martedì 29 settembre 2015

Grande discepolo, grande maestro



Ricordo del cardinale Carlo Maria Martini.

Protagonista del Novecento. È uscita in questi giorni la nuova edizione del libro curato da Marco Vergottini, "Martini e noi. I ritratti inediti di un grande protagonista del Novecento" (Milano, Edizioni Piemme, 2015, pagine 360, euro 17,50) che raccoglie le testimonianze — fra esse quella di Papa Francesco — di diverse personalità religiose, politiche, del mondo del giornalismo e della cultura sulla figura del cardinale arcivescovo di Milano scomparso il 31 agosto 2012. Pubblichiamo qui uno degli interventi, scritto dal cardinale che è stato segretario particolare di Giovanni XXIII
(Loris Francesco Capovilla) Nel corso di un ventennio ho seguito il servizio reso alla Chiesa ambrosiana dal cardinale arcivescovo Carlo Maria Martini. Umilmente desidero sottolineare i pregi dei doni ricevuti da Dio e da lui diligentemente profusi per il bene dell’intera famiglia umana. Mi piace ricordare che il cardinale tenne nel Seminario vescovile di Bergamo, sul finire del suo ministero episcopale sulla cattedra dei santi Ambrogio e Carlo, una stupenda meditazione ai sacerdoti delle diocesi della Lombardia, dal titolo «La “piccola via” di Papa Giovanni», in cui, oltre a tenere sullo sfondo un parallelismo fra l’Autobiografia di santa Teresina e il Giornale dell’anima, si chiedeva a proposito di quest’ultimo quali passi biblici ispirassero l’agire di Papa Giovanni.
Una sola volta l’ho incontrato di persona, accompagnato in auto dal professor Marco Vergottini il 28 maggio 2011 nel suo ritiro a Gallarate, dove trascorreva con fede ed entusiasmo i suoi ultimi giorni terreni, fraternamente ospitato dai suoi confratelli gesuiti e assistito da don Damiano Modena, impareggiabile sacerdote. Mi parlò non solo della presenza della Chiesa nei Paesi di antica tradizione cristiana ma anche delle prospettive che vedeva profilarsi nella mente e nel cuore dei credenti di buona volontà a vantaggio di tutti i popoli, citando parole di Giovanni XXIII inserite nel suo discorso del 2 febbraio 1963: «I grandi popoli dell’Asia centrale e dell’Estremo oriente, le cui luci di civiltà conservano indubbie tracce della primitiva divina rivelazione, saranno chiamati un giorno dalla Provvidenza — io lo avverto come voce arcana dello Spirito — a lasciarsi penetrare dalla luce del Vangelo, che fiammeggiò dai lidi di Galilea, aprendo il libro della nuova storia non di un popolo o di un gruppo di nazioni, ma di tutto il mondo». 
Riferendosi a Papa Roncalli, mi impresse nell’animo le sue cordiali e accese parole: «Monsignor Capovilla, Dio le conceda lunga vita perché lei continui a parlarci di Papa Giovanni, anzitutto dell’ispirata decisione di convocare a concilio tutto il mondo e di colloquiare insieme sull’anelito all’unione di tutte le genti e dello sconfinato amore verso tutte le culture, le civiltà e le realtà presenti». Vidi in lui l’uomo, il sacerdote gesuita, il maestro, il pastore, il dottore della Chiesa, il discepolo. Dico appositamente discepolo, perché egli confessò che molto aveva appreso lasciandosi illuminare dai suoi sacerdoti, dai laici e dai giovani. Accanto a lui tuttora io mi sento intimidito e al tempo stesso incoraggiato ad accostarlo, condividerne la vocazione, i carismi e il servizio, specialmente il suo sconfinato amore per ogni creatura.
Alcuni giorni dopo questo incontro ricevetti da lui una esortazione così concepita: «Grazie vivissime per l’ora che mi ha dedicato a Gallarate. Sono convinto che la salute la sostiene così tanto perché lei sia testimone della dolcezza spirituale di Papa Giovanni e dell’amore da lui diffuso mediante il concilio Vaticano II». È questo che ha lasciato a noi e a me, come consegna, il caro e venerato arcivescovo: nonostante incomprensioni e conflitti, essere pronti a gettare risentimenti e lamenti dietro le spalle e presentarci al mondo con umile tessera, come Giorgio La Pira al Cremlino, e «condividere la dolcezza evangelica di Papa Giovanni e l’amore da lui diffuso mediante l’assise ecumenica».
Nulla di nuovo saprei dire circa il servizio compiuto da lui, ma rinnovo sensi di gratitudine di tutti coloro che l’hanno avvicinato e ascoltato, per quanto ha preveduto e proposto per il cammino della Chiesa di Cristo chiamata in ogni occasione a testimoniare verità e giustizia, amore e libertà che sono i cardini di Pacem in terris. Anch’io assieme a migliaia di milanesi accorro alla sua tomba, lo riascolto, gli parlo e lo prego che dai cieli altissimi, dove di sicuro segue gli eventi dell’umanità, ci ottenga la grazia di imitarlo cooperando in tal maniera alla realizzazione del piano pastorale ed ecclesiale che Papa Francesco, con l’episcopato di tutto il mondo, continua a declamare con amore da piazza San Pietro e da ogni ambito religioso e civile dei nostri giorni.
Arde nei nostri cuori una fiamma ormai ben accesa e dilagante: «Pensare in grande e guardare alto e lontano» (Giovanni XXIII).

L'Osservatore Romano