martedì 27 ottobre 2015

Dottrina, tenerezza e tante balle

Un momento dei lavori del Sinodo sulla famiglia
Comunione ai divorziati, unioni gay e gender Quattro grandi bugie della stampa sul Sinodo
di Massimo Introvigne

Aprendo il quotidiano torinese La Stampa trovo un interessante inchiesta su come le parrocchie a Torino e altrove da oggi “applicheranno” la relazione finale del Sinodo. Una comunità di religiosi torinesi si proclama orgogliosamente, come si diceva un tempo, antemarcia: da tempo, afferma, riconosce il diritto alla comunione dei divorziati risposati «come dice il Sinodo» e si comporta di conseguenza. Inchieste simili appaiono anche in altri grandi quotidiani, non solo italiani. Avevamo messo in guardia su queste colonne sulle possibili falsificazioni mediatiche, ma quanto sta succedendo supera ogni previsione. Occorre dirlo con chiarezza: è una colossale mistificazione, uno scandalo, una vergogna. Ci sono, in questo modo di accostarsi al Sinodo, quattro bugie in una. Esaminiamole, e capiremo nello stesso tempo che cosa ha veramente detto il Sinodo.
Bugia numero uno: nessuna parrocchia, comunità, prete o fedele è chiamato da oggi ad «applicare» il Sinodo. Il Sinodo non ha deciso nulla e non ha prescritto nulla a sacerdoti e fedeli. Non poteva farlo. Non voleva farlo. Due volte, all'inizio e a metà del Sinodo, è intervenuto papa Francesco a ricordare che «un Sinodo non è un parlamento» ed è regolato, in attesa di eventuali riforme, dal motu proprio Apostolica sollicitudo del 1965 di Papa Paolo VI che lo ha istituito. Questo documento precisa che scopo del Sinodo non è introdurre riforme, ma fornire «informazioni e consigli» al Papa in vista di decisioni che lui, e lui solo, potrà eventualmente prendere La relazione finale del Sinodo, non è un testo rivolto immediatamente ai fedeli per regolare la loro vita cristiana. È una sintesi dei consigli e delle informazioni che i padri sinodali intendono fare giungere al Papa, rimettendosi alle sue decisioni. 
È vero che al Sinodo si è votato sulle singole proposizioni, ma si è votato su che cosa consigliare al Papa, non su che cosa prescrivere ai fedeli. Ha ancora minore senso scrivere - come altri fanno - che al Sinodo il Papa avrebbe «perso» perché su alcuni punti la relazione non si sarebbe espressa come avrebbe preferito. Forse per essere chiari occorre esprimersi in termini brutali: il Papa «vince» sempre, perché alla fine fa maggioranza da solo anche contro tutti gli altri.
Bugia numero due: il Sinodo non consiglia da nessuna parte al Papa di aprire le porte della comunione ai divorziati risposati. L'espressione «comunione ai divorziati risposati» o altre analoghe nella relazione semplicemente non ci sono. La relazione ribadisce che il matrimonio cristiano è indissolubile e non contiene nessuna apertura al divorzio. Invita ad accogliere i divorziati risposati nelle comunità cristiane, esortandoli a partecipare alla Messa e alla vita parrocchiale, ma questo era stato detto tante volte in passato e non è certo una novità. Quanto alla «più piena partecipazione alla vita della Chiesa» dei divorziati risposati, il numero 85 della relazione invita a un discernimento. Tra i criteri di discernimento si suggerisce riguardo ai divorziati di «chiedersi come si sono comportati verso i loro figli quando l'unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati tentativi di riconciliazione; come è la situazione del partner abbandonato; quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio». Ma il numero 86 esclude ogni gradualità della legge: «dato che nella stessa legge non c’è gradualità (cf. Familiaris consortio 34), questo discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità», anche se dovrà mettere insieme verità è misericordia. 
Non è dunque neppure esatto scrivere che sulla comunione ai divorziati il Sinodo ha consigliato al Papa di invitare i sacerdoti a «decidere caso per caso». È vero che la «più piena partecipazione» potrebbe in astratto comprendere l'accesso ai sacramenti e questo spiega perché il numero 85 della relazione ha ottenuto la maggioranza prescritta per un solo voto. Ricordando sempre - a costo di sembrare ripetitivi - che la votazione riguardava semplicemente che cosa consigliare al Papa, si possono comprendere le ragioni di chi ha votato contro, osservando però che il numero 85 non consiste di punti esclamativi, ma di punti interrogativi, certo sintesi di posizioni diverse, a proposito delle quali spetterà al Pontefice sciogliere ogni dubbio. Per loro natura, i punti interrogativi si possono leggere in modi diversi. Ma affermare che nel numero 85 c'è scritto che è opportuno dare la comunione ai divorziati risposati significa, molto semplicemente, non averlo letto. 
Bugia numero tre. Chi legge certi quotidiani ha l'impressione che il Sinodo si sia riunito per parlare di divorziati risposati e di omosessuali. Il Papa aveva già messo in guardia: qual dei divorziati non è la questione principale. Ma nessuno gli ha dato retta. Di divorziati si parla in una paginetta e mezza di un documento molto ampio. La relazione finale vuole anzitutto che ovunque nella Chiesa si parli di più della bellezza della famiglia, del matrimonio, dell'amore fedele e indissolubile di un uomo e di una donna. Il Sinodo sa che in molti Paesi, Italia compresa, il primo problema non è la sorte dei matrimoni, ma il fatto che un numero crescente di giovani sceglie di convivere senza sposarsi. I padri sinodali non raccomandano al Papa anatemi e condanne, ma gli chiedono di guidare la Chiesa in una grande campagna mondiale perché i giovani si innamorino nuovamente del matrimonio e decidano di spendere la loro vita nel rischio e insieme nella bellezza della famiglia e dei figli. 
Nel discorso conclusivo Papa Francesco ha certo parlato di misericordia, ma ha anzitutto «sollecitato tutti a comprendere l’importanza dell’istituzione della famiglia e del matrimonio tra uomo e donna, fondato sull’unità e sull’indissolubilità, e ad apprezzarla come base fondamentale della società e della vita umana». La relazione propone un'amplissima trattazione della grandezza del matrimonio e del ruolo cruciale della famiglia nella Chiesa e nella società. Questo è il cuore del Sinodo.
Quarta bugia: riguarda solo alcuni giornali e giornalisti, ma forse è la più grossa. Qualcuno - a partire dal New York Times - ha voluto trovare nella relazione del Sinodo perfino un'apertura alle unioni omosessuali. Il Sinodo si è occupato poco di omosessuali, ma se n'è occupato abbastanza per dire precisamente il contrario. Certo, il Sinodo ha ripetuto quanto il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 già affermava: le persone omosessuali vanno accolte nelle famiglie e comunità con «rispetto, compassione e delicatezza». Nello stesso tempo, il Sinodo ribadisce che il matrimonio è solo fra un uomo e una donna, e che la Chiesa non accetta «analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia». L'inciso «neppure remote» è molto importante. Significa che la Chiesa rifiuta non solo il «matrimonio» omosessuale ma anche istituti, comunque si chiamino, che presentano «analogie» anche soltanto «remote» con il matrimonio. La senatrice Cirinnà, che aveva detto di aspettarsi dal Sinodo aperture alle sue unioni civili, che ovviamente hanno ben più di «analogie remote» con il matrimonio, è stata respinta con danni, e non solo lei. 
Lungi poi dal cedere a chi cerca d’intimidire la Chiesa sostenendo che la teoria del gender non esiste, il documento afferma al n. 8 che «una sfida culturale odierna di grande rilievo emerge da quell’ideologia del “gender” che nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna. Essa prospetta una società senza differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia. Questa ideologia induce progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva radicalmente svincolate dalla diversità biologica fra maschio e femmina». Nelle scuole e in altri ambiti educativi, denuncia il n. 58, «spesso vengono presentati modelli in contrasto con la visione cristiana della famiglia. La sessualità è spesso svincolata da un progetto di amore autentico. In alcuni Paesi vengono perfino imposti dall’autorità pubblica progetti formativi che presentano contenuti in contrasto con la visione umana e cristiana»: rispetto ad essi, «vanno affermati con decisione la libertà della Chiesa di insegnare la propria dottrina e il diritto all’obiezione di coscienza da parte degli educatori». 
La relazione stigmatizza pure le organizzazioni internazionali che vogliono imporre la teoria del gender ai Paesi in via di sviluppo. Su questo punto come su altri – si condannano duramente aborto ed eutanasia, e in tema di anticoncezionali si afferma che la Humanae Vitae dev’essere «riscoperta», «al fine di ridestare la disponibilità a procreare in contrasto con una mentalità spesso ostile alla vita» – le bugie hanno le gambe corte. Ma non cortissime. Quanti, non solo fra i fedeli ma anche i sacerdoti, leggono solo i quotidiani laici anziché il testo della relazione del Sinodo e i discorsi del Papa?

*
Lo Spirito soffia dove vogliono i vaticanisti
di Andrea Zambrano
D'accordo: il Sinodo non ne parla. Ma ne parla Pippo Baudo. E non è detto che la cosa contribuisca alla serenità generale. Eucaristia, questa sconosciuta nella Relatio dei Padri Sinodali, che non l'hanno citata nemmeno una volta, a proposito di divorziati risposati. C'è chi dice che sia una vittoria dei reazionari, chi invece dei progressisti. Che categorie stantie, vintage, siamo andati a ripescare!
L'abbiamo capito: i punti 84 e 85 sui divorziati risposati sono frutto di un compromesso. Che ora potrà essere usato come un canovaccio all'interno del quale scorgervi, ognuno, una sua istanza.Pippo Baudo ci fa sapere che «ora chiederò di fare la comunione». Da che cosa deriva questo convincimento? Dai titoli dei giornali, non certo dalla Relazione, che non glielo permette, né dall'esortazione post sinodale di papa Francesco, che ancora non c'è. Ne si sa se ci sarà. Intanto però il terreno si tiene, diciamo, innaffiato. La grande stampa italiana si è attrezzata a tradurre quel «decideremo caso per caso» che è uscito a poche ore dalla pubblicazione delle relatio. Come?
«Francesco ci porta fuori dalle catacombe», recita il titolo d'apertura di pagina de La Stampa. In che senso? Nel senso che è arrivata «una rivoluzione pastorale». Escono fuori come funghi sacerdoti che, con tanto di nome, ammettono con orgoglio, che loro la comunione ai divorziati risposati la davano già. Repubblica invece punta sulla «nuova strada di apertura di Francesco» che fa entusiasmare il cardinal Hummes. E non poteva mancare lui, il cardinal Kasper che lancia il suo alalà dalle colonne del giornale più conservatore d'Italia, Il Giornale: «Sono soddisfatto, si è aperta una possibilità concreta di concedere la comunione ai divorziati risposati». Ma si è aperta dove? Quale Sinodo ha visto il cardinal Kasper dato che la Relatio, letta in lungo e in largo non ne parla? Semplice: ne parla lo spirito, non la lettera. 
Eccoci tornati indietro di 50 anni. Ricordate? Al Concilio Vaticano II l'approvazione della divina costituzione sulla liturgia, la Sacrosantum Concilium. I padri non toccarono di uno iota la messa, la liturgia, il latino, il canto gregoriano, l'orientamento ad Deum del fedele e del celebrante. E nemmeno introdussero quelle parole killer che hanno distrutto il linguaggio con il quale Dio vuole essere comunicato: adeguamento liturgico, aula liturgica, creatività liturgica, chitarre, messa come banchetto e non anche e soprattutto come sacrificio. Furono le singole Conferenze episcopali a iniziare a introdurre di sperimentazione in sperimentazione le variazioni con le quali oggi assistiamo a messe show, abusi e alla completa desacralizzazione della messa, «fonte e culmine della vita cristiana», sempre per stare al Concilio. Neppure la riforma di Paolo VI, con il relativo messale, andava a toccare il cuore sacrificale della messa, né la sua lingua. Eppure oggi le messe show, la creatività liturgica del celebrante, gli abusi ormai intollerabili dai fedeli, sono la prova che qualche cosa è successo.
Quel qualche cosa è lo spirito del Concilio. Una malintesa e strumentalizzata idealizzazione di ciò che la messa non era ed è poi diventata facendo perdere il senso del sacro e di conseguenza la corretta disposizione di animo e di cuore all'incontro perfetto con Dio. Di questo spirito del Concilio, contrario alla lettera, dunque alla dottrina, Benedetto XVI fu uno dei più acuti e intransigenti detrattori. Condannò il Concilio mediatico con parole che oggi, applicate al neonato Spirito del Sinodo, non possono non risultare profetiche. Era il 14 febbraio 2013 e il mondo era sconvolto da quella che appena tre giorni prima era stata la sua rinuncia al ministero petrino. L'occasione era il 50esimo anniversario di indizione dell'assise. «C’era il Concilio dei Padri, il vero Concilio», diceva Ratzinger, «ma c’era anche il Concilio dei media. Era quasi un Concilio a sé, e il mondo ha percepito il Concilio tramite i media». Benedetto XVI lo chiamava «il Concilio dei giornalisti», che «non si è realizzato all’interno della fede, ma all’interno delle categorie dei media di oggi, cioè fuori dalla fede, con un’ermeneutica politica».
Ratzinger attribuiva questo potere dei media all'interno di una «una lotta politica e di potere tra le diverse correnti nella Chiesa». E i media presero così posizione «per quella parte che a loro appariva quella più confacente con il loro mondo. C’erano quelli che cercavano la decentralizzazione della Chiesa, il potere per i vescovi e poi, tramite la parola “Popolo di Dio”, il potere del popolo, dei laici. C’era questa triplice questione: il potere del Papa, poi trasferito al potere dei Vescovi e al potere di tutti, sovranità popolare. Naturalmente, per loro era questa la parte da approvare, da promulgare, da favorire». A farne le spese, tornando alla Sacrosantum Concilium, la tanto bistrattata lettera, con una liturgia che «non interessava come atto della fede, ma come una cosa dove si fanno cose comprensibili, una cosa di attività della comunità, una cosa profana». L'analisi dell'ormai Papa emerito era impietosa: «Queste traduzioni, banalizzazioni dell’idea del Concilio, sono state virulente nella prassi dell’applicazione della Riforma liturgica; esse erano nate in una visione del Concilio al di fuori della sua propria chiave, della fede. Sappiamo come questo Concilio dei media fosse accessibile a tutti».
Ma le conseguenze sono state disastrose, come vediamo sotto gli occhi ormai da tanto tempo: «IConcilio virtuale ha creato tante calamità, tanti problemi, realmente tante miserie: seminari chiusi, conventi chiusi, liturgia banalizzata e il vero Concilio ha avuto difficoltà a concretizzarsi, a realizzarsi; il Concilio virtuale era più forte del Concilio reale». Leggendo le prime entusiastiche reazioni dei cosiddetti novatori e l'uso che ne sta facendo la grande stampa, l'impressione è che si stia ricreando lo stesso meccanismo di scissione che abbiamo visto con il Concilio Vaticano II. Con un martellamento insistente, fino a quando non entrerà nella testa di ogni singolo fedele, il concetto che la comunione ai divorziati risposati non è altro che una risultante dello spirito del Sinodo. E poco importa se la dottrina non ne parla, anzi la esclude proprio. A questo ci pensano i giornali e i laudatores capitanati da Kasper & C. Diventerà prassi alla luce del sole, senza che ce ne accorgiamo.

*

Dottrina, tenerezza e tante balle 

(ma che Sinodo hanno visto i giornali?)


Rachele Schirle
Anticipiamo un articolo che apparirà sul prossimo numero di Tempi in edicola da giovedì 29 ottobre (vai alla pagina degli abbonamenti) – Il Sinodo sulla famiglia si è concluso con un documento finale di 59 pagine organizzate in 94 paragrafi. Vi sono esaminati la famiglia e i contesti antropologico-culturale e socio-economico; il ruolo della famiglia nel piano di Dio (storia della Salvezza, magistero della Chiesa, dottrina cristiana), la sua missione nel mondo. Si sottolinea il valore del matrimonio nell’ordine della creazione e la sua pienezza sacramentale, l’indissolubilità e fecondità dell’unione sponsale, l’intimo legame fra Chiesa e famiglia, eccetera. L’attenzione dei media, però, sin dalla vigilia del Sinodo era tutta centrata su due questioni: le coppie di persone dello stesso sesso e la possibilità che battezzati divorziati e risposati fossero ammessi all’Eucarestia. Il tutto sullo sfondo di un’asserita battaglia interna alla Chiesa fra progressisti e conservatori, fra papa Francesco e gli avversari della linea di papa Francesco.
Sul primo punto, la Relazione finale dice al numero 76: «Circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, “non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 4). Il Sinodo ritiene in ogni caso del tutto inaccettabile che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso».
Il criterio di san Wojtyla
L’altro tema, quella della Comunione per i divorziati, semplicemente nella Relazione finale non c’è. Ben tre paragrafi sono dedicati alla condizione dei cattolici divorziati e risposati civilmente, ma in nessuno ci si pronuncia chiaramente sulla questione dell’accesso all’Eucarestia. Troviamo che «i battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni occasione di scandalo. La logica dell’integrazione è la chiave del loro accompagnamento pastorale, perché non soltanto sappiano che appartengono al Corpo di Cristo che è la Chiesa, ma ne possano avere una gioiosa e feconda esperienza».
Al n. 85 si coglie un’apertura in certi casi: «San Giovanni Paolo II ha offerto un criterio complessivo, che rimane la base per la valutazione di queste situazioni: “Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C’è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido” (Familiaris Consortio, 84). È quindi compito dei presbiteri accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo».
Al n. 86 è posto un paletto preciso rispetto all’apertura: «Il colloquio col sacerdote, in foro interno, concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere. Dato che nella stessa legge non c’è gradualità (cfr. Familiaris Consortio, n. 34), questo discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa».
In Italia e all’estero due film diversi
Fin qui l’obiettività dei testi. Come sono stati interpretati dai giornali italiani e stranieri? Sembra che non abbiano visto lo stesso film. Il Fatto quotidiano ha titolato: “Il papa ottiene dal Sinodo un’apertura sui divorziati”; “Sinodo: la comunione ai divorziati risposati passa per soli due voti. Francesco spacca la politica della Chiesa” e “Per le coppie omosessuali niente di fatto”. La Stampa batte e ribatte: “Comunione ai divorziati, sì ma per un solo voto. Così Papa Francesco ha piegato i conservatori”. “La minoranza rigorista sconfitta dalla mossa a sorpresa in assemblea”. “Cade divieto assoluto di comunione ai divorziati: sì del Sinodo ma con un solo voto di scarto”. La Repubblica: “Sinodo: 2/3 dei vescovi, sì alla comunione ai divorziati”. E ancora: “Sì ai divorziati, ma Sinodo diviso. Il Papa: superiamo i complotti”. Mentre l’editorialista Eugenio Scalfari scrive: “Conservatori e temporalisti lo frenano ma Francesco non si fermerà”. Il Corriere della Sera: “Il Sinodo apre sulla comunione ai divorziati”; «Ora il Papa ha le mani libere. Scriverà presto il suo documento» (citando il superiore dei gesuiti).
All’estero hanno visto le cose un po’ diversamente. In Spagna El País titola: “Il Sinodo della famiglia si chiude senza soddisfare le aspettative del papa”; negli Stati Uniti il Wall Street Journal dichiara: “I vescovi portano il papa alla sconfitta sull’apertura ai cattolici divorziati – Il Sinodo si conclude senza avallare un percorso per accedere all’eucarestia per coloro che hanno divorziato e si sono risposati”. Per il Daily Telegraph (Londra) “Il Sinodo si è concluso. Niente di sostanziale è cambiato”, mentre per l’edizione domenicale del Times “Il papa attacca i vescovi per aver bloccato la riforma gay”. The Tablet, il periodico dei cattolici britannici liberal, commenta amaramente: “Il Sinodo sulla Famiglia si è concluso senza alcun consenso sulla questione della comunione per i cattolici divorziati risposati e con il rifiuto di ogni cambiamento nella dottrina della Chiesa sull’omosessualità”. Il New York Times nel corpo di un articolo: «I reporter che chiedevano chiarezza si sono affollati attorno al portavoce: “Non possono ricevere la Comunione”, ha detto padre Thomas Rosica». In Francia Le Monde comunica in prima pagina: “Il sinodo frena le riforme del papa sulla famiglia”.
Il paragrafo ignorato
Alcuni giornali italiani successivamente ai titoli encomiastici citati all’inizio hanno proposto pezzi più riflessivi e in chiaroscuro, chiarendo che l’accesso dei divorziati risposati all’Eucarestia non potrebbe avvenire che valutando caso per caso. Nessuno di essi tuttavia ha fatto molto caso al testo al numero 76, nettissimo nella chiusura alla valorizzazione delle relazioni omosessuali e tutt’altro che tenero nella denuncia dei tentativi di condizionare le Chiese locali e i paesi poveri minacciando loro danni a livello finanziario se non accettano il matrimonio fra persone dello stesso sesso.
A quanto pare quello che ha detto il belga monsignor Luc Van Looy, vescovo di Gent, in una conferenza stampa di chiusura del Sinodo, e cioè che «questo Sinodo inaugura la Chiesa della tenerezza e decreta la fine della Chiesa che divide il mondo in buoni e cattivi», non è proprio giusto. Qualche cattivo, secondo i padri sinodali, in giro ancora c’è.

Tempi