sabato 25 aprile 2015

Come nasce la missione cristiana.



 Quando due persone s’incontrano 

Per i cinquant’anni della promulgazione del decreto conciliare Ad gentes si è tenuto in questi giorni presso la Pontificia Università Urbaniana un convegno internazionale al quale, tra gli altri, ha partecipato il cardinale prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, Fernando Filoni, che ha parlato della missione nell’Evangelii gaudium. Pubblichiamo i passaggi salienti dell’intervento del cardinale arcivescovo di Manila su «I vescovi e il clero: indirizzi missionari nella formazione e nella pastorale».
(Luis Antonio G. Tagle) In tutte le fasi del discernimento vocazionale, della formazione in seminario e della formazione permanente, la purificazione della propria motivazione al ministero ordinato deve essere affrontata con coraggio. I fattori personali, sociali e culturali che influenzano la propria chiamata vanno affrontati. Gesù Cristo, del quale la Chiesa continua la missione, è il modello. Egli fu consumato dalla missione. Era appassionato della sua missione. Per lui missione non è solo lavoro da compiere ma anche crescita del suo rapporto intimo con colui che chiamava Abbà, colui che lo ha mandato. Fa solo ciò che vede fare ad Abbà. Non cerca la propria volontà ma la volontà di colui che lo ha mandato.
Per Gesù missione significa essere inviato dal Padre, non andare dove scelgo di andare, non dove scelgo di stare, non dov’è conveniente per me, non dove ho tracciato la mia carriera. Se i vescovi e il clero vengono costantemente formati secondo il cuore missionario di Gesù, essi compiono la missione di Dio piuttosto che aspirare a una posizione. Senza una vita coerente di preghiera, alimentata dall’umiltà, i vescovi e il clero potrebbero perdere il senso di essere inviati da Dio per i fini di Dio. Invierebbero se stessi, promuoverebbero i propri obiettivi ed edificherebbero i propri regni. Non dimentichiamo che Gesù è stato mandato per predicare la buona novella ai poveri. «Per questo è necessario che la Chiesa, sempre sotto l’influsso dello Spirito di Cristo, segua la stessa strada seguita da questi, la strada cioè della povertà, dell’obbedienza, del servizio e del sacrificio di se stesso fino alla morte» (Ad gentes, n. 5).
Grazie alla sollecitudine pastorale, i vescovi e il clero desiderano offrire un servizio esemplare alle loro diocesi, parrocchie o luoghi di ministero. C’è tuttavia il pericolo che si concentrino talmente tanto sulle loro comunità locali più vicine da non preoccuparsi di conoscere i bisogni e le realtà della Chiesa più ampia. Non permetterebbero neppure alle situazioni delle altre Chiese d’incidere sulla loro vita ecclesiale locale. Con una conoscenza insufficiente perdono l’interesse e il senso di responsabilità verso le altre Chiese. Il loro ministero pastorale e le Chiese locali che essi servono diventano autoreferenziali. Non vengono né sfidate né arricchite da altre Chiese. Da ciò possono derivare conseguenze disastrose; per esempio la cura pastorale può dissociarsi dalla missione; le Chiese locali diventano enclave isolati perdendo in tal modo la loro piena identità come Chiesa; la Chiesa universale diventa un’astrazione. Una componente necessaria della formazione missionaria dei vescovi e del clero è la costante riflessione teologica sulla reciproca conoscenza tra le Chiese locali e la Chiesa universale. Essere autoreferenziale o autosufficiente indebolisce la Chiesa. Essere rivolta agli altri, preoccuparsi delle altre Chiese come fossero la nostra, vivere in comunione con le altre Chiese, fare o agire rettamente a livello locale per il bene della comunità universale, rendono la missione e la cura pastorale reciprocamente inclusive. Ciò però esige un solido studio ecclesiologico del rapporto tra la Chiesa universale e le Chiese locali, dell’aspetto missionario della collegialità dei vescovi e della formazione missionaria di tutti i battezzati, secondo la loro chiamata e condizione di vita. I vescovi e il clero devono risvegliare, animare e formare i laici alla missione. Devono anche sentirsi a proprio agio con l’approccio partecipativo e collaborativo all’impegno missionario delle Chiese locali. 
In Gesù, missione significa entrare nella condizione umana, iniziare a conoscere e a capire la fragilità umana unendosi a essa. La missione di portare il Vangelo ai popoli richiede la comprensione dei loro mondi attraverso una solidarietà sull’esempio di quella di Cristo, sostenuta da studi sociali, culturali e antropologici. Ma come noi missionari andiamo in questi mondi, così vediamo questi stessi mondi venire da noi. Popoli o nazioni sono in costante movimento. Migranti, rifugiati, mass media, tecnologia digitale hanno offuscato i confini. Non c’è una Chiesa che invia soltanto missionari come non c’è una Chiesa che riceve soltanto missionari. Solo Dio invia. Ed è anche Dio che viene. Noi siamo tutti inviati. E tutti noi riceviamo. I vescovi e il clero devono comprendere i nuovi mondi a cui sono inviati e che stanno arrivando nei loro mondi. Occorrono apprendimento esperienziale e comprensione compassionevole mentre entriamo nel fenomeno sempre più complesso e ambiguo che abbiamo di fronte. Un atteggiamento di ascolto, apprendimento, dialogo, pazienza e disponibilità a essere sorpresi permetterebbero loro di discernere la presenza attiva dello Spirito Santo, che è il principale agente di missione. 
Gesù ha compiuto la sua missione di predicare la buona novella, riunire un nuovo popolo e testimoniare il potere del Regno di Dio soprattutto attraverso il suo incontro diretto con le persone. I versi iniziali della prima lettera di san Giovanni descrivono la missione “metodologica” degli apostoli: essi cominciano con il loro incontro personale con Gesù che a turno condividono con le persone che incontrano di modo che, nella fede, queste persone possano incontrare la persona di Gesù. Il lavoro missionario oggigiorno trae vantaggio da un modo di vedere razionale, dalla pianificazione e dall’assetto organizzativo. Nel nostro mondo sempre di corsa e in rapido cambiamento, sono indispensabili approcci sistematici alla missione. I vescovi e il clero devono imparare e sviluppare nuove capacità per il bene della missione locale e universale. Ma i vescovi e il clero devono anche capire che quando le circostanze non consentono l’attuazione dei nostri piani e della nostra organizzazione, la missione evangelizzatrice può e deve continuare attraverso semplici incontri umani. Incontrare le persone anche in momenti e in luoghi inaspettati o non programmati potrebbe costituire un terreno fertile per la missione. Inoltre un incontro da persona a persona non comporta grandi costi economici. La missione non deve dipendere ogni volta dalla disponibilità di risorse economiche. Quando due persone s’incontrano, avviene la missione. I vescovi e il clero devono sfruttare tutte le loro capacità relazionali e cogliere tutte le opportunità di incontri umani nella promozione della missione. Lo stesso vescovo e il clero dovrebbero essere incarnazione contemporanea della missione di Gesù.
L'Osservatore Romano