gli africani e i polacchi — per citare i  gruppi nazionali che più hanno frenato rispetto alla sua spinta riformatrice in materia di «pastorale  familiare» — avrebbero obiettato con tanta forza alle proposte aperturiste dal cardinale Walter  Kasper. Di sicuro non si aspettava tante obiezioni quando scelse quel cardinale tedesco,  decisamente innovatore, per aprire il dibattito sulla questione famiglia davanti ai cardinali, nel  febbraio del 2014.  
Credo anche che non si aspettasse la lettera che gli hanno scritto — all’inizio di questo Sinodo —  una decina di cardinali, preoccupati che il metodo di lavoro e la composizione della commissione  incaricata di formulare il documento conclusivo non avessero a spingere l’assemblea verso  «conclusioni preordinate»: cioè secondo la premessa posta da Kasper. Quell’iniziativa ebbe come  animatore il cardinale australiano di Curia George Pell e la lettera è stata firmata tra gli altri dal  cardinale di Bologna Carlo Caffarra e da quello di New York Timothy Dolan: dunque la resistenza  alla spinta riformatrice ha una sua varietà geografica.  
Gli oppositori dichiarati delle riforme auspicate dal cardinal Kasper sono stati pochi ma combattivi.  Pochi sono stati anche i sostenitori totali di quelle riforme, principalmente tedeschi (il cardinale  Reinhard Marx ha polemizzato pubblicamente con Pell) e latino-americani. Una buona maggioranza dei «padri» — forse un 60% — è apparsa su posizioni centriste e possibiliste: in quest’area  troviamo quasi tutti gli italiani presenti nel Sinodo e la maggioranza dei curiali. Le conclusioni  votate ieri recepiscono nella sostanza tutte le novità di «pastorale familiare» sollecitate in questi  anni da Bergoglio, anche se espresse con maggiore cautela di linguaggio rispetto alla sua libertà di  parola, che a volte suona come volutamente provocatoria.  
Più che del testo votato, credo che Francesco sia soddisfatto della forza del dibattito che ha  provocato. «Voglio consultazioni reali, non formali» aveva detto nel settembre del 2013 al direttore  di «La Civiltà Cattolica»: questo Sinodo è la prova che le ha ottenute. Da un amico argentino che  l’ha incontrato a metà ottobre, Josè del Corral, sappiamo che di quel risultato Francesco è  «entusiasta»: «Mi ha spiegato che quando c’è tanto movimento, allora c’è passione, e tutto questo è  di Dio».  
È ragionevole che a un Papa riformatore corrisponda un episcopato mondiale fieramente disputante: è dagli anni del Concilio che non si vedeva tanto dibattito nella Chiesa di Roma.