venerdì 24 luglio 2015

L’intelligenza ha abbandonato la Chiesa?




Le riflessioni dello storico francese Alain Besançon. 


(Lucetta Scaraffia) Alain Besançon, uno dei più intelligenti pensatori cattolici del nostro tempo, ha appena raccolto in un libro (Problèmes religieux contemporains, Paris, de Fallois, 2015, pagine 278, euro 22) alcuni saggi in cui riflette sui principali problemi che la Chiesa deve affrontare: i rapporti con il mondo ortodosso, con il comunismo, con l’islam, la Shoah, il celibato dei sacerdoti, a cui si aggiungono questioni più prettamente culturali, come il rapporto con l’arte religiosa, con la scienza delle religioni e l’attuale “geografia” dell’inferno.
Ma, se pure si tratta in tutti i casi di scritti acuti e ricchi di riflessioni nuove e molto stimolanti, il suo punto di vista può in un certo senso essere riassunto nel saggio che ha posto al cuore del libro e nel quale si chiede se l’intelligenza abbia abbandonato la Chiesa latina. Qui l’autore cerca di trovare una risposta a ciò che denuncia negli altri interventi: vuole cioè capire il motivo per cui è diminuita, nelle gerarchie ecclesiastiche che rappresentano pubblicamente il punto di vista della Chiesa, la capacità di comprendere i problemi del mondo in cui si trovano a vivere.
Per essere persuasiva — scrive Besançon — la Chiesa deve essere intelligente: deve cioè capire i fenomeni con i quali si confronta, capire la realtà. Ripercorrendo le vicende storiche, lo studioso francese rileva che da una situazione di lungo predominio culturale il clero è venuto a trovarsi progressivamente emarginato e messo da parte a favore dei laici. E anche se sono ancora molti gli ecclesiastici che «si tengono al corrente» — annota poi — oggi tra loro «l’energia creatrice diviene rara».
A partire dalla patrologia — e Besançon ricorda che la sola serie latina dei padri della Chiesa pubblicata dal Migne a metà dell’Ottocento conta 217 volumi, stampati su due fittissime colonne, che comprendono scrittori e testi sino agli inizi del Duecento — si può constatare la ricchezza e la complessità della cultura cristiana. Questa situazione nasce dal fatto che «non c’è alcun autore che comprenda con il suo pensiero la totalità della fede, quale esiste nel sensus fidei dei fedeli, nell’autorità della chiesa gerarchica, e nelle scritture canoniche. Tanto che spesso le eresie nascono proprio da un tentativo di dare una spiegazione razionale alla fede».
Ma non per questo i cristiani avversano la cultura, anzi: essi «accettano la loro irrazionalità di fondo, e pretendono che questi misteri, invece di bloccare la ragione, costituiscano per essa una oscura luce e un invito a superarsi continuamente». Fu intorno al Trecento che la superba costruzione teologica alzata dai migliori intelletti minacciò di crollare: da una parte, con lo schiaffo di Anagni si iniziò a minare alle fondamenta l’organizzazione ecclesiastica, dall’altra la solida cattedrale teorica costruita da Tommaso d’Aquino fu messa in dubbio dagli occamisti che divisero la fede dalla filosofia, per riavvicinarla all’esperienza.
Più tardi, il movimento della devotio moderna, nel quale la volontà tende a prevalere sulla ragione, cominciò a influenzare la religiosità popolare: la speculazione intellettuale, che rinuncia a “vedere Dio”, comincia a costruire quel sapere certo e cumulativo che si costruirà poi come scienza, mentre la religione diventa il luogo dell’amore disinteressato, vive nell’emozione che spinge a volgersi più alla preghiera che non verso lo studio dei testi sacri. La Bibbia comincia allora a diventare, nello spirito dei nuovi lettori, una riserva di accuse contro l’istituzione ecclesiastica, che perde autorità. 
Solo con il concilio di Trento la Chiesa tornerà a essere padrona della sacra Scrittura, con il fissare definitivamente la lista dei libri canonici che la compongono e con l’avvalorarne l’ispirazione. Il culto viene riorientato verso i sacramenti, in particolare verso l’eucaristia, ma la Bibbia perde terreno nella cultura francese, italiana, spagnola, ben diversamente da quello che accade in quella tedesca e inglese, con la conseguenza di un indubbio impoverimento culturale nel mondo cattolico.
A questo si aggiungono la fedeltà alla dottrina scolastica e la censura, della quale fa parte l’Indice dei libri proibiti: tutti provvedimenti che hanno avuto l’effetto di rendere sterile il pensiero, soprattutto nei seminari e in tutti i luoghi di formazione dei sacerdoti. A questo effetto si aggiunge quello di una progressiva centralizzazione, che si accentuerà più tardi con la progressiva separazione fra Stato e Chiesa voluta dalla secolarizzazione.
Dopo Trento i chierici si sono riservati la funzione di pensare alle cose più alte, ma non hanno più il desiderio e lo stimolo necessari: «Quando succede che coloro che ne avevano ricevuto la missione smettono di pensare?» si chiede Besançon. E risponde notando che le differenze eccitavano l’intelligenza, mentre l’uniformità induce all’assopimento. E di conseguenza è successo che in età moderna l’intero popolo cristiano ha finito per limitarsi al compito di conservare la fede, accontentandosi dell’insegnamento catechistico.
Prevale allora l’indifferenza: la Chiesa diviene indifferente al movimento delle idee nel momento stesso in cui questo diviene indifferente a lei stessa. Il pensiero cattolico — scrive lo storico francese — «si è messo al riparo del dibattito, per paura, isolamento, incomprensione». In definitiva, all’istituzione ecclesiastica non importa più di contare sempre meno e si compiace di se stessa. Ci dobbiamo dunque stupire se la Chiesa oggi fa fatica a farsi ascoltare? Oggi ai cristiani restano solo la forza della verità e la capacità di persuasione, come al tempo degli apostoli: ma per persuadere — ribadisce Besançon — è meglio essere intelligenti.
L'Osservatore Romano