giovedì 27 agosto 2015

Chi ha paura dell’ecumenismo



sopra: Pier Giorgio Debernardi, vescovo di Pinerolo

Andare, e andare insieme

A Torre Pellice. Anticipiano quasi integralmente l’intervento che l’arcivescovo presidente della Commissione episcopale italiana per il dialogo e l’ecumenismo terrà venerdì 28 al Sinodo delle Chiese valdesi e metodiste di Torre Pellice (Torino).
(Bruno Forte) Ho vissuto con molta partecipazione, anche se non presente di persona, la visita del Vescovo di Roma Francesco al Tempio Valdese di Torino lo scorso 22 giugno. Partendo da quanto hanno detto i protagonisti di quell’incontro, vorrei presentare qualche riflessione che spero possa aiutare lo sviluppo del nostro dialogo e della nostra amicizia.
Mi fermo in particolare sui due “punti caldi”, richiamati nel suo discorso dal Moderatore della Tavola Valdese Eugenio Bernardini: da una parte, quello del riconoscimento della confessione valdese come “chiesa” e non semplicemente come “comunità ecclesiale”; dall’altra, la questione della reciproca ammissione alla mensa eucaristica. Rivolgendosi al Papa, il Moderatore ha detto: «Noi vogliamo essere chiesa, ci sentiamo chiesa, cerchiamo di testimoniare il vangelo, di seguire il Signore Gesù...»; e, relativamente all'Eucaristia, ha affermato che «ciò che conta è che tutti in quel pane e in quel vino vediamo il segno del corpo e sangue di Cristo e crediamo che sia così. Il resto sono interpretazioni teologiche, che non devono dividerci...». Si tratta di due questioni decisive, sulle quali anche da parte cattolica c’è la volontà di dialogare con apertura e con sincerità. Fondamentale, poi, è stata la richiesta di perdono ai valdesi pronunciata da Papa Francesco, soprattutto perché è nella verità che l’atteggiamento di accoglienza reciproca e di disponibilità alla riconciliazione potrà essere costruttivo ed evangelico. Vorrei anche ricordare che lo scorso 9 marzo, in Senato, dieci diverse confessioni cristiane presenti in Italia hanno firmato un documento congiunto di condanna contro la violenza alle donne: promotori di questo documento sono stati proprio i valdesi, rappresentati in particolare da Maria Bonafede e Debora Spini. L’Ufficio Cei per l’Ecumenismo e il Dialogo ha condiviso l’iniziativa, cercando di coinvolgere altre chiese cristiane. L’intenzione è quella di andare avanti con la sensibilizzazione su questo tema, e di farlo in modo congiunto, offrendo un esempio di collaborazione su una questione che riguarda tutti i cristiani e non solo. Questo dimostra che, se ci mettiamo d’impegno, riusciamo a trovare e valorizzare ciò che ci unisce! 
Nella visita al Tempio Valdese Papa Francesco ha esordito con espressioni forti e chiare: «Con grande gioia mi trovo oggi tra voi. Vi saluto tutti con le parole dell’apostolo Paolo: “A voi, che siete di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo, noi auguriamo grazia e pace” (1 Tessalonicesi 1, 1 - Traduzione interconfessionale in lingua corrente)». Essere di Dio e del Signore Gesù Cristo è la condizione più alta di cui un cristiano possa essere grato al Signore: è su questa appartenenza alla Trinità che si fonda la natura più profonda della Chiesa. Con questo riferimento al più antico testo cristiano, la prima lettera ai Tessalonicesi, Papa Francesco è andato oltre la questione della dichiarazione di ecclesialità, mostrando come essa sia subordinata alla primaria e decisiva partecipazione alla vita trinitaria. È in tal senso che va letto anche il bellissimo riferimento alla “fraternità cristiana” fatto dal Vescovo di Roma: «Uno dei principali frutti che il movimento ecumenico ha già permesso di raccogliere in questi anni è la riscoperta della fraternità che unisce tutti coloro che credono in Gesù Cristo e sono stati battezzati nel suo nome. Questo legame non è basato su criteri semplicemente umani, ma sulla radicale condivisione dell’esperienza fondante della vita cristiana: l’incontro con l’amore di Dio che si rivela a noi in Gesù Cristo e l’azione trasformante dello Spirito Santo che ci assiste nel cammino della vita. La riscoperta di tale fraternità ci consente di cogliere il profondo legame che già ci unisce, malgrado le nostre differenze».
Il Papa era certo consapevole della portata di queste affermazioni, come dimostra l’onesta precisazione che ha fatto seguire ad esse: «Si tratta di una comunione ancora in cammino — e l’unità si fa in cammino — una comunione che, con la preghiera, con la continua conversione personale e comunitaria e con l’aiuto dei teologi, noi speriamo, fiduciosi nell’azione dello Spirito Santo, possa diventare piena e visibile nella verità e nella carità». È qui che Francesco ha sviluppato l’idea centrale del suo discorso, ripresa in seguito anche dai commenti di vari esponenti autorevoli della Chiesa valdese: il tema della “diversità riconciliata”. Così l’ha presentata: «L’unità che è frutto dello Spirito Santo non significa uniformità. I fratelli, infatti, sono accomunati da una stessa origine, ma non sono identici tra di loro. Ciò è ben chiaro nel Nuovo Testamento, dove, pur essendo chiamati fratelli tutti coloro che condividevano la stessa fede in Gesù Cristo, si intuisce che non tutte le comunità cristiane, di cui essi erano parte, avevano lo stesso stile, né un’identica organizzazione interna. Addirittura, all’interno della stessa piccola comunità si potevano scorgere diversi carismi (cfr. 1 Corinzi 12-14) e perfino nell’annuncio del Vangelo vi erano diversità e talora contrasti (cfr. Atti 15, 36-40)». Questa diversità non sempre è stata colta come ricchezza nella storia della Chiesa. Perciò Francesco ha aggiunto: «Purtroppo, è successo e continua ad accadere che i fratelli non accettino la loro diversità e finiscano per farsi la guerra l’uno contro l’altro. Riflettendo sulla storia delle nostre relazioni, non possiamo che rattristarci di fronte alle contese e alle violenze commesse in nome della propria fede, e chiedo al Signore che ci dia la grazia di riconoscerci tutti peccatori e di saperci perdonare gli uni gli altri».
È a questo punto che le parole del Vescovo di Roma hanno toccato il loro vertice, non solo emotivo, ma anche teologico, pastorale e spirituale: «Da parte della Chiesa cattolica vi chiedo perdono per gli atteggiamenti e i comportamenti non cristiani, persino non umani che, nella storia, abbiamo avuto contro di voi. In nome del Signore Gesù Cristo, perdonateci!». 
«La sua richiesta di perdono — ha dichiarato il moderatore della Tavola valdese, pastore Eugenio Bernardini — ci ha profondamente toccati e l’abbiamo accolta con gioia. Naturalmente non si può cambiare il passato, ma ci sono parole che a un certo punto bisogna dire, e il papa ha avuto il coraggio e la sensibilità per dire la parola giusta». In questa luce, i passi compiuti negli anni recenti per un riavvicinamento fra cattolici e valdesi sono stati riletti da Francesco nel segno della speranza e dell’impegno che ci aspetta tutti: «Incoraggiati da questi passi, siamo chiamati a continuare a camminare insieme… Consapevoli che il Signore ci ha preceduti e sempre ci precede nell’amore (cfr. 1 Giovanni 4, 10), andiamo insieme incontro agli uomini e alle donne di oggi, che a volte sembrano così distratti e indifferenti, per trasmettere loro il cuore del Vangelo». 
Oltre all’impegno comune per l’evangelizzazione, il Papa ha voluto ricordare un altro ambito in cui lavorare sempre di più uniti, «quello del servizio all’umanità che soffre, ai poveri, agli ammalati, ai migranti… Dall’opera liberatrice della grazia in ciascuno di noi deriva l’esigenza di testimoniare il volto misericordioso di Dio che si prende cura di tutti e, in particolare, di chi si trova nel bisogno. La scelta dei poveri, degli ultimi, di coloro che la società esclude, ci avvicina al cuore stesso di Dio, che si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà (cfr. 2 Corinzi 8, 9), e, di conseguenza, ci avvicina di più gli uni agli altri. Le differenze su importanti questioni antropologiche ed etiche, che continuano ad esistere tra cattolici e valdesi, non ci impediscano di trovare forme di collaborazione in questi ed altri campi. Se camminiamo insieme, il Signore ci aiuta a vivere quella comunione che precede ogni contrasto». A questo invito accorato ha fatto eco il Pastore Paolo Ribet: «Nel momento in cui siamo chiamati alla fede, siamo anche esortati a metterci in cammino verso il Cristo, che è e rimane al di fuori e al di sopra di noi. In questo percorso di persone e di chiese incontriamo fratelli e sorelle che condividono con noi il cammino. Oggi con gioia incontriamo lei, Papa Francesco, come un nuovo fratello nel nostro percorso, e vogliamo leggere la sua visita (che è stata definita giustamente “storica”) proprio in questa dimensione». 
Proprio nella prospettiva del cammino, la questione teologica della natura ecclesiale delle confessioni impegnate nel dialogo può essere risolta: come in cristologia e in teologia delle religioni si applica il principio della “analogia Christi”, che porta a discernere i vari gradi e forme della presenza del Redentore nella vita e nella storia degli uomini, così — senza appiattire l’una concezione ecclesiologica sull’altra — cattolici e valdesi potranno riconoscersi reciprocamente come Chiese. Se questo vorrà dire per i cattolici non rinunciare all’idea della successione apostolica del ministero ordinato come condizione della sacramentalità della Chiesa tutta, per i valdesi vorrà significare l’irrinunciabile primato riconosciuto alla Parola di Dio, che convoca e genera la Chiesa, “creatura Verbi”, quando è accolta nella fede. Ciò nulla toglierà al patrimonio dei doni di Dio condivisi, dalla preghiera all’esercizio della carità, dalla Bibbia all’economia sacramentale fondata sul battesimo. In questa luce, potrà essere superata quella logica del “tutto o niente” che ha portato alle reciproche condanne, fino all’esclusione di fratelli e sorelle, pur uniti dalla grazia battesimale, dalla partecipazione alla ricchezza dei doni divini ricevuti nella propria Chiesa, a cominciare dall’Eucaristia. Occorrerà, certo, il coraggio di avanzare nella comune comprensione delle parole del Signore, in una crescita di comunione teologica e spirituale che esige reciproco ascolto e volontà comune di obbedienza al Dio vivente e alla Sua Parola. Ma la strada è aperta e il clima umano e spirituale sperimentato nell’incontro al Tempio Valdese di Torino schiude possibilità inattese. Lo ha augurato Francesco a tutti i partecipanti con le sue parole di chiusura: «Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio nuovamente per questo incontro, che vorrei ci confermasse in un nuovo modo di essere gli uni con gli altri: guardando prima di tutto la grandezza della nostra fede comune e della nostra vita in Cristo e nello Spirito Santo, e, soltanto dopo, le divergenze che ancora sussistono… Il Signore conceda a tutti noi la sua misericordia e la sua pace».
Analogo è stato l’auspicio del Pastore Ribet che, richiamando la volontà dei Padri che costruirono il Tempio Valdese di Torino di vivere l’evangelo in modo “altro”, ha osservato: «Spesso l’accento è stato messo sull’aggettivo “altro”, sulla diversità. Ma oggi vorrei mettere l’accento sul verbo “vivere”». A sua volta il Pastore Eugenio Bernardini ha affermato, rivolgendosi a Papa Francesco: «Entrando in questo tempio, Lei ha varcato una soglia storica, quella di un muro alzatosi oltre otto secoli fa quando il movimento valdese fu accusato di eresia e scomunicato dalla Chiesa romana. Qual era il peccato dei valdesi? Quello di essere un movimento di evangelizzazione popolare svolto da laici, mediante una predicazione itinerante tratta dalla Bibbia, letta e spiegata nella lingua del popolo. Da oltre otto secoli, attraverso una storia a lungo segnata da varie forme di persecuzione e quindi scritta anche col sangue di molti martiri, non abbiamo voluto essere altro che una comunità di fede cristiana al servizio della parola di Dio e della libertà del suo annuncio…». 
Il Moderatore ha quindi aggiunto: «Crediamo anche noi che l’unità cristiana possa e debba essere concepita proprio così: come “diversità riconciliata”, in cui occorre sottolineare sia la parola “diversità”, sia l’esigenza che sia “riconciliata”… Ogni chiesa ha bisogno delle altre per realizzare la propria vocazione. Non possiamo essere cristiani da soli… È nostra umile ma profonda convinzione che siamo chiesa: certo peccatrice, “semper reformanda”, pellegrina che, come l’apostolo Paolo, non ha ancora raggiunto la mèta (Filippesi 3, 14), ma chiesa, chiesa di Gesù Cristo, da Lui convocata, giudicata e salvata, che vive della sua grazia e per la sua gloria... In questo mondo, noi cristiani siamo chiamati a dire la Parola della verità e della vita, una parola che non ritorna invano ma che cambia i cuori e le menti. Annunciare questa Parola è la nostra fatica e la nostra gioia di sorelle e fratelli in Cristo». Gli ha fatto eco nel suo saluto di commiato Alessandra Trotta, presidente dell’Opera per le Chiese Evangeliche Metodiste in Italia: «Andiamo con speranza, per portare speranza; la speranza alimentata dall’ascolto di una Parola di vita, che ci insegna ad osare, sempre, nelle occasioni private come in quelle pubbliche, le parole che rompono i silenzi delle solitudini, dell’emarginazione e della rassegnazione; che sfidano le chiusure degli egoismi, delle paure, dei risentimenti. Andiamo ed andiamo insieme, perché c’è molto da fare». È questa anche la ragione per cui sono qui.


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(Pier Giorgio Debernardi, vescovo di Pinerolo) C’è stato molto rumore attorno al Sinodo della Chiesa valdese - metodista sul tema del perdono, travisando completamente lo spirito che anima l’assemblea sinodale formata da credenti sinceramente appassionati del cammino ecumenico.
Le parole del Moderatore, pastore Eugenio Bernardini, sono chiarissime: «Quello che vogliamo più di tutto è riconciliare le memorie e scrivere una storia nuova insieme». 
I titoli degli organi di stampa — fatte alcune eccezioni — sono stati depistanti. Forse ad arte. Dire che i valdesi non sanno perdonare è una menzogna. È vero il contrario. Certo, il perdono è un atto personale. Nessuno può sostituirsi ad altri. Ma, detto questo, il Sinodo valdese ha espresso con convinzione il desiderio e l’impegno di voler preparare con i cattolici pagine nuove di storia, peraltro già iniziata nella diocesi di Pinerolo. Infatti l’incontro con Papa Francesco è avvenuto perché le nostre Chiese da tempo sono in dialogo e cercano di costruire relazioni positive, nella fraternità condivisa, attraverso lo scambio di doni sul piano teologico e pastorale. Solo chi non conosce il nostro percorso, può affermare che “i valdesi non sono capaci di perdonare”, che il “perdono è impossibile” e che c’è “freddezza” e “sospetto” nei confronti dei gesti di papa Francesco. Lo smentisce categoricamente la lettera aperta preparata dal Sinodo, e votata all’unanimità (solo sei astenuti su 180 sinodali), che ho recapitato personalmente alla segreteria del Papa mercoledì mattina. Così annota il Moderatore: «La lettera è nata spontaneamente nell’ambito della comprensione che abbiamo noi della nostra Chiesa. Il Papa a Torino ci ha molto colpito per i contenuti del suo discorso, tra i quali molto importante la richiesta di perdono per ciò che nel passato la Chiesa cattolica ha fatto subire alla nostra. E a una tale dichiarazione straordinaria, per noi è stato normale chiedere al Sinodo — che è la nostra massima autorità decisionale, religiosa e teologica — di valutare e rispondere adeguatamente».
L’ecumenismo è un cammino irreversibile. Questo, però non significa dimenticare la storia passata. Anzi, averla sempre dinnanzi ci aiuta e ci preserva dal ripetere errori già commessi. “Ricordare” è un verbo biblico. Quante volte ritorna nelle pagine della Bibbia! Si ricorda il bene e si ricorda anche il male e le tragedie avvenute. Ma tutto deve concorrere a purificare la memoria, per renderla più pronta e più attenta alle sorprese di Dio. D’altronde tra le nostre due Chiese già tentiamo di rileggere e valutare la storia passata in un convegno che si tiene ogni anno nell’alta Val Chisone, all’inizio del mese di agosto. Valdesi e cattolici esaminano i tragici avvenimenti del passato con spirito libero, senza pregiudizi ideologici, con il solo intento di saper trarre lezioni di saggezza per l’avvenire. 
Inoltre mi pare esemplare quanto ormai da decenni si realizza nella diocesi di Pinerolo (il Papa ne ha fatto cenno nel suo discorso al Tempio di Torino). La nostra esperienza può aiutare ad esorcizzare la mala informazione che tenta di mettere gli uni contro gli altri. Si sono mossi i primi passi con il Segretariato di attività ecumeniche negli anni Sessanta e la preparazione del Direttorio ecumenico diocesano (8 dicembre 1970), per giungere al Testo comune per un indirizzo pastorale dei matrimoni tra cattolici e valdesi o metodisti in Italia (16 giugno 1997) e alla domanda di perdono da parte della diocesi nel venerdì santo del Giubileo del 2000. Tutto rafforzato dagli incontri periodici tra presbiteri e pastori, dallo scambio dei pulpiti, da momenti comuni di preghiera, dall’offerta dei doni (pane e vino) per la celebrazione dell’Eucaristia e della Santa Cena e, soprattutto, dalle molteplici iniziative di solidarietà realizzate in forma ecumenica. 
Tutto questo, e altro ancora, è il frutto che matura sull’albero delle nostre Chiese che vivono il perdono e la riconciliazione nella quotidianità, come pure sperimentano la bellezza della “diversità riconciliata”. Sembra di sentire la voce del profeta che ripete a noi, cattolici e valdesi, che abbiamo vissuto per molto tempo l’estraneità gli uni verso gli altri, parole di rassicurante speranza: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Isaia43, 18-19). 
Aggiungo ancora questa annotazione. Per capire la storia dei cattolici e valdesi nella nostra terra occorre viverla dall’interno. Nessuno può giudicare correttamente dal di fuori o per sentito dire. Offro questo semplice episodio. Il beato Federico Ozanam, professore alla Sorbona e geniale ideatore di iniziative di solidarietà verso i poveri, venne nel pinerolese, incontrò le comunità valdesi delle nostre valli e scrisse con ammirazione nel suo diario di aver visto il Vangelo incarnato nella vita della gente. È su questo versante che dobbiamo continuare a comporre insieme pagine nuove di storia. La visita di Papa Francesco è una tappa importante di questa avventura che continua. 
L’impegno ecumenico «è un tempo di gioia» (così è scritto nel nostro Direttorio ecumenico). Queste parole non sono uno slogan, ma l’esperienza di Chiese che si impegnano a realizzare la parola di Gesù: «Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi» (Giovanni 17, 11).

L'Osservatore Romano