mercoledì 15 luglio 2015

Francesco nel villaggio globale

Fedeli paraguayani durante la Messa presieduta dal Papa ad Asunción - REUTERS

Oggi non c’è stata la consueta udienza generale del mercoledì: sono sospese per il mese di luglio, come tutti gli altri appuntamenti, ad eccezione dell’Angelus domenicale. Le catechesi del Papa riprenderanno il 5 agosto. In questi giorni continuano a suscitare commenti e riflessioni, in tutto il mondo, le forti parole di Papa Francesco nel suo recente viaggio in America Latina. 
Cambiare il sistema che uccide è possibile
Uno dei messaggi più forti giunti da questo viaggio in America Latina è l’appello del Papa ai popoli della terra a cambiare un “sistema” dominato dal denaro che schiaccia l’uomo e che “non regge più”. Occorre “un vero cambiamento” - e rapido - perché “Il tempo sembra che stia per giungere al termine”. Un cambiamento che parta dal basso, dai poveri, dalla gente. La Chiesa sostiene questo cambiamento perché “Dio ascolta il grido del suo popolo”, perché è ”l’amore fraterno che si ribella contro l’ingiustizia sociale”. “La nostra fede – dice Papa Francesco – è rivoluzionaria” e non si rassegna, non resta inerte di fronte al dolore dell’uomo. "Una società più umana è possibile", si può realizzare "un'alternativa umana" a questa "economia che uccide" e esclude. Non è un'utopia.
Il metodo: dialogo e identità, ponti non muri
“Non esiste una ricetta” per questo “progetto di fraternità e giustizia” sottolinea. Ma c’è un metodo: quello del dialogo. “Costruire ponti, non muri”. Un dialogo che parta da un’identità forte, “perché se mi metto a dialogare senza questa identità il dialogo non serve”. E’ “un incontro che sappia riconoscere che la diversità non solo è buona, è necessaria. L’uniformità ci annulla, ci rende automi. La ricchezza della vita sta nella diversità”. Ma “dialogare non è negoziare” perché non si negozia la propria identità: “è cercare il bene comune per tutti”, senza temere che dal dialogo venga il conflitto. Bisogna accettare il conflitto e “cercare di risolverlo” con “la prospettiva di raggiungere un’unità che non è uniformità, ma unità nella diversità”.
Ideologie e colonizzazioni diventano dittature
In questo senso, il Papa mette ancora una volta in guardia dalle nuove colonizzazioni economiche e ideologiche, anche sul fronte della famiglia, che vogliono uniformare tutto e imporre le proprie regole sui più deboli. Denuncia le vecchie e nuove ideologie:  “le ideologie finiscono male, non servono. Le ideologie hanno una relazione o incompleta o malata o cattiva con il popolo. Le ideologie non si fanno carico del popolo”. Come quelle del secolo passato, diventano sempre “dittature”. “Pensano per il popolo” , ma “non lasciano pensare il popolo”.
I cristiani partecipino al cambiamento
Papa Francesco invita con forza i cristiani a partecipare a questo cambiamento. Non si dà un cristiano indifferente, abituato all’ingiustizia, solo perché non lo tocca in prima persona. Cristiani dal cuore “chiuso”, “blindato”, che credono di ascoltare Gesù ma passano vicino al dolore della gente senza fermarsi. La fede – dice – “ci fa prossimi alla vita degli altri. La fede suscita il nostro impegno con gli altri”. “Una fede che non si fa solidarietà è una fede morta, una fede falsa”. “E’ una fede senza Dio, è una fede senza fratelli”. “Non è la fede di Gesù”.
Non una casta di diversi, ma persone toccate dalla misericordia
L’esortazione del Papa ai cristiani  è a non isolarsi in “una casta di diversi”, separati dalla gente, che fanno “dell’identità una questione di superiorità” e “mettono sempre barriere al popolo di Dio”: disprezzano gli altri perché “non sono come loro”. Invece, il cristiano è chi “ha imparato ad accogliere”: il povero, il debole, chi non la pensa come lui. Il cristiano non è migliore degli altri, ma è chi è stato toccato dall’amore “misericordioso e risanante” di Gesù. Evangelizzare, allora, non significa attuare una strategia ma essere “testimoni grati della misericordia che ci trasforma” e ci dona la gioia.
Il cuore divino e umano di Gesù ci ama tanto
Papa Francesco ha portato con sé il crocifisso su falce e martello donatogli in Bolivia. Un’opera simile a quella che aveva creato padre Espinal, ucciso nel 1980 durante la dittatura perché predicava il Vangelo della libertà. Un Vangelo che dà fastidio e ancora oggi crea un “genocidio” di cristiani. Ricorda che la Chiesa ha rifiutato la teologia della liberazione secondo l’analisi marxista. Ma padre Espinal “lottava in buona fede” - dice il Papa - “il Cristo lo porto con me”: il Cristo che va oltre ogni ideologia e guarda alla persona, si carica di tutti i nostri peccati per salvare l’uomo. E’ la misericordia di Dio – osserva il Papa - è “il cuore divino e umano” di Gesù “che ci ama tanto". RV
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Lo stile comunicativo di Bergoglio tra oralità e concretezza. 
(Dario Edoardo Viganò) «È un’altra cultura, io mi sento un... bisnonno. Oggi un poliziotto, un uomo di quarant’anni, al momento di salutarmi si è fatto un selfie con me. E io gli ho detto: lei è un adolescente! Ma io rispetto questo». Così Papa Francesco durante l’incontro con i giornalisti, nel volo di rientro dal viaggio in Ecuador, Bolivia e Paraguay. E un mese prima, a Sarajevo, ha ricordato durante l’incontro con i giovani: «Quando volevo guardare un bel film, andavo al centro televisivo dell’arcivescovado e lo guardavo lì; ma soltanto quel film (…). La televisione invece mi alienava e mi portava fuori da me, non mi aiutava (…). Certo, io sono dell’età della pietra, sono antico!».
Sembra molto chiara la percezione che il Pontefice ha delle sue passioni e competenze comunicative. Ci troviamo infatti dinanzi a un Papa che non teme assolutamente di sottolineare la distanza tra la cultura nella quale è cresciuto, quella tipografica che ha modellato il pensiero lineare dall’andamento argomentativo, e la cultura cosiddetta digitale nella quale si trova a vivere il pontificato e che ha affrontato sin dalle prime parole pronunciate la sera subito dopo l’elezione in conclave. Ha inizio così un nuovo stile comunicativo, non proprio facile da interpretare in modo appropriato.
Il suo modo di presentarsi avvia infatti un vivace dibattito che giunge anche a posizioni radicali, di chi lascia cioè intendere un uso strategico della comunicazione da parte del Pontefice. Si contrappone però a tale visione, certo riduttiva, addirittura un anticlericale della prima ora, come Dario Fo, grande uomo di teatro e Nobel per la letteratura, che spiega come la pratica comunicativa di Papa Francesco nulla abbia a che vedere con logiche pragmatiche a fini seduttivi, e meno ancora con strategie tipiche delle performance degli attori.
Ma allora cosa possiede lo stile comunicativo di Papa Francesco da renderlo così irresistibile? Forse l’incontro conclusivo del viaggio in America latina può offrire l’occasione per avviare una riflessione, prendendo come esempio lo straordinario scenario di Asunción, sul lungofiume Costanera, dove si è svolto l’incontro con i giovani paraguaiani. Ancora una volta, come in altre occasioni simili, il Pontefice ha annotato su un foglio alcuni appunti, mentre due giovani leggevano le proprie testimonianze. Poi il Papa si è alzato, li ha ringraziati — come è nel suo stile — e ha dato avvio a un dialogo fatto di domande e di ripetizioni, coinvolgendo la folla di giovani e prescindendo dal testo preparato. Dirà poi: «Avevo scritto un discorso per voi, per darvelo, ma i discorsi sono noiosi (…), e così lo consegno al vescovo incaricato della gioventù, perché lo pubblichi».
Credo che la chiave per comprendere la pratica comunicativa di Papa Francesco vada ricercata a partire dagli studi ormai classici sul rapporto tra oralità e scrittura. Un discorso preparato è noioso, perché è un testo concepito nella forma di uno scritto. Questo suona certamente strano per Papa Francesco, uomo “dell’età della pietra”. Sappiamo infatti come la cultura scritta, rispetto a quella dell’oralità, abbia privilegiato la sinteticità, l’analiticità, l’oggettività, il pensiero astratto.
Lo stile del Pontefice si pone invece come uno stile ridondante, capace di comprendere la forza determinante della contestualità — il richiamo all’ermeneutica durante la conferenza stampa nel viaggio di ritorno dal Sud America è stato preciso — e la concretezza. Il richiamo continuo alla concretezza nei suoi interventi, come in quello ai giovani in Paraguay, appartiene al suo stile comunicativo. Infatti, ha scritto nell’Evangelii gaudium, «è pericoloso vivere nel regno della sola parola, dell’immagine, del sofisma. Da qui si desume che occorre postulare un terzo principio: la realtà è superiore all’idea».
Del resto è proprio di una cultura orale che la conoscenza non sia mai astratta, ma sempre vicina all’esperienza umana, concreta appunto.
Abbiamo appena affermato che è strano che Papa Francesco abbia uno stile ridondante essendo figlio della cultura del libro, nella quale l’argomentazione muove i propri passi attraverso le subordinazioni rendendo il discorso scritto preciso, ma riducendo inevitabilmente l’empatia con il proprio interlocutore. Tutt’altro che negativa, la ridondanza appare piuttosto come intrinseca esigenza di chi comunica oralmente, chiamato a procedere a velocità pedonale sui sentieri della parola e con un incedere zigzagante, attraverso cioè una frequente ripetizione di ciò che ha già detto. La ridondanza e la ripetizione servono, come è stato osservato, a «mantenere saldamente sul tracciato sia l’oratore che l’ascoltatore».
Quando si parla a una folla bisogna poi mettere in conto che possano sfuggire alcune parole, sia per problemi legati ai sistemi di amplificazione sia per il contesto di ascolto che può portare alla distrazione momentanea. Ecco perché torna a vantaggio ripetere lo stesso concetto anche due o tre volte, come è accaduto nell’incontro con i giovani ad Asunción. Così possiamo dire che assistiamo sempre più spesso a uno straordinario incontro tra un Papa “bisnonno” e migliaia di giovani, in occasioni che generano legami con gruppi molto ampi e contribuiscono a creare il villaggio globale descritto da McLuhan.
Lo stile conversazionale e il dialogo personale che il Pontefice attiva si muovono così, proprio grazie ai suoi interlocutori decisamente più figli della cultura digitale che non tipografica, in una comunità magmatica, fluida e dai contorni aperti. E il dire di Papa Francesco sta avviando la pratica antica del passaparola, comunicazione che a sua volta edifica una riconoscibilità e una stabilità negli interlocutori — vera e propria comunità — innescando una reticolarità basata sul gusto di un ritrovato abbraccio tra umanità e Vangelo.

L'Osservatore Romano