martedì 28 luglio 2015

L'ITALIA NON VUOLE L'IMBROGLIO DEL DDL CIRINNA'




di Mario Adinolfi
Monica Cirinnà in un post strilla, strepita, insulta, se la prende con il popolo di piazza San Giovanni, con Maria Teresa Meli che raconta le divisioni anche dentro il Pd sul suo ddl e persino con l'hashtag‪#‎stopcirinnà‬ che noi riportiamo tutti i giorni in prima pagina su La Croce e caratterizza la mobilitazione del comitato "Difendiamo i nostri figli" che domani alle 15 a piazza Cinque Lune vivrà anche un simbolico primo momento pubblico con la raccolta delle prime firme sulla petizione nazionale che abbiamo lanciato contro la sua proposta di legge. La potente e ben maritata senatrice ce l'ha con chiunque non si prostri al suo volere. Per attuarlo briga, cerca di convocare sedute notturne di una commissione che non la segue, distribuisce zuccherini ai senatori M5S che per ora la assecondano, bastona i senatori di Area Popolare e quelli delle opposizioni, alcuni dei quali si preparano ad una battaglia d'aula che il popolo di piazza San Giovanni osserverà con attenzione.
Ma c'è una cosa che proprio non si sopporta in un eletto che incassa quindicimila euro al mese: l'imbroglio. Ecco, Monica Cirinnà si metta in tasca il suo lauto stipendio, ma la ricca busta paga contiene un vincolo: non si devono imbrogliare gli italiani. Dopo il lungo post in cui evidenzia tutte le difficoltà in cui si dibatte, la ricca senatrice in combutta con un'esponente radicale (pannelliana o boniniana?) riprova a farci il giochino delle tre carte di quant'è bella la "stepchild adoption". No. Quindicimila euro al mese non si intascano con la licenza a fare il gioco delle tre carte. Servono "disciplina e onore". E ormai la verità sulla stepchlld adoption agli italiani gliel'abbiamo raccontata noi, per mesi su La Croce, poi davanti a un milione di persone in piazza San Giovanni.
Loro hanno provato a fare i tappetari, a nascondere l'articolo 5 del ddl Cirinnà con un titolo che fosse incomprensibile ai più, si sono pure rifugiati in una formula in inglese sperando che nessuno capisse. Ma su La Croce abbiamo svelato il giochino, tradotto l'articolo 5 del ddl Cirinnà affinché uscisse dal burocratese e fosse comprensibile a tutti, svelato l'arcano per cui si trattava dell'unico articolo di una legge composta da diciannove articoli che non aveva un titolo intelleggibile. E poi abbiamo spiegato anche le ragioni che ci sono dietro. Che come la legge sul divorzio breve serviva alla prima relatrice che doveva rapidamente divorziare (e poi ha avuto politicamente un'annata, come dire, piuttosto sfortunata), così l'articolo 5 del ddl Cirinnà è stato scritto per consentire ad un senatore amico della potente e ricca senatrice Cirinnà per legittimare la pratica di utero in affitto conclusa negli Stati Uniti a suon di centinaia di migliaia di dollari. Utilizzati, evidentemente per acquistare un bambino dopo aver affittato un utero e stilato un contratto di compravendita di ovulo umano.
E, care Cirinnà e La Delfa, ce la potete provare a condire con mille salse, ma il sapore schifoso della compravendita di essere umano, di violazione dei diritti più intimi e preziosi di una donna. dell'aver fatto leva sulla condizione di bisogno di qualcuno per soddisfare un desiderio di adulti a danno dei diritti più elementari di un neonato (che quando faceva l'animalista la Cirinnà faceva scrivere nei regolamenti che i cuccioli di animale non dovevano essere separati dalle madri nei primi sessanta giorni di vita, ma ai bambini fate pure di tutto, a lei che gliene frega), questo sapore schifoso resta tutto leggendo il famigerato articolo 5 della brutta legge che vorreste forzare tutti, commissione e maggioranza e intero Parlamento, ad approvare.
Non la approverete. Il popolo italiano è platealmente e quasi unanimemente contrario alla legittimazione della pratica dell'utero in affitto. Cara ricca e ben maritata senatrice, imbrogliare il popolo italiano non è tra le ragioni per cui le corrispondiamo quindicimila euro al mese. Impari a rispettare chi legittimamente si oppone ai suoi strepiti, alle sue prepotenze, alle sue leggi sbagliate.

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