venerdì 31 luglio 2015

Il ritorno dell’Anticristo



L’Anticristo sta tornando di moda: in contemporanea al libro di Vannini è uscito, con lo stesso titolo (Anticristo. L’inizio della fine del mondo, Bologna, il Mulino, 2015, pagine 216, euro 15) un saggio dello storico della letteratura cristiana antica Marco Rizzi. Scritto con stile accattivante, in un modo che coinvolge l’autore nella storia, il libro è di piacevole lettura e ricchissimo di notizie sulla storia letteraria dell’Anticristo fino alla crisi luterana. Con incursioni nella contemporaneità che sfiorano anche il rock, in particolare il brano dedicato a questo inquietante personaggio dai Sex Pistols. Rizzi narra queste vicende immaginarie dal punto di vista degli scrittori che di volta in volta hanno analizzato il problema dell’Anticristo e cerca di dare una risposta agli interrogativi che la questione del male, e della sua sconfitta, pone a ogni pensatore.
E in questo immedesimarsi illustra magistralmente le vicende storiche in cui gli autori antichi e medievali sono immersi, e che quindi possono averli ispirati, motivati, stimolati con il loro carico di angoscia e di rabbia. Ma l’autore si ferma ai testi “classici” escludendo dal suo percorso mistici e filosofi. Così, sotto la forma moderna e apparentemente molto libera del suo raccontare, si nasconde un modo molto tradizionale di avvicinarsi a questo problema.  
(Lucetta Scaraffia) La figura dell’Anticristo è presente, da quasi duemila anni, nelle culture di matrice giudaico-cristiana, e quindi anche nella tradizione musulmana, come immagine potente del male travestito da bene, e quindi ancora più pericoloso perché ingannatore. Sono sempre pochi gli eroi positivi che riescono a smascherarlo — cioè a vederlo con occhi diversi da quelli che lui stesso ha manipolato — e sono gli stessi che riusciranno a cacciarlo definitivamente dal mondo.
Marco Vannini (L’Anticristo. Mito e storia, Milano, Mondadori, 2015, pagine 216, euro 20) ne ricostruisce ora la storia, a partire dalle sacre Scritture che ne disegnano il profilo, in particolare gli scritti attribuiti a Giovanni, le Lettere e l’Apocalisse. Ma l’autore, raffinato studioso di mistica, non rinuncia a rivelare la sua particolare teoria sull’Anticristo né a prendere posizione, con chiarezza, sul presente, e questo rende il libro particolarmente interessante.
Lo studioso collega la denuncia della presenza di uno o più anticristi negli scritti giovannei al fatto che Giovanni è l’unico a parlare apertamente di divinità di Cristo, l’unico a ristabilire come la dimensione dell’eterno sia solo quella dello spirito. I Padri della Chiesa riprendono questa tradizione, arricchendola di altri particolari: Ireneo lo definisce l’«uomo dell’iniquità» e apre la porta all’interpretazione antigiudaica, mentre Origene toglie all’Anticristo ogni caratteristica di personaggio reale, facendogli assumere il significato simbolico della contraffazione della verità. Ma se anticristi sono tutti gli esseri umani che mentono — scrive Vannini — secondo Origene «diventa ed è un Anticristo ogni uomo che non è passato per la morte dell’anima e per la rinascita dello spirito». Anche Agostino avanza l’ipotesi che non sia un uomo solo, un capo, una figura emblematica, ma tutta la moltitudine degli iniqui.
Queste interpretazioni metaforiche e spirituali non hanno però impedito alla società cristiana di vedere incarnato l’Anticristo in concreti protagonisti della storia che si opponevano ai cristiani, come gli imperatori romani persecutori o Maometto. Nel medioevo l’immaginazione di molti scrittori si sbizzarrisce nel descrivere le caratteristiche dell’Anticristo, nato dal frutto di un incesto e perverso sessualmente, corrispondente al numero della Bestia, il 666 secondo l’Apocalisse. Le interpretazioni di questo numero si sono moltiplicate, fino ad arrivare a riconoscerlo oggi nel codice a barre, obbligatorio per ogni prodotto e che fa dei consumi e della tecnologia lo strumento di azione dell’Anticristo nel mondo di oggi.
Negli anni che hanno preceduto e seguito la spaccatura della società cristiana le accuse incrociate di essere l’Anticristo divennero un’abitudine: se i protestanti — e prima di loro gli spirituali e tutti i movimenti ereticali — lo vedevano incarnato nel Papa e nella gerarchia ecclesiastica, per i cattolici l’epiteto calzava perfettamente per Lutero. Per gli eretici, il tema dell’Anticristo si poneva in stretto collegamento con quello del millenarismo, cioè di una concezione del tempo che vede nell’età presente il momento finale della lotta fra il bene e il male, con la scontata vittoria del bene, se pure dopo molto dolore.
Il millenarismo presuppone un progresso morale dell’umanità, e la possibilità di raggiungere presto la terza fase, quella che prevede il rovesciamento definitivo del male con la sconfitta dell’Anticristo. Eresie e sette si formarono nella speranza che il momento fatidico fosse giunto, e che ci si potesse muovere indifferenti al bene e al male, ritornando a un mitico stato di natura. Dando luogo a esperienze tragiche, come quella cinquecentesca di Münster, ultimi e terribili semi di millenarismo si possono trovare ancora nei grandi totalitarismi del Novecento, il nazismo e il comunismo.
In età moderna le eredità della mistica medievale tedesca e dell’umanesimo si confrontano sul tema dell’Anticristo in modo più profondo e spirituale: se la luce divina risiede nel fondo di ogni anima umana, cioè se è il Cristo interiore quello vero, anticristi sono tutti coloro che si oppongono a questa verità, e dunque tutti i teologi, tutte le Chiese storicamente costituite. In particolare, è interessante la riflessione sull’Anticristo di Sebastian Franck che — scrive Vannini — si muove secondo il senso giovanneo originario, cioè lo vede «come interno alla Chiesa, o comunque a quella che si proclama tale e, ancora del tutto correttamente, è visto come il sostenitore di valori mondani, ossia anticristiani, che spaccia per cristiani, e perciò fruisce delle lodi e del consenso del mondo».
Un altro aspetto da approfondire per comprendere l’Anticristo è la tradizione messianica, realizzata da un filone dell’ebraismo rappresentato da Sabbatai Zevi e dal suo successore Jacob Franck, entrambi caduti poi nell’antinomismo, cioè nell’idea che si adempia al precetto di legge violandolo. L’antinomismo si configura quindi come licenza sessuale, erotismo pervertito, cioè profanazione sacrale della bellezza e dell’innocenza. La categoria dell’anticristo è stata coltivata con grande intensità nella tradizione russa, all’interno della quale sono nati due testi molto significativi, entrambi finemente analizzati da Vannini: I fratelli Karamazov — in cui il Grande Inquisitore si rivela come Anticristo — di Dostoevskij, e Il racconto dell’Anticristo di Vladimir Solov’ev, che descrive questa figura come un superuomo giovane, dotato di tutte le virtù, ma capace di amare solo se stesso: appare buono, ma in fondo non lo è; grazie all’universale sazietà vuole distruggere tutti i veri valori umani, a cominciare dall’istituzione familiare, prima generatrice di questi valori. Da questo tipo di cultura — anche se Solov’ev non era certo antisemita — nasce il libro che servirà da fondamento alla propaganda antisemita, I protocolli dei savi di Sion.
Uno dei più significativi libri moderni sull’Anticristo è quello scritto dall’inglese Robert Benson, Il Signore del mondo, che immagina il dominio di una figura politica in apparenza capace di grandi valori umanitari, apportatore di pace e benessere, ma in verità solo un imitatore e contraffattore di Cristo. Solo chi riesce a resistere al suo fascino può leggere con lucidità la situazione, e andare alla definitiva battaglia che porta al trionfo del vero bene.
La matrice ebraico-cristiana dell’islamismo si rivela con particolare chiarezza nella sua concezione di Anticristo, caratterizzato da un forte elemento apocalittico e messianico. Nella tradizione musulmana sono presenti due figure messianiche, il Madhi e Gesù, che giocano sempre un ruolo positivo nella battaglia finale contro il male, personificato in una figura dal carattere ambivalente, il Dajjal, simile all’Anticristo. Secondo una tradizione islamica gli ebrei si schiereranno a sostegno del Dajjal — da molti identificato con l’impero americano — anche accarezzando il progetto di ricostruire il Tempio di Gerusalemme, dove oggi ci sono le due moschee, e il loro strumento di corruzione sono i media che diffondono notizie tendenziose e sbagliate. Israele e gli Stati Uniti rappresenterebbero quindi il Grande Satana. La vittoria del bene sarà ristabilita grazie al ritorno di Cristo, che riconoscerà nei musulmani i suoi veri seguaci.
Non dobbiamo dimenticare, però, che anche alcune sette fondamentaliste protestanti statunitensi hanno salutato il ritorno degli ebrei in Palestina come il segno che stanno per compiersi le profezie bibliche, e che quindi si avvicina la fine del mondo.
Nuovo e particolarmente interessante il capitolo del libro che prende in esame l’Anticristo di Nietzsche, perché Vannini riconosce nella sua critica al cristianesimo la volontà di restare fedele al messaggio di Cristo: l’idea evangelica è quella del regno di Dio dentro di noi, e quindi tutto ciò che prende il nome di cristianesimo è frutto di un equivoco, dunque un anticristo. Il filosofo si propone quindi il fine di smascherare la menzogna, in particolare quella religiosa, quella che nasconde una volontà di autoaffermazione, di egoismo. Nietzsche si può interpretare quindi come un mistico, per il quale «la vera essenza del cristianesimo è la fede nella verità, non la morale e la credenza».
In conclusione Vannini critica le attuali tendenze che rigettano tutti gli elementi del cristianesimo inconciliabili con il giudaismo e dunque, in primo luogo, il vangelo di Giovanni, arrivando così a mettere in ombra la divinità di Gesù. In particolare, denuncia la tendenza a cancellare la distinzione fra natura e grazia, «dal momento che si ignora la grazia e si pensa la natura come buona, senza alcun bisogno di grazia, di conversione: davvero la perfetta seduzione dell’Anticristo».

L'Osservatore Romano