sabato 11 aprile 2015

Domenica della "Divina Misericordia" 2015

Per i torinesi:
SABATO 11 APRILE 2015
CHIESA DELLA VISITAZIONE A TORINO IN VIA XX SETTEMBRE, 23
ALLE ORE 20,45 VEGLIA DELLA DIVINA MISERICORDIA
A SEGUIRE LA SANTA MESSA
DOMENICA 12 APRILE 2015
CHIESA SANTA MARIA DI PIAZZA A TORINO VIA S. MARIA, 4
ALLE ORE 14,45 FESTA DELLA DIVINA MISERICORDIA
A SEGUIRE LA SANTA MESSA

*
Nella seconda domenica di Pasqua, Domenica della Divina Misericordia, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Tommaso non crede agli altri apostoli che hanno visto Gesù risorto. Il suo cuore è inquieto nella sua incredulità. Ma il Signore appare di nuovo e dice:
«Pace a voi!».
“Pace a voi” è il saluto e il dono che il Risorto porta ai suoi discepoli, i quali, con le  porte di casa ben chiuse per timore, attendono gli sviluppi della morte in croce del Signore. La risurrezione spazza via ogni timore, perché “là dove entra Cristo risorto, entra con lui la vera pace” (S. Giovanni Paolo II). Oggi si parla tanto di pace, soffriamo fortemente per la mancanza di pace, aneliamo con ansia alla pace…, ma a volte si ha l’impressione che non sappiamo più cosa sia. La pace di Cristo – e la pagina del vangelo di oggi lo rivela senza ombre di dubbio – non ha nulla a che fare con un certo pacifismo di moda e neppure con un certo perdonismo a buon mercato. La pace di Cristo è fondata sul perdono, sulla misericordia. Gesù entra dai suoi discepoli non facendo finta che non sia successo nulla: egli mostra loro i segni della passione, le mani ed il costato. Ma da queste ferite non esce un giudizio di condanna, ma il dono dello Spirito santo, il dono dei sacramenti. La pace di Cristo passa attraverso il perdono, il perdono di chi si è fatto carico dell’ingiustizia, di chi accetta che Dio lo faccia peccato in favore degli altri (cf 2 Cor 5,21). La pace di Cristo, la pace cristiana passa sempre attraverso il dono dello Spirito Santo. “O Buona Novella [della pace] – esclama S. Giovanni Paolo II –, tanto attesa e desiderata! O annuncio consolante per chi è oppresso sotto il peso del peccato e delle sue molteplici strutture! Per tutti, specialmente per i piccoli e i poveri, proclamiamo oggi la speranza della pace, della pace vera, fondata sui solidi pilastri dell'amore e della giustizia, della verità e della libertà” (Messaggio per la Pasqua del 2003). (Pasotti)
*

Toccare e vedere Cristo risorto

Commento al Vangelo della Domenica "in albis"


E’ passata una settimana dal giorno di Pasqua, ma forse ci troviamo come Tommaso, ancora sconvolti perché, nonostante i fratelli, i pastori e i catechisti ci abbiano annunciato di aver visto il Signore risorto, nel nostro intimo permangono i dubbi.
Bene, è arrivato il momento di affrontarli, senza reticenze. Accettiamo che non siamo ancora giunti alla fede adulta, quella che sa vedere in ogni circostanza della vita l’occasione per fare Pasqua con Cristo, per passare da se stessi agli altri, in un amore senza condizioni.
Accettiamo che siamo perfettamente d’accordo con Tommaso, e oggi, guardando alla nostra vita a una settimana di distanza dal giorno di Pasqua, possiamo ripetere con lui: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”. Pensi che non sia così? Vediamo allora che cosa accadde a Tommaso.
Di Gesù egli aveva un'esperienza più viva e familiare delle altre, un ricordo più fresco, tanto intenso e struggente da fargli sanguinare il cuore dal dolore. Aveva l'esperienza delle sue ferite: lo aveva visto mentre lo inchiodavano alla croce; lo aveva contemplato, forse impaurito e da lontano, mentre pendeva agonizzante da quel legno. Probabilmente le aveva anche toccate, accarezzate, baciate; forse aveva intinto il lembo del suo mantello nel loro sangue.
Insomma, per Tommaso Gesù era il suo Maestro crocifisso; per credere aveva bisogno di quel segno concreto, l'unico che poteva riconoscere. Di più: Tommaso era chiamato "Didimo", che significa "gemello". Dunque, Tommaso stava cercando, come tutti i gemelli quando si separano dal fratello, la parte di sé che gli era venuta meno! Cercava un segno nelle piaghe di Gesù, perché cercava un senso alle sue ferite, al dolore della sua vita: infatti, "colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli... Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch'egli ne è divenuto partecipe " (cfr. Eb. 2, 11-12). 
Tommaso, mosso dalla relazione nella carne con Gesù, il primo impulso, istintivo, era andato a cercare il suo gemello, l'unica parte di sé che poteva dare compimento e completezza alla sua vita; ma lo era andato a cercare lontano dalla verità, paradossalmente, proprio lontano dalla carne di Gesù, dal corpo di Cristo che è vivo nella comunione della Chiesa, la comunità dei suoi fratelli.
Forse era andato a cercarlo alla tomba, come la Maddalena; forse non si rassegnava a vedere la carne della propria carne scendere e marcire in un sepolcro; forse Tommaso stava rovistando tra le speranze deluse, i progetti restati in sospeso, le zone oscure del passato dove aveva sbagliato qualcosa; forse cercava la pace tra i sensi di colpa mai sopiti, tra le angosce di quella relazione così importante ma scivolata via senza poterci fare nulla. O forse voleva, semplicemente, restare solo a piangere il suo dolore.
Ma la sua relazione con il Maestro era stata anche qualcosa di più; lo aveva sentito vibrare nell'anima il suo amore soprannaturale, ne aveva percepito la tenerezza, e questa memoria mai sopita, come quella del figlio prodigo, lo ha spinto a tornare nel luogo dove ancora non lo aveva cercato. Qualcosa lo aveva attirato nella stanza dove aveva ricevuto dalle sue mani il suo corpo e il suo sangue; in quell'intimità che solo si sperimenta nella comunione con i fratelli.
Non è la nostra situazione di oggi? Non siamo tornati anche noi in parrocchia, con gli stessi sentimenti di Tommaso? Abbiamo tentato di pregare per conto nostro, abbiamo fatto sacrifici, digiuni, fioretti. Ci siamo impegnati ad aiutare i più deboli. Ma la relazione con Gesù è restata sullo sfondo, Lui c’è sì, ma… Ma non è l’Amato del nostro cuore, non è l’Unico che colma la nostra vita, il primo a cui pensiamo quando ci svegliamo e l’ultimo prima di addormentarci. Viviamo proprio come un gemello che non vede suo fratello da decenni, nello struggimento per l’assenza di una parte di noi senza la quale non siamo noi.
Ma Gesù, che non ha mai considerato Tommaso perduto, proprio nel Cenacolo viene a cercarlo; torna dopo una settimana, come torna ogni giorno nel quale la Chiesa fa memoria del suo Mistero Pasquale. Torna per lui, assecondando con tenerezza infinita quel bisogno affettivo che, sempre, muove gli uomini verso di Lui. Il vuoto di una vita fallimentare, un matrimonio che sta andando a rotoli, una malattia, l'incompiutezza della vita sono i pertugi attraverso i quali Dio lascia che la storia scavi nella roccia dura dell'orgoglio. Da essi parte il cammino di ritorno, la conversione. 
Anche noi, spesso, dimentichiamo che l'unico luogo dove ricevere la virtù soprannaturale della fede, dove toccare e vedere Cristo risorto, dove sperimentare il suo amore più forte della morte, è la Chiesa, la comunità cristiana. Perché un cristiano è un gemello nel cui cuore risuona sempre l'eco della presenza del proprio fratello, anch'egli a sua volta gemello di Cristo, come ciascuno di noi. Per questo le sue ferite sono le nostre, e la fede non si ferma ad un evento registrato dai sensi, ma va al di là, alla presenza misteriosa eppure concreta e reale, della sua vittoria sulla morte, della sua vita dentro la nostra vita. 
Nella comunità dove solo possiamo “nascere da Dio”, che significa appunto “credere che Gesù è il Cristo”, sperimentare nella propria vita che Lui è il Salvatore, l’Unto di Dio, il Signore. Gesù, infatti, non dice che la fede è un salto nel buio. Altrimenti, perché avrebbe fondato la Chiesa? Essa è, nel mondo, proprio il suo corpo risorto offerto come segno perché il mondo possa credere.
Dall'amore tra i fratelli ogni uomo potrà riconoscere che Dio esiste, che ha mandato il suo Figlio non per condannarlo, ma per salvarlo. L'amore che perdona e si fa carico dei pesi e dei peccati dei fratelli, perché “chi ama Colui che ha generato, ama anche chi da Lui è stato generato”.
Nella Chiesa i fratelli “vincono il mondo con la loro fede” che si appoggia ogni istante alla vittoria di Cristo sulla morte: la fede che si esprime in gesti e segni concreti che rendono visibile la vita eterna che ha preso dimora in loro, in virtù della quale i rinati nel Battesimo hanno un “cuore solo e un’anima sola” essendo parte del Corpo vivo di Cristo risorto.
Nella comunità cristiana “nessuno dice sua proprietà ciò che gli appartiene, ma ogni cosa è in comune” tra i fratelli; “in comune” che significa “nella comunione” celeste che può vivere solo chi è “nato da Dio” e ama nella libertà il suo fratello. L’amore, infatti, è il compimento di ogni “comandamento di Dio”. No, non si tratta dei bei tempi andati, ma del primissimo modello apostolico che la freschezza del Vangelo rinnova in ogni generazione.
Non viviamo così nelle nostre comunità? Vuol dire che, come Tommaso siamo ancora alla ricerca di Gesù, che non abbiamo toccato le sue piaghe gloriose, che cioè ancora non abbiamo sperimentato sino in fondo il potere rigenerante del suo perdono. Che, anche se battezzati, non ci siamo ancora lasciati trasformare dall’acqua e dal sangue, dalla Grazia del sacramento. Siamo ancora sordi alla testimonianza dello Spirito, alla Verità, perché, come Tommaso, abbiamo vagato lontani dal Cenacolo dove Gesù lo ha effuso sugli apostoli e sugli altri fratelli. E chi non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene…
Ma il Signore ama Tommaso, e ama noi. E ci attende con pazienza, e viene a cercarci ancora. Anche i momenti in cui ci siamo allontanati e abbiamo preferito la solitudine dell'orgoglio o del dolore, anche quelli infilati nel buio più oscuro, sono fecondi e preparano all'incontro decisivo che muove alla professione di fede più bella.
Anche noi, anche tuo figlio e il tuo amico, anche l'uomo più lontano sta cercando il Signore! E può tornare come Tommaso attirato dall'annuncio dei suoi fratelli, perché sempre la predicazione si pianta nel cuore delle persone come un santo tarlo. Prima o poi darà frutto.
Tommaso in fondo, anche se balbettando e ponendo condizioni, ha prestato un po' di fede alle parole dei suoi fratelli, e ora è lì, nella sua comunità. E tanto basta, e questo è tutto. Perché Gesù torna sempre dai suoi, e cerca Tommaso, e accetta ogni sua condizione!
Gesù accoglie anche le nostre, anche quelle di ogni uomo, dei più piccoli e deboli, dei più grandi peccatori, e si fa carne, storia, vita dentro le nostre ore, e schiude le sue ferite, la sua misericordia, perché tutti le possiamo toccare.
Gesù ha pazienza e, come un fratello maggiore, ci prende per mano e, nella Chiesa Madre e Maestra, ci insegna a camminare con la Parola e i Sacramenti, per "diventare", passo dopo passo nel catecumenato di conversione, "un credente", uno che, in ogni circostanza, vive appoggiato al suo amore incorruttibile.
E' necessaria la scintilla che solo l'amore di Dio rivelato in Cristo e sigillato dallo Spirito Santo può far scoccare nell'anima: allora, come San Paolo, la "conoscenza" di Cristo non sarà più secondo la carne, necessaria all'inizio, come fu necessaria la notte di Betlemme per dare inizio, con l'incarnazione, al Mistero di Pasqua di Gesù.
Per resistere al pericolo che anche la fede divenga uno struggente ricordo, occorre lasciarsi crocifiggere con Cristo, per restare ben piantati con Lui nella storia, e vivere, pur non "sentendo" nulla, anche senza consolazioni, appoggiati al mistero del suo amore, spesso invisibile ma sempre all'opera.
Quando l'altro ci offre la morte, quando la storia si apre come un abisso di delusione e solitudine, ci salva la comunità, il cenacolo dove toccare Cristo e imparare la fede. In essa possiamo allineare i memoriali del suo amore con noi su cui costruire, come sulla roccia, la nostra casa, capace di resistere alle tempeste e ai terremoti.
Così potremo giungere alla fede adulta, la fede di Tommaso cresciuta nella sua comunità, alla presenza di Cristo risorto. E, come Lui, potremo riconoscere "il nostro Signore e il nostro Dio" nelle nostre stesse piaghe, nelle ferite della nostra vita: nella Croce la gloria, nella storia l'onnipotenza di Dio, nella nostra vita la signoria di Cristo a cui “rendere testimonianza con parresia”, il martirio che tanti fratelli stanno offrendo a Cristo in ogni angolo del mondo.

*

La misericordia di un incontro

Lectio Divina sulle letture per la Domenica della Misericordia 2015


Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture per la Domenica della Misericordia 2015.
Come di consueto, il presule offre anche una lettura patristica.
***
LECTIO DIVINA
Rito Romano
At 4,32-35; Sal 117; 1 Gv 5,1-6; Gv 20,19-31
Rito Ambrosiano
At 4,8-24; Sal 117; Col 2,8-15; Gv 20,19-31
Domenica II di Pasqua - (della Divina Misericordia)(ormai tolte le vesti battesimali) 
1) Un incontro che conferma la fede.
I discepoli avranno perso la fede a causa della passione e morte di Gesù? Poteva la fede di questi futuri pescatori di uomini venire meno del tutto? Certo i giorni drammatici culminati con Cristo morto in Croce, l’aveva resa debole, fragile, incrinata e il cuore era pieno di paura. Tant’è vero che, anche se restano a Gerusalemme, si sono rinchiusi nel Cenacolo con le porte sprangate per paura dei Giudei. Ma, ecco che alcune donne (come ci ha ricordato il Vangelo di domenica scorsa) avevano annunciato loro che Cristo era risorto. Tuttavia questo annuncio non bastò loro. In effetti, è necessario, ma non sufficiente che qualcuno Lo abbia visto e annunciato: è necessario incontrarLo.
Nel luogo dove si erano rifugiati c’era ancora aria di paura. Paura dei Giudei, certo, ma anche e soprattutto paura di se stessi, della propria viltà, di come si erano comportati nella notte del tradimento. Eppure, nonostante il loro cuore inaffidabile - e il nostro cuore lento – Gesù venne in quella casa e stette in mezzo a loro.Gesù sapeva che la fede non poteva rifiorire, essere confermata solamente dal ricordo di Lui, di quanto Lui aveva detto e fatto nei tre anni trascorsi con i suoi apostoli. Il ricordo, per quanto vivo, non basta a rendere viva una persona, al massimo può far nascere una scuola di vita e di pensiero.
Dunque Gesù, dopo aver lasciato il luogo di morte che era il sepolcro, entra in un luogo dove ci sono i suoi discepoli1 morti di paura, morti nel cuore, e sta in mezzo a loro, che - secondo me – non vuol dire solo al centro ma anche dentro.
Gesù risorto sta di nuovo con i suoi discepoli e cosa fa? Porta la sua pace. La prima esperienza di resurrezione è che nel luogo chiuso dove io mi trovo, nelle mie paure, Lui è lì presente al centro e mi annuncia la pace. E’ lì che Lo incontro, proprio nel chiuso delle mie paure.Quindi, è importante questo incontro, perché è un fatto che cambia la vita. Dopo l’incontro della Maddalena, che cerca Cristo con santo amore e pura pietà, oggi siamo chiamati a celebrare l’incontro di amore e di pietà di Cristo che cerca noi. Il Risorto viene incontro a noi che siamo morti nelle nostre paure, nelle nostre fragilità, nel nostro peccato, nelle nostre chiusure, nel nostro buio, per farci risorgere attraverso la pace e la gioia.
La pace e la gioia sono un dono del Risorto, che affondano le loro radici nell’amore. Pace e gioia sono il dono del Risorto e, al tempo stesso, le tracce per riconoscerlo. Ma occorre frantumare l’attaccamento a se stessi. Solo così non si è più ricattabili e si è liberati dalla paura. La pace e la gioia fioriscono nella libertà e nel dono di sé, due condizioni senza le quali non è possibile alcuna esperienza della presenza del Risorto.
Il risorto Gesù, ricco di misericordia e di bontà e di pace, non è fermato dalle porte chiuse del Cenacolo. Sant’Agostino spiega che “le porte chiuse non hanno impedito l’entrata di quel corpo in cui abitava la divinità. Colui che nascendo aveva lasciata intatta la verginità della madre poté entrare nel cenacolo a porte chiuse” e confermare le debole fede mostrando le piaghe gloriose (cfr Inno ai Vespri di Pasqua).
2) Un gesto di misericordia.
Come ci è detto nel brano del Vangelo di oggi, otto giorni dopo Gesù ricompare in mezzo ai suoi discepoli, e questa volta Tommaso è presente. E Gesù lo interpella: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la mano e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma credente”. Tommaso si inginocchia e fa una splendida professione di fede: “Mio Signore e mio Dio!”.
Il Risorto Gesù mostra i segni della passione, fino a concedere all’incredulo Tommaso di toccarli. La condiscendenza divina ci permette di imparare anche da Tommaso incredulo e non solamente dai discepoli credenti. Infatti, toccando le ferite del Signore, il discepolo esitante guarisce non solo la propria, ma anche la nostra diffidenza.
In un primo tempo, egli non aveva creduto a Gesù apparso in sua assenza, e aveva detto: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”. Otto giorni dopo, Cristo risorto tornò nel cenacolo, stette2 nel mezzo (Gv 20,19). Gesù sta in piedi, diritto (è la posizione del Vivente, il cui corpo “giaceva” nel sepolcro) e si rivolge alla comunità intera, infatti, dice: “Pace a voi”, nella quale ora c’è anche Tommaso, al quale Gesù si rivolge personalmente e –come ho citato poco sopra- gli dice: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!”. Per farsi riconoscere è il Risorto stesso che sceglie i segni della crocifissione: il fianco e le mani trafitte. Gesù invita Tommaso a realizzare il suo desiderio: vedere e toccare i buchi provocati dai chiodi che avevano sostenuto Gesù in Croce, e la ferita che la lancia aveva aperto nel costato del Redentore.
La Risurrezione non abolisce la Croce: la trasfigura. Le tracce della crocifissione sono ancora visibili, perché sono proprio loro a indicare l’identità del Risorto e a indicare la strada che il discepolo deve percorrere per raggiungerlo. Il Risorto porta per sempre le ferite, ora gloriose, memoria perenne del suo amore immenso e misericordioso per noi. San Tommaso poté mettere il dito nel buco dei chiodi e spingere la mano nella ferita aperta dalla lancia, perché riteneva giustamente che segni qualificanti dell’identità di Gesù fossero soprattutto le piaghe, nelle quali si rivela anche oggi fino a che punto Dio ci ha amati e che il Risorto è il Crocifisso. Le ferite di Cristo restano misteriosamente aperte anche dopo la risurrezione: sono la porta sempre spalancata, attraverso la quale il Figlio di Dio si apre a noi e noi entriamo in Lui. Come Tommaso, noi oggi siamo chiamati a vedere e toccare il Corpo di Cristo, per entrare in comunione con Lui.
3) L’Amore è missione.
Il brano del Vangelo di oggi non ci parla solo dell’incontro tra il Risorto e san Tommaso, ma va oltre, affinché tutti possano ricevere il dono della pace e della vita con il “Soffio creatore”. Infatti, per due volte Gesù disse ai discepoli: “Pace a voi!”, e aggiunse: “Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi”. Detto questo, soffiò su di loro, dicendo: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”. È questa la missione della Chiesa perennemente assistita dallo Spirito Santo: portare a tutti il lieto annuncio, la gioiosa realtà dell'Amore misericordioso di Dio.
L’amore è sempre missionario, perché manda la persona fuori di sé. Non nel senso di uscire di testa, cioè di impazzire, ma in quello di uscire dal proprio egoismo per affermare l’altro, perché l’altro viva. L’amore del Padre che ci offre il Figlio ci spinge verso i fratelli ( cfr 2 Cor 5, 14) perché anche loro scoprano questo amore divino e lo accolgano. Allora Dio sarà tutto in tutti (cfr 1 Cor 15, 28).
Perché possiamo compiere questa missione, Gesù ci dona il suo soffio di vita: la vita di Dio diventa la nostra vita. E’ lo spirito nuovo, che ci toglie il cuore di pietra e ci dà un cuore di carne, capace di vivere secondo la parola di Dio e di “abitare” la terra (cfr Ez 36, 24 ss). E’ quel soffio che Dio alitò su Adamo (cfr Gn 2,7) e che il nuovo Adamo “spirò” dalla Croce, facendo scaturire dal suo fianco sangue (segno dell’Eucaristia) e acqua (segno del Battesimo). E’ lo Spirito del Figlio di Dio, che ci rende capaci di vivere da fratelli e sorelle, vincendo il male con il bene. Per questo la missione dei discepoli consiste nel perdonare i peccati. Il perdono fraterno realizza sulla terra l’amore del Padre. In questo modo la Chiesa, sacramento di salvezza per tutti, continua la missione dell’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo.
Con il dono del suo Spirito, Gesù invia anche noi a continuare nel mondo la sua opera di misericordia e riconciliazione. A questo ministero di misericordia partecipano in modo molto significativo le Vergini consacrate nel mondo.
Quando una cosa viene consacrata, essa è sottratta ad ogni altro uso per essere adibita solo a uso sacro. Così è di un oggetto, quando è destinato al culto divino. Ma può esserlo anche di una persona, quando essa viene chiamata da Dio a rendergli un culto perfetto. Essere consacrate a Cristo, vuol dire lasciarsi condurre da Lui, fidarsi di Lui e portare il suo amore misericordioso nella vita di ogni giorno. “Preghiamo il Signore che moltiplichi sulle vergini consacrate la grazia, affinché compiano le dovute opere di misericordia, e tutti coloro che le vedono glorifichino il Padre della Misericordia che è nei Cieli” (Santa Faustina Kowalska.). Come, fra l’altro, è confermato nel Rituale delle Vergini Consacrate, il quale afferma che il loro compito e di “attendere, ognuna secondo il proprio stato e propri carismi, alle opere di penitenza e misericordia3, all’attività apostolica e alla preghiera” (Prenotanda, n. 2) 
*
LETTURA PATRISTICA 

San Gregorio Magno
Omelia 26, 7-9
Tommaso, modello di fede per noi
"Ma Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù" (Jn 20,24). Questo discepolo fu l’unico assente; al suo ritorno sentì ciò che era avvenuto, ma non volle credere a quel che aveva udito. Il Signore ritornò e presentò al discepolo incredulo il costato perché lo toccasse, mostrò le mani e, facendo vedere le cicatrici delle sue ferite, sanò la ferita della sua infedeltà. Cosa, fratelli carissimi, cosa notate in tutto ciò? Credete dovuto a un caso che quel discepolo fosse allora assente, e poi tornando udisse, e udendo dubitasse, e dubitando toccasse, e toccando credesse? Non a caso ciò avvenne, ma per divina disposizione. La divina clemenza mirabilmente stabilì che quel discepolo incredulo, mentre toccava le ferite nella carne del suo Maestro, sanasse a noi le ferite dell’infedeltà. A noi infatti giova più l’incredulità di Tommaso che non la fede dei discepoli credenti perché mentre egli, toccando con mano, ritorna alla fede, l’anima nostra, lasciando da parte ogni dubbio si consolida nella fede. Certo, il Signore permise che il discepolo dubitasse dopo la sua risurrezione, e tuttavia non lo abbandonò nel dubbio... Così il discepolo che dubita e tocca con mano, diventa testimone della vera risurrezione, come lo sposo della Madre (del Signore) era stato custode della perfettissima verginità.
[Tommaso] toccò, ed esclamò: "Mio Signore e mio Dio! Gesù gli disse: Perché mi hai veduto, Tommaso, hai creduto" (Jn 20,28-29). Quando l’apostolo Paolo dice: "La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono" (He 11,1), parla chiaramente, perché la fede è prova di quelle cose che non si possono vedere. Infatti delle cose che si vedono non si ha fede, ma conoscenza (naturale). Dal momento però che Tommaso vide e toccò, perché gli viene detto: "Perché mi hai veduto, hai creduto?" Ma altro vide, altro credette. Da un uomo mortale certo la divinità non può essere vista. Egli vide dunque l’uomo, e confessò che era Dio, dicendo: "Mio Signore e mio Dio"! Vedendo dunque credette, lui che considerando (Gesù) un vero uomo, ne proclamò la divinità che non aveva potuto vedere.
Riempie di gioia ciò che segue: "Beati quelli che non hanno visto, e hanno creduto" (Jn 20,29). Senza dubbio in queste parole siamo indicati in special modo noi che non lo abbiamo veduto nella carne ma lo riteniamo nell’anima. Siamo indicati noi, purché accompagniamo con le opere la nostra fede. Crede veramente colui che pratica con le opere quello che crede. Al contrario, per quelli che hanno la fede soltanto di nome, Paolo afferma: "Dichiarano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti" (Tt 1,16). E Jc aggiunge: "La fede senza le opere è morta" (Jc 2,26).
*
NOTE
1 Il fatto che il Vangelo di oggi parli di “discepoli”, non di “apostoli” vuol dire che la cerchia è più ampia e comprende anche noi.
2 Il verbo greco che indica “stare”, in un suo composto significa “risorgere” (an-istemi: stare su). Il morto giace, messo a parte. Il Risorto sta diritto, nel mezzo della comunità dei credenti.
3 La Chiesa - servendosi della Bibbia, ma anche della propria esperienza bimillenaria - riassume l'atteggiamento positivo verso chi è in difficoltà, con due serie di opere di misericordia: quelle corporali e quelle spirituali.
Le sette opere di misericordia corporale sono:
1) Dar da mangiare agli affamati,
2) Dar da bere agli assetati,
3) Vestire gli ignudi,
4) Alloggiare i pellegrini,
5) Visitare gli infermi,
6) Visitare i carcerati,
7) Seppellire i morti.
Le sette opere di misericordia spirituale sono:
8) Consigliare i dubbiosi,
9) Insegnare agli ignoranti,
10) Ammonire i peccatori,
11) Consolare gli afflitti,
12) Perdonare le offese,
13) Sopportare pazientemente le persone moleste,
14) Pregare Dio per i vivi e per i morti.
Ricorrendo al numero sette per due volte, la Chiesa intende dare a quel numero il valore simbolico raccolto nella Bibbia. Come a dire che in quel numero, che significa completezza, si vuol esprimere tutto ciò che riguarda l’aiuto verso il prossimo.