mercoledì 24 giugno 2015

Un evento profetico e per questo politico.


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di don Antonello Iapicca
Perdonatemi una divagazione autobiografica. Sabato scorso la memoria tornava prepotente a mio padre che, giovane laureato in matematica, non dubitò un istante quando si trovò dinanzi al manifesto programmatico della neonata Democrazia Cristiana; lasciò perdere la matematica e si dedicò con tutte le sue forze ai principi che ispiravano la nascita di quel Partito, lavorandoci come funzionario per quarant’anni. Mia madre soleva ripetere che non aveva sposato Vincenzo Iapicca ma la Democrazia Cristiana. Riunioni, viaggi, incontri, tutto per quella scintilla iniziale che lo aveva folgorato. Mi veniva in mente perché vedevo in quella Piazza riaccendersi la stessa speranza che scrutavo ancora viva negli occhi di mio padre mentre la raccontava; e quella fetta d’Italia non mi è sembrata così lontana dalla Nazione che si svegliava fiera in quel dopoguerra di povertà e miseria.
Soprattutto, risuonavano in me le parole di Alcide De Gasperi pronunciate al primo Congresso nazionale della DC nell’aprile del 1946. Sono quelle che cambiarono la vita a mio padre, e rilette oggi danno i brividi. De Gasperi aveva appena analizzato le dichiarazioni programmatiche e ideologiche del marxismo, come sabato sono state analizzate quelle del gender che ne è discendente diretto: “Credo che il problema si ponga dinanzi a tutte le coscienze. È errore e sarebbe poco cristiano di non augurarsi che avvenga un’evoluzione tranquilla e serena verso quelli che noi consideriamo verità e che cessino avversioni e pregiudizi che in queste dichiarazioni sono così aspramente formulate. Quest’augurio vale in confronto di qualsiasi uomo e di qualsiasi partito all’infuori di noi. Però non basta l’augurio, bisogna trovare una garanzia… Se mai l’alito del marxismo (leggiamo oggi: del gender e dei matrimoni tra persone dello stesso sesso e l’adozione gay) raffreddasse questa nostra Italia così pittoresca di monumenti, di fede, così palpitante dì una storia in cui si mescolano cielo e terra, il popolo italiano non capirebbe più la sua tradizione e la sua storia e accuserebbe la nostra debolezza come un tradimento. Se mai avvenisse che in Italia si spegnesse l’idealismo cristiano dovremmo temere che il popolo italiano non comprenderebbe più il suo Dante e il suo Michelangelo. Ben comprendo come il Santo Padre Pio XII abbia avuto questa tetra visione: se mai avvenisse che lo spirito avversario della tradizione cristiana si impadronisse della coscienza italiana difficilmente ci sarebbe più un ritorno. È dunque una battaglia decisiva che si combatte, non dico solo con le schede elettorali, ma nei contatti col popolo, nei contatti coi problemi politici, sociali e culturali, è una battaglia decisiva che noi cattolici siamo chiamati a combattere. Lo accenno non perché voglia farmi maestro di religione e di teologia, ma perché sento nel profondo della mia coscienza che se non credessimo più allo spirito che creò e fecondò la vita e la storia italiana avremmo perduto la battaglia della civiltà e della cultura… Il marxismo si dice necessario per fungere da fermento rivoluzionario nella storia. E sia pure. lo concedo che nella economia provvidenziale ognuno ha il suo posto. Fermento della storia! Ma la storia deve essere nostra, la storia della civiltà italica e cristiana”.
Più passa il tempo e più mi rendo conto di quanto sia debitore verso mio padre. Sono cresciuto a pane e politica, ho imparato a leggere sui giornali che ogni giorno portava a casa, e poi le lunghe chiacchierate nelle quali mi spiegava strategie e retroscena. Forse per questo ho intercettato immediatamente nell’incontro di sabato 20 giugno un fatto politico di grandi proporzioni e delle cui conseguenze pochi riescono a darsene conto.
Forse per la prima volta nella storia non solo italiana abbiamo assistito, certo a livello ancora embrionale, alla possibile soluzione di quell’aporia che ha perseguitato il tentativo della Democrazia Cristiana e di tanti partiti politici di ispirazione cristiana. Il dramma cioè della apparente inconciliabilità di fede e politica. Non a caso sabato erano assenti a livello ufficiale tanto la gerarchia ecclesiastica che la nomenclatura dei partiti. Assenze provvidenziali direi, perché è potuto emergere chiaro ed evidente da dove era nata la spinta propulsiva e irrefrenabile a scendere in piazza per affermare alcune verità che coincidono, tout-court, con la rivelazione e l’antropologia cristiana.
E affermare questo non è una ferita inferta all’aconfessionalità della manifestazione, perché mi sembra che nessuna etichetta religiosa o ideologica vi sia stata apposta. Ma dire aconfessionale non può voler dire atea; attenzione a non scherzare con questo, perché il termine in questione puzza di trappola lontano migliaia di chilometri: che significa per chi contesta la presunta confessionalità della manifestazione? Una privazione (a-) della fede (confessione). Beh questo è impossibile perché senza la fede, e la fede cristiana, da “confessare” in piazza non sarebbe scesa quella marea di gente. Camuffarsi non avrebbe fatto bene alla Verità e al conseguimento degli obbiettivi prefissati. Invece è proprio sul piano della “confessione” di fede che la manifestazione è stata un fatto politico gettato nel bel mezzo della deriva presa nel dibattito in corso nelle aule parlamentari e nella stragrande maggioranza della società italiana. Scriveva John Bryce, storico e politico britannico: “Se noi studiamo non tanto i fatti della Chiesa quanto le idee-madri che essi contengono e che investirono il corso degli avvenimenti, ci accorgeremo che non si potrebbe contestare la sua influenza soprattutto da due punti di vista: essa, cioè la Chiesa, impiantò nelle coscienze umane il concetto di una libertà spirituale e non esitò a sfidare la costrizione fisica. Essa creò un sentimento di uguaglianza fra gli uomini e mise un freno all’idolatria degradante immaginata dai despoti asiatici. Né Voltaire, né Rousseau seppero vedere che la credenza nella vita e nell’immortalità, rivelata dal Vangelo, può esaltare i più nobili moventi di un uomo e dare un nuovo prezzo, una forza novella, a ogni travaglio. Se mai un tale spirito ispirasse tutta una nazione, questa sarebbe una nazione cristiana come giammai si vide nel mondo” (John Bryce, “Democrazie moderne”).
Un fatto politico, infatti, riguarda innanzitutto il popolo. E a San Giovanni c’era un popolo, non una massa indistinta telecomandata che marcia a bacchetta sotto bandiere ideologiche. Un popolo nella stragrande maggioranza cristiano, che affermava innanzitutto la propria vita come soggetto e oggetto politico: la vita nella sua interezza e complessità, dall’ontologia alle problematiche quotidiane più semplici. C’erano pannolini da cambiare e biberon da riscaldare, nonni e nonne da far riposare; c’erano mamme e papà con i loro figli, il passato, il presente e il futuro di ogni nazione; c’era la loro vita che implica l’educazione dei propri figli, la loro crescita e maturazione. C’erano famiglie intere da proteggere e riparare dagli scrosci violenti di pioggia, immagine incisiva dell’istanza più pressante che saliva, fiera e netta, da quel popolo.
C’era la famiglia – la famiglia naturale compiuta perché cristiana – che tracciava un interrogativo indelebile per il mondo politico, e non solo. La presenza di migliaia di famiglie che testimoniavano indomite le ragioni inattaccabili dell’evidenza stava creando, naturalmente, cultura. Lo comprendiamo rileggendo quanto scriveva l’allora Card. Ratzinger: “la persona umana non è mai sola, essa viene plasmata da una comunità, che le offre le forme del pensare, del sentire, dell’agire. Questo insieme di forme di pensare e di rappresentare, che plasma in antecedenza l’essere umano, la chiamiamo cultura. Della cultura fanno parte innanzitutto la lingua comune, poi la costituzione della comunità, quindi lo stato con le sue articolazioni, il Diritto, le consuetudini, le concezioni morali, l’arte ecc” . E in quella Piazza non stava debuttando la cultura della famiglia? Si sentiva negli interventi dal palco e nelle parole della piazza una lingua comune, appariva la comunità con le sue consuetudini, le concezioni morali; emergeva da una storia di millenni la realtà semplice e vera della famiglia fatta da una moglie e un marito, dai figli nati e cresciuti con mamma e papà.
In un passaggio molto importante del suo intervento, Kiko Arguello affermava che oggi purtroppo i cristiani non hanno da dire nulla, e per questo non esiste un’arte cristiana, niente film, niente musica. Se non hai contenuti da offrire a che ti servono gli strumenti per comunicarli? Ebbene a San Giovanni è apparso un contenuto fondamentale, una fede viva che si fa “confessione”, cioè testimonianza che diventa, naturalmente, cultura e politica. E’ apparsa la famiglia naturale in tutta la sua bellezza, e per molti è stata una sorpresa dalla quale, stando alle reazioni scomposte e violente, non riescono a riprendersi. Fateci caso, proprio la senatrice Cirinnà in queste ore sta chiamando a raccolta i parlamentari perché non perdano tempo ad approvare al più presto il suo ddl. Ma non si tratta solo di paura. E’ piuttosto lo sbigottimento di fronte a un fatto politico inaspettato e inafferrabile; è la reazione impulsiva di chi è uso a intendere e maneggiare la politica come un collettore di interessi, nel migliore dei casi cercando di mediare tra le loro diversità, nel peggiore a favore di quelli più forti perché imposti nelle stanze oscure del potere reale.
A San Giovanni, invece, come sottolineato da molti, il popolo è arrivato prima dei Pastori e dei politici. Ciò significa che è accaduto un evento profetico, e per questo robustamente politico. Perché la politica non è innanzitutto mediazione, ma visione profetica, coraggio e libertà. Attenzione però a non equivocarsi. Di solito la profezia è intesa come una predizione del futuro. Ma nella Bibbia è una cosa diversa: è il discernimento che sa interpretare i segni della storia passata e presente per indicare il cammino nel futuro. Se, ad esempio, i profeti predicono l’esilio, stanno annunciando la conseguenza di un atteggiamento idolatrico e ribelle del Popolo di Israele nel presente.
Per questo sabato le famiglie hanno compiuto un gesto politico perché autenticamente profetico. Erano lì perché Chi era lì aveva capito che era giunto il momento di ribadire il passato, sì, proprio il passato così in odio ai falsi profeti, quello che attraverso le famiglie con mamma e papà ci ha fatto giungere fin qua; avevano saputo discernere gli eventi storici per indicare una via politica per il futuro. E, come spesso accade, sollecitati dalla gravità del presente, centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza per affermare che quel passato non sta marcendo tra le ragnatele, ma è vivo nel presente delle loro famiglie. Così hanno detto senza paura alla politica dei palazzi che, per avere uno sguardo profetico, devono guardare bene a quella realtà viva che sono le loro famiglie.
Facciamo due conti. Accetto stime per difetto, pur sapendo di mentire, ma forse chi era a San Giovanni e ha visto con i suoi occhi capisce ancora meglio. Diciamo che vi fossero 150.000 bambini. Sono figli dell’Humanae Vitae nati in famiglie cristiane che trasmettono la fede; per questo è lecito pensare che avranno in media 4 figli a testa. Ciò significa che tra una generazione saranno 600.000. Tra due 2.400.000. Tra tre circa 10.000.000. Ma è anche lecito pensare che in Piazza non vi fosse che una pur robusta rappresentanza delle famiglie cristiane che vivono la stessa fede. Moltiplichiamo per 3? Tanto per volare molto, molto bassi. Significa che tra una cinquantina d’anni vi saranno 30.000.000 di famiglie cristiane. Mettete questo dato accanto alle stime demografiche per l’Italia e vi rendete conto di quello che sto dicendo. Non è un fatto politico di rilevanza straordinaria? In quella Piazza c’era il futuro dell’Italia! Allora delle due l’una: se non te ne accorgi e non discerni o ci sei o ci fai. Personalmente propendo per la seconda ipotesi, e cioè che proprio questo futuro si vuole cancellare! Altro che diritti da offrire a tutti. E’ la paura della Verità che si impone da se stessa. E’ il rigurgito dei totalitarismi che, ricordiamolo, nascono sempre con le vesti buoniste dell’ideologia…
Per questo il no alla teoria gender, al matrimonio tra omosessuali e alle adozioni gay non è una negazione di diritti ma l’affermazione della Verità. E’ puro amore per l’Italia e il suo futuro. E’ lo zelo per le prossime generazioni. Se per questo fossero bastati i dibattiti parlamentari non sarebbe stata necessaria quella Piazza; non sarebbero necessarie altre mille piazze in tutta Italia. Ma con chi è arroccato nell’ideologia purtroppo non c’è dialogo. Lo sapeva bene Gesù… E’ accecato, punto. E allora che facciamo, nel nome del dialogo e della mediazione ci chiudiamo un occhio anche noi e cominciamo a camminare a tastoni insieme? E poi, ci portiamo dietro i nostri figli? E apriamo il baratro dell’inganno alle prossime generazioni. Non è possibile, tradiremmo noi stessi, quello che siamo, quello che viviamo e sperimentiamo; spegneremmo lo splendore della Verità. Perché c’è una Verità, ci è stata rivelata e non ne siamo i padroni, ma i suoi umili servitori. Per questo la predicazione fatta da Kiko Arguello ha illuminato ogni lucido e puntuale intervento con la luce del Vangelo. Ci ha chiamato tutti a conversione, perché non esiste profezia, politica e cultura che non nasca da un cuore umile e contrito, cosciente della propria debolezza e bisognoso della Grazia. E ci ha annunciato che Cristo è l’unico che può compiere il miracolo dell’amore nel quale si fondano e crescono le famiglie. Perché è risorto, ha vinto la morte che terrorizza l’uomo e lo spinge a difendersene architettando ideologie perverse e inumane che lo illudono di essere divino e immortale. E se Cristo non è risorto, è vana la nostra fede, e noi siamo da compiangere più di tutti scriveva San Paolo. E’ stata vana la Piazza di sabato, è vano sposarsi e mettere al mondo figli. E’ vano combattere per difenderli ed educarli. Ma Cristo è risorto, ed è apparso vivo a San Giovanni. E’ questa la notizia, il fatto che riunisce un popolo e si fa gesto profetico e per questo politico, sociale e culturale. Per questo non temiamo e andiamo avanti nel combattimento della testimonianza, nella certezza che le porte degli inferi non prevarranno. E che anche chi oggi si nasconde impaurito, si unirà a noi per far risplendere la vittoria di Cristo su questa generazione.
Articolo pubblicato su “La Croce” del 23 giugno 2015