martedì 28 aprile 2015

Le sorprese del rosario




Prove di dialogo alla Reggia di Venaria. 

(Silvia Guidi) A Younis Tawfik, giornalista e scrittore originario di Mosul che insegna Lingua e letteratura araba all’università di Genova, i tanti oggetti religiosi esposti nella mostra «Pregare. Un’esperienza umana. L’incontro con il divino nelle culture del mondo» fanno tornare in mente il rosario d’ambra di suo padre, un oggetto quotidiano ma prezioso e carico di fascino, «che emanava un certo profumo mentre lo sfregavi tra le mani. Lo passava tra le dita pronunciando i nomi epitetici di Allah per novantanove volte, non solo durante la preghiera, ma durante tutto il giorno per fare memoria di Dio».
Per concludere la preghiera — prosegue quindi Tawfik — «si volge la testa prima a destra e poi a sinistra, salutando con la formula detta taslîm. Nel sufismo la preghiera costituisce il metodo della realizzazione, nella forma di invocazione dhikr, ovvero “preghiera del cuore”. L’invocazione è la capacità di ricordare Dio pronunciando il suo nome in ogni momento e, in un senso più esteriore, la capacità di usare come preghiera il potere della parola».
Il ricordo di Tawfik è parte del dossier di due pagine intitolato Preghiera plurale che il 26 aprile «la Lettura», supplemento domenicale del «Corriere della Sera», ha dedicato alla mostra ideata e curata da Franco La Cecla e Lucetta Scaraffia, e realizzata dal Consorzio La Venaria Reale in collaborazione con l’Associazione Sant’Anselmo Imago Veritatis. Nel dossier, un non credente, un cristiano, un ebreo e un musulmano commentano la mostra e parlano del loro rapporto con la spiritualità. 
I tanti rosari esposti nell’allestimento alla Venaria Reale hanno colpito anche Franco Garelli, che racconta la mostra dal punto di vista di un cristiano. «Si tratta — scrive Garelli, che insegna Sociologia dei processi culturali e Sociologia della religione all’università di Torino — di uno strumento di devozione che si ritrova in quasi tutte le grandi religioni o filosofie di vita che si sono sviluppate nel mondo, dall’induismo al buddismo, dall’islam al cattolicesimo e alle Chiese ortodosse. Un mezzo che non è solo un reperto della tradizione, in quanto ancor oggi esso accompagna la vita e la preghiera sia di larghi strati di popolo, sia di gruppi virtuosi della religione. Di qui l’interrogarmi del perché il rosario sia ormai, nel cattolicesimo italiano ed europeo una pratica religiosa desueta o in via di sparizione, tutt’al più resistente nelle aree meno sviluppate o culturalmente più tradizionali». 
Perché invece in altre culture non solo i fedeli comuni, ma anche i monaci e gli asceti, continuano a ripetere le loro invocazioni sgranando le diverse corone del rosario? «Come a dire — conclude Garelli — che questo strumento semplice può aiutare il credente a dare continuità alla sua preghiera, in quanto ciò che conta non è tanto ciò che viene detto, quanto la domanda incessante che deve muovere il fedele nei confronti del proprio Dio o di un ideale di perfezione».
È bastato spostare il focus — scrive Adriano Favole, antropologo dell’Università di Torino commentando la mostra da non credente — dai conflitti alimentati dalla strumentalizzazione politica, dalle diatribe teologiche e dalla supponenza delle rispettive autorità alla pratica quotidiana della preghiera per scoprire che le principali regioni del pianeta sono connesse da una fitta trama di scambi e relazioni. La carta geografica che ricostruisce genesi e diffusione del rosario ne è l’emblema». E conclude: «Il giovane marocchino che, davanti a me, scruta le immagini della Sinagoga di Casale Monferrato (fortemente esotiche per un pubblico di cattolici italiani) con la sua maglietta della Juventus è uno dei motivi per cui, nonostante le difficoltà denunciate da Franco La Cecla, “Pregare” è un’iniziativa che può aprire la strada a nuove forme di dialogo».
L'Osservatore Romano