venerdì 29 maggio 2015

“Mater Dei”, l’ultima Porta Santa




di Roberto I. Zanini

«Devo tutto all’Uomo della Sindone». Luigi Enzo Mattei lo afferma con la sicurezza di colui che sente di aver avuto una grazia. In realtà si tratta di qualcosa solo in parte simile. Lui è lo scultore di una delle quattro Porte Sante che a Roma si apriranno il prossimo 8 dicembre in occasione del Giubileo della Misericordia, quella della basilica di Santa Maria Maggiore. L’unico dei quattro artisti che le hanno realizzate a essere ancora in vita: Vico Consorti (San Pietro) è morto nel 1979, Floriano Bodini (San Giovanni) nel 2005 ed Enrico Manfrini (San Paolo) è scomparso nel 2004. Ma prima di fare quella porta, Mattei è stato lo scultore dell’Uomo della Sindone, il bronzo a grandezza naturale esposto al Museo della Sindone di Torino, poi replicato ed esposto in altre 9 località del mondo fra le quali la cattedrale di Hertogenbosch in Olanda, il santuario di Nostra Signora di Guadalupe a Sacramento in California, la casa di Giovanni Paolo II a Cracovia, l’Università di Città del Messico, il Museo della Passione a Gerusalemme. 


«È stata quella scultura a sollecitare il cardinale Carlo Furno, all’epoca arciprete di Santa Maria Maggiore, a telefonarmi per chiedermi di partecipare al concorso per la realizzazione della Porta Santa sul tema: "Gesù risorto incontra la Madre". Era l’inizio del ’99. Non so per quale motivo, ma non diedi seguito a quella prima richiesta. Alcuni mesi dopo il cardinale mi chiama nuovamente e ancora adesso mi ritrovo a pensare che senza la sua insistenza, che derivava dall’aver visto il bronzo tratto dalla Sindone, non avrei mai realizzato un’opera così importante».


Era il ’99, ma la sua porta verrà installata a fine 2001, a Giubileo concluso.
«Nei fatti ho cominciato a lavorarci nel 2000, ad Anno Santo incominciato. L’ho conclusa nel 2001 ed è stata collocata a Santa Maria Maggiore a dicembre di quell’anno: naturalmente chiusa».


Questo significa che l’8 dicembre prossimo la sua Porta Santa verrà aperta per la prima volta.
«Sì, per la prima volta... Per la precisione la porta di Santa Maria Maggiore verrà aperta dal Papa il primo gennaio, giorno di Maria Madre di Dio, l’intitolazione dell’opera. Quando la scolpivo, nel 2000, sapevo che non avrei fatto in tempo per quel Giubileo. Avevo 55 anni e mi chiedevo se sarei vissuto a sufficienza per giungere, 25 anni dopo, a vederla aperta. Questo Giubileo della Misericordia con dieci anni di anticipo è per me straordinario anche per questo motivo». 


È stata comunque benedetta da Giovanni Paolo II?
«Sì. E ricordo quel momento come se fosse adesso. Era l’8 dicembre del 2001. All’interno della Basilica, la porta (328 per 164 centimetri in bronzo di pura lega di rame, stagno e zinco) era ancora appoggiata al vano, chiuso, della Porta Santa, proprio lì dove doveva essere collocata. Ero con mia moglie, il cardinale Furno e pochi altri. Il Papa è entrato da una porta laterale e mi sembra ancora di vederlo, curvo e claudicante, venire verso di me».


Cosa le ha detto?
«Ha fatto un breve commento sul Gesù risorto che incontra la Madre, il tema rappresentato sulla porta. Poiché io ho spiegato che nel fare il Cristo mi ero ispirato al volto della Sindone era uscito fuori il discorso che sui Vangeli non è indicata la presenza della Santa Vergine al sepolcro. Lui ha sottolineato: "Non c’era bisogno che andasse con le altre donne, perché lei lo aveva già visto". Parole dette con una sicurezza che mi ha molto colpito. Poi mi ha ringraziato e ha rivolto un affettuoso "Buon Natale" a mia moglie».


La porta è stata montata subito dopo?
«Fra il 12 e l’13 dicembre. Hanno abbattuto il muro, collocato la porta chiusa e cominciato a ricostruire il muro tutto in una notte».


Insiste sull’annotazione della porta chiusa...
«Perché io quella porta l’ho pensata aperta e aspetto con ansia di poterla vedere aperta».


Perché dice di averla pensata aperta?
«Su un’anta è raffigurata la Madonna (realizzata sull’immagine della Salus populi romani conservata all’interno della Basilica) nell’atto di indicare il Cristo risorto, che, sull’altra anta, tiene il braccio destro steso con la mano rivolta tanto alla Madre quanto ai fedeli. Un po’ come nell’iconografia del Crocifisso di Furelos, un piccolo paese sul Cammino di Santiago, che dalla croce stacca il braccio destro e lo rivolge verso il basso, nel gesto misericordioso di accogliere i peccatori. Il fatto che venga aperta per la prima volta proprio per questo (all’epoca impensabile) Giubileo della Misericordia, per me è un altro evento straordinario».


Come se la spiega questa coincidenza?
«Effettivamente me lo sono chiesto e da artista mi sono dato una mia spiegazione. Credo che sia perché quando con fede si lavora per rappresentare e rendere viva la presenza salvifica di Gesù, qualunque sia la nostra attività ci mettiamo nelle mani di Dio e, senza renderci conto, si marcia tutti nella stessa direzione, per il raggiungimento dello stesso obiettivo».


Diceva del perché l’ha pensata aperta...
«Perché con le due ante aperte le figure del Cristo e della Madonna continuano a guardare i fedeli che passano e, con la particolare posizione delle loro mani, li invitano a entrare».


Ora che ha opere in musei di tutto il mondo, ritiene che anche la Porta Santa le abbia aperto un nuovo periodo per la carriera come le è accaduto con l’Uomo della Sindone?
«Certamente. Per esempio ho ricevuto altre committenze per fare porte monumentali. Ho fatto la Porta Fidei per la cattedrale di Bologna, la mia città. Ho fatto anche la gigantesca Janua Mundi per la collezione Sandro Quadrelli alla Gima di Zola Predosa...». 


A cosa lavora in questo momento?
«Sto studiando il rifacimento dell’altare e degli arredi della chiesa del Sacro Cuore a Bologna nella quale il 7 giugno prossimo viene esposta per la prima volta un’altra mia opera che si rifà all’Uomo della Sindone. Si tratta del Cristo velatoche intende rappresentare le 36 ore che il corpo di Gesù, secondo i sindonologi, avrebbe trascorso nel telo sindonico».


Niente a che fare col Cristo della Cappella San Severo di Napoli?
«Si tratta di qualcosa di molto diverso, ma qualcuno mi ha detto che ricorda nella bellezza l’opera di Giuseppe Sanmartino e questo è motivo d’orgoglio».
Avvenire