venerdì 29 maggio 2015

A proposito di teologia della liberazione…



di Ferderico Catani
«È importante tenere presente che quello che si cerca, oltre o, meglio, mediante la lotta contro la miseria, l’ingiustizia e lo sfruttamento, è la creazione di un uomo nuovo». Così scriveva nel 1971 Gustavo Gutiérrez, uno tra i massimi esponenti della teologia della liberazione. Questa corrente teologica, da cui la Chiesa ha preso le distanze per volontà di S. Giovanni Paolo II e dell’allora card. Ratzinger, è celebre per la commistione che ha realizzato in America Latina tra cattolicesimo e marxismo. Note al grande pubblico sono la sua presunta attenzione ai poveri e il suo sostegno alla prassi rivoluzionaria. Forse però non molti conoscono i suoi più recenti sviluppi. La teologia della liberazione, infatti, non è morta e non è rimasta affatto circoscritta al Sudamerica. Oggi, anzi, sembra tornata in auge e in diversi ambienti continua ad essere punto di riferimento, seppur in maniera velata. Ma quel che più conta è la sua evoluzione, che ci riguarda tutti, in un modo o nell’altro, perché attiene alla rivoluzione culturale e antropologica cui stiamo assistendo.
In effetti, dopo il crollo dell’Unione Sovietica e il fallimento generale del comunismo, i teologi della liberazione, che hanno sempre fatto proprie le categorie filosofiche, politiche ed economiche del marxismo, sono stati costretti a reinventarsi. In pratica, hanno ampliato i concetti di “povero” e “povertà”. Se negli anni Settanta e Ottanta i poveri erano i proletari sfruttati e alienati da un sistema economico che prevedeva la proprietà privata dei mezzi di produzione, oggi sono anche altre categorie di persone, sempre oppresse, ma in maniere e per ragioni diverse. Ecco allora che i nuovi poveri sono gli omosessuali, i transgender, le donne e persino la natura. Tale passaggio all’interno della teologia della liberazione è avvenuto senza contraddizioni. Leonardo Boff, altro personaggio di spicco di questo mondo, già nel 1985 scriveva infatti che la teologia della liberazione andava strettamente legata ai vari processi di liberazione caratteristici della storia moderna, come ad esempio il freudismo e il pensiero di Nietzsche riguardo la liberazione psicologica e quella degli istinti. Questi teologi hanno poi fatto ricorso senza problemi all’ideologia del gender per lottare contro la discriminazione di sesso, al femminismo per contrastare il dominio maschilista e all’ambientalismo estremo per difendere il pianeta Terra.
Gli attuali attacchi alla vita, alla famiglia e all’educazione dei nostri figli, pertanto, sono in qualche modo sostenuti anche da certi ambienti che si rifanno proprio alla teologia della liberazione, seppur con un’ampia varietà di sfumature. L’obiettivo è quello dichiarato da Gutiérrez e da altri: creare un uomo nuovo, completamente liberato da ogni tipo di oppressione, persino dalla morale e dalle leggi di natura. Un uomo ben diverso, quindi, da quello rinnovato e ricreato dalla grazia di Dio.
Chi volesse approfondire questi temi può leggere il documentato libro di Julio Loredo, “Teologia della Liberazione. Un salvagente di piombo per i poveri” (Cantagalli, Siena 2014), in cui l’autore analizza dettagliatamente il nucleo dottrinale della teologia della liberazione, mettendo ben in evidenza tutti gli errori che la allontanano dalla verità insegnata dalla Chiesa: immanentismo, storicismo, manipolazione della Sacra Scrittura, distorsione dell’immagine di Dio, del concetto di Redenzione, di peccato, una nuova e rivoluzionaria visione di Chiesa, primato della prassi, e così via. «Il concetto fondamentale della Tdl, che la percorre da cima a fondo, è quello di “liberazione” – scrive Loredo – cioè un movimento, interiore ed esteriore, tendente ad emancipare individui e società da certe situazioni ritenute oppressive o discriminanti». Ma, per l’appunto, non sempre ciò che sembra oppressivo in realtà lo è. Prendiamo per esempio il caso dell’omosessualità.
Dimenticando che la Chiesa da sempre insegna l’amore per il peccatore e la condanna del peccato, la teologia della liberazione gay, lesbica e queer parla di oppressione secolare verso il mondo omosessuale. In questo modo però, di fatto si legittima la ribellione non ad un’ingiusta autorità umana, bensì alla legge naturale e morale, voluta da Dio. È lo stesso ordine del creato che viene pensato come struttura oppressiva e dunque contestato.
Stesso discorso vale per la cosiddetta teologia femminista. Con il pretesto della pari dignità tra maschio e femmina, in realtà essa diffonde lo scontro tra i sessi, distorce il concetto di maternità e legittima ogni orrore in nome dell’autodeterminazione femminile. L’aborto ne è l’esempio più eclatante. Non solo. L’attacco al “patriarcalismo” mette in discussione persino l’immagine di Dio in cui i cristiani hanno sempre creduto e che hanno sempre accettato. E così come è necessario liberarsi da ogni forma di oppressione tra esseri umani, bisogna pure liberare la natura dal dominio dell’uomo. Di qui il mito del pianeta Terra considerato un organismo vivo di nome Gaia. Scrive Leonardo Boff: «Al grido dei poveri dobbiamo aggiungere il grido della Terra». Ancora una volta, si sovverte l’ordine del cosmo, perché la flora e la fauna hanno la priorità rispetto all’uomo, l’unico essere creato a immagine e somiglianza di Dio.
Sotto l’apparenza di buoni princìpi la teologia della liberazione cela pertanto delle vere e proprie aberrazioni. Come scrive Loredo, «proclamandosi in favore dei poveri, essa tuttavia difende sistemi che generano povertà. Sembra quasi che la Tdl abbia fatto non tanto un’opzione preferenziale per i poveri, quanto per la povertà stessa». Una povertà, lo diciamo a scanso di equivoci, ideologica, che nulla a che vedere con quella consigliata dal Vangelo e vissuta da Gesù e dai santi, né con una giusta sobrietà di vita. I teologi della liberazione, in effetti, hanno posto al centro del loro pensiero la prassi rivoluzionaria, spalleggiando regimi comunisti criminali, in cui i poveri erano solo strumentalizzati. Vengono in mente le parole che Don Camillo dice al pretino progressista don Chichì: «La povertà è una disgrazia, non un merito. Non basta essere poveri per essere giusti. E non è vero che tutti i poveri abbiano solo diritti e i ricchi solo doveri: davanti a Dio tutti gli uomini hanno esclusivamente dei doveri». Lo stesso discorso vale per le cosiddette nuove categorie di poveri, ugualmente strumentalizzate per costruire un’umanità nuova, liquida, slegata da ogni riferimento certo. D’altra parte, è ben difficile considerare oppressi i membri di quelle potentissime lobby, ricche e influenti, che mirano a imporre la dittatura del pensiero unico, con buona pace della tolleranza e della libertà. (La Croce quotidiano, 29/04/2015)