lunedì 25 maggio 2015

Una sfida per la Chiesa

04-San-Paolo-1
«Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina. Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole»
Dalla seconda lettera di San Paolo a Timoteo

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Dopo il sì dell’Irlanda alla legalizzazione dei matrimoni fra omosessuali.


Nessun anatema, piuttosto una sfida, da raccogliere, per tutta la Chiesa. All’indomani del referendum che in Irlanda ha legalizzato i matrimoni fra persone dello stesso sesso, gran parte dei commenti del mondo ecclesiastico analizzano con lucidità l’esito della consultazione popolare riconoscendo la realtà dei fatti nonché la distanza, in certe materie, fra la società e la Chiesa. Del resto, troppo ampio il margine fra i sì (1.201.607), pari al 62,1 per cento, e i no (734.300), per non accettare la “sconfitta”. Un risultato frutto, anche, dell’alta affluenza alle urne (60,5 per cento) e della grande partecipazione dei giovani.L’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, in un’intervista al quotidiano «La Stampa», riprendendo un’espressione usata dal ministro della Sanità, Leo Varadkar, parla dell’esito del referendum come di «una rivoluzione culturale». E la Chiesa «deve chiedersi quando è cominciata questa rivoluzione culturale e perché alcuni al suo interno si sono rifiutati di vedere questo cambiamento». Per monsignor Martin, «è necessario anche rivedere la pastorale giovanile: il referendum è stato vinto con il voto dei giovani e il 90 per cento dei giovani che hanno votato “sì” ha frequentato scuole cattoliche». Venerdì ai seggi c’era la fila fin dalle prime ore del mattino e molti giovani che lavorano all’estero sono rientrati in Irlanda per votare.
Il fenomeno, dunque, è molto più profondo e ampio del solco esistente fra due modi di interpretare dei diritti. «Il voto — sottolinea l’arcivescovo di Dublino — riflette la situazione attuale della cultura irlandese» dove «prevale un’idea individualistica della famiglia. Si è smarrito il concetto del matrimonio come elemento fondamentale di coesione sociale. Rispetto ai diritti individuali, un’argomentazione sull’etica sociale non ha successo». Non si comprenderebbe sennò la netta maggioranza ottenuta dai favorevoli alle nozze gay, grazie anche al sostegno ufficiale di tutti i partiti (solo pochi politici si sono espressi a titolo personale a favore del no) con tanto di campagna nelle strade e nei locali frequentati da omosessuali, oltre all’appoggio esplicito di Twitter e Google (entrambe le multinazionali hanno la sede europea a Dublino).
Nell’intervista il presule ricorda poi un incontro con Benedetto XVI, durante una visita ad limina, e la domanda del Papa su dove siano «i punti di contatto tra la Chiesa cattolica e i centri in cui si forma la cultura irlandese oggi». Una domanda, commenta Martin, che «è vera» e bisognosa di risposta.
Ma la risposta a questi temi — osserva il segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei), monsignor Nunzio Galantino, in un’intervista al «Corriere della Sera» — non la si trova attraverso il «delirio dell’emotività» e il «sonno della ragione», ma percorrendo insieme la stessa strada «per arrivare a una soluzione che sia in linea con il bene comune nel rispetto dei diritti di ciascuno». La linea della Chiesa è chiara: essa non accetta equiparazioni tra le unioni fra omosessuali e «quella che non chiamerei famiglia tradizionale ma costituzionale». Tuttavia, dopo il risultato del referendum in Irlanda, niente anatemi, bensì il rilancio di un confronto libero da forzature ideologiche: «A me», spiega il segretario generale della Cei, «piacerebbe un tavolo orizzontale sul quale poniamo le nostre ragioni. Non si tratta di fare a chi grida di più, i “pasdaran” delle due parti si escludono da sé». Non si possono dare risposte semplificate a una realtà complessa: «Ci vuole la serenità del confronto, mettere da parte le passioni eccessive per fare il bene di tutti. E se questo non lo favorisce uno Stato, un governo, chi altri deve farlo? Chiedo ci sia un tavolo nel quale incontrare e non scontrarsi».
Nessuna negazione, da parte della Chiesa, di «diritti individuali sacrosanti» ma attenzione — afferma ancora Galantino — a equiparare realtà differenti, a forzature che mettono in un angolo le famiglie fatte di padre, madre e figli. Non si può arrivare a sostenere che «un bambino non ha bisogno della figura materna e di quella paterna ma che, anzi, con i genitori 1 e 2 svilupperebbe maggiori capacità di discernimento». Le famiglie costituzionali meritano «almeno le stesse attenzioni ed energie rivolte ad altri tipi di unioni»: sono la stragrande maggioranza, assicurano la vita, costituiscono il primo ammortizzatore sociale. «Dobbiamo chiederci qual è la funzione che continuano ad avere per il futuro della società», conclude il vescovo.
Il cardinale Georges Marie Martin Cottier, sul «Quotidiano Nazionale», ritiene che non si può capire la vittoria del sì alle nozze fra persone dello stesso sesso «senza considerare lo scandalo della pedofilia nel clero che ha sconvolto la Chiesa irlandese»: è «la risposta della gente a quanto accaduto negli ultimi anni», a uno scandalo che «ha segnato profondamente la popolazione». E Lucetta Scaraffia, su «Il Messaggero», parla di una connessione «fra l’assurda pratica repressiva nei confronti degli omosessuali in anni ancora recenti — atteggiamento che ha caratterizzato soprattutto i Paesi protestanti — e la rapida apertura al matrimonio gay oggi».
L'Osservatore Romano

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Cattolici italiani dopo l'Irlanda: fra Cristoforo o don Abbondio?
di Giuseppe Rusconi*
Dopo il voto del referendum irlandese, si sono scatenate le reazioni anche in Italia di chi vuole approvare in fretta la legge sulle unioni civili (leggi matrimoni omosessuali). Ma anche nel mondo cattolico le reazioni sono contrastanti e non lasciano presagire nulla di buono. Pubblichiamo al proposito un commento apparso ieri sul blog www.rossoporpora.org, che spiega bene i termini della questione.
La “cattolica”, anzi “cattolicissima” Irlanda “volta pagina”, dice sì alle “nozze gay”: l’Irlanda è una nazione “pioniera”; “un faro, una luce di libertà”, “una piccola isola, ai confini dell’Europa e sulla rotta per l’America”, che  può indicare la strada al mondo” e via titolando e commentando da Dublino a Roma. Fino a giungere al “suona forte la campana irlandese, e suona anche per noi. Siamo in prevalenza cattolici, noi e loro” e all’elenco – incontrovertibilmente pervaso da una eloquente venatura razzistica - degli Stati ancora ‘reprobi’, senza tutela per le coppie gay, dove l’Italia è in compagnia di Grecia, Cipro, Lituania, Lettonia, Polonia, Slovacchia, Bulgaria, Romania…come a suggerire dei Paesi culturalmente più ‘arretrati’d’Europa.
Insomma: come prevedibile i risultati del referendum costituzionale irlandese - di uno Stato cattolico solo ormai  sulla carta e semmai cattolico ‘à la carte’ (anche per l’estesa vergogna degli abusi su minori, che ha provocato una grave perdita di credibilità della Chiesa) – in Italia sono strumentalizzati per imporre una svolta legislativa in materia. Di tale manovra è particolarmente insidioso il tentativo di associare il voto irlandese a un’evoluzione ‘aperturista’ che coinvolge in pieno il mondo cattolico.
In Irlanda la Chiesa si è presentata per molti osservatori al voto divisa, incerta, timida e balbettante anche in parte della gerarchia. Creando così ulteriore confusione in un elettorato cattolico già sconcertato dalle prese di posizione a favore del riconoscimento del ‘matrimonio gay’ del premier (che si dice pure cattolico) Enda Kenny e di diversi dei suoi ministri. I vescovi in buona parte si sono espressi seguendo uno slogan che un moderno Manzoni potrebbe mettere in bocca a un don Abbondio contemporaneo: “Serve il confronto, non le ideologie”. Per fare un rapido salto in Italia, la stessa linea è espressa esemplarmente dal segretario generale della Cei Nunzio Galantino, entusiasta dei convegni culturali (pur bacchettati recentemente da chi è andato a prenderlo e l’ha posto a capo del settore organizzativo dei vescovi italiani) e pervaso di naturale idiosincrasia verso la testimonianza di piazza: “Non si tratta -  ha detto Galantino alCorriere della Sera di domenica 24 maggio – di fare a chi grida di più, i ‘pasdaran’ delle due parti si escludono da sé. Ci vuole un confronto tra gente che vuol bene a tutti”. È il trionfo della melassa: sul ponte sventola bandiera bianca.
Tornando in Irlanda non pochi sono stati i sacerdoti, le suore, i laici ‘impegnati’ che si sono scatenati in favore del ‘sì’ al riconoscimento costituzionale del “matrimonio gay”. E l’hanno fatto con affermazioni del genere (vedi l’ Irish Times di sabato 23 maggio): “Siamo cattolici, e noi abbiamo imparato a credere nella compassione e nell’amore e nella giustizia e nell’inclusione. Uguaglianza, è per tutto questo che votiamo a favore”. Dove si nota lo stravolgimento del significato di parole chiave dell’esperienza cattolica, annegata in una – e ribadiamo il termine, poiché ci sembra il più consono a descrivere un certo atteggiamento - melassa di buoni sentimenti new age che non corrisponde per niente al concetto vero di ‘misericordia’.
IN ITALIA: CATTOLICI "A' LA CARTE" E CATTOLICI "POLTRONISTI"
Questo insistere da parte dei massmedia sul ‘cattolicesimo’ irlandese per suggerire la strada al cattolicesimo italiano ha purtroppo oggi – siamo realisti - non poche possibilità di raggiungere l’obiettivo in tempi anche brevi. In Parlamento sono in corso d’esame norme di legge “contro l’omofobia” (in verità per la repressione della libertà di pensiero), per l’eutanasia, per le “unioni civili” (in verità per i ‘matrimoni gay’), per l’imposizione dell’ideologia gender nelle scuole di ogni ordine e grado. In governo siedono noti cattolici à la carte, dal presidente del Consiglio al suo contorno di ex-Madonnine del presepe, di ex-catechiste entusiaste delle Giornate mondiali della gioventù, di ex-presidenti delle Acli. Sempre in governo non mancano cattolici ‘poltronisti’, fortemente tentati - per conservare una poltrona – dal vendere Gesù Cristo, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa.
Tra le associazioni laicali leggete un po’ che cosa chiede il “Forum delle famiglie” umbro per il prossimo voto regionale. Sotto il motto: “Io voto perché… Cinque motivi per andare a votare”, si legge:
Il lavoro che non c’è, le politiche di sviluppo e di armonizzazione familiare che l’Umbria dovrebbe promuovere;
Il welfare in regime di scarsità di risorse, i modelli alternativi e integrati possibili;
L’educazione e la cultura secondo un’ecologia integrale, rispettosa della persona e dell’ambiente;
Un fisco equo e un’Amministrazione amica della famiglia
Di’ la tua…
C’è qualcuno che riesce a scovare nell’elenco qualche – magari anche timido - accenno a tematiche di grave ed esistenziale attualità come le norme legislative proposte a proposito di matrimonio, eutanasia, indottrinamento gender? No? È vero, non si trova niente di tutto questo. Si vede che il “Forum delle famiglie dell’Umbria” o vive su Marte oppure non vuole disturbare la candidata di sinistra alla presidenza dell’Umbria, Catiuscia Marini, esplicitamente favorevole al “matrimonio gay”, alla fecondazione eterologa, alla lotta “contro l’omofobia”, all’aborto, ecc… . Da notare che la Marini, proveniente dalla sinistra radicale, è appoggiata anche dalla formazione politica “Democrazia solidale” (ex-area Monti), che comprende tra l’altro Lucio Romano (già vicepresidente del Movimento per la Vita ed ex-presidente di “Scienza e Vita”).
Ditemi voi: se parti importanti del mondo cattolico italiano parlano e agiscono in tal modo (infischiandosene sostanzialmente di quanto continuano a ribadire con forza papa Francesco e con lucida, coerente fermezza il cardinal Bagnasco), come meravigliarsi se poi i massmedia scrivono che i cattolici contro il riconoscimento del “matrimonio gay”, fedeli alla Dottrina sociale - tendono ormai a diventare piccola minoranza di “bigotti e omofobi”? E ad esempio – come è successo ancora ieri sera a Roma e in altre città italiane – le “Sentinelle in piedi”, che testimoniano coraggiosamente con il pubblico silenzio la loro lotta per la libertà d’espressione, in adesione anche al magistero della Chiesa cattolica sulla famiglia, possono farlo solo con la robusta protezione della polizia e tra le urla e gli schiamazzi delle propaggini della nota lobby? Una vera vergogna, indegna di uno Stato che si dice democratico, ma purtroppo ricorrente.
In Irlanda chi ha reso pubblica testimonianza contro il riconoscimento del “matrimonio gay” è stato additato come nemico del progresso, un oscurantista da emarginare, in alcuni casi ha dovuto chiedere la scorta della polizia. Diversi cittadini hanno versato contributi alla macchina organizzativa del ‘no’ solo dietro garanzia dell’anonimato. Buona parte dei cartelloni elettorali del ‘no’ sono stati strappati. Ora, dopo il voto, è incerto su quel che ne sarà di chi pubblicamente dirà che il matrimonio è solo tra uomo e donna. Si pensi ad esempio alla situazione in cui verranno a trovarsi le scuole cattoliche, i catechisti, magari gli stessi sacerdoti celebranti, tutto l’indotto legato al matrimonio. Che cosa capiterà a chi si rifiuterà di….?
È una situazione che, in tempi brevi, potrà conoscere anche l’Italia. E allora, dai comportamenti, perlomeno si constaterà se la maggior parte del cattolicesimo italiano avrà scelto come punto di riferimento fra Cristoforo oppure don Abbondio.