venerdì 3 aprile 2015

Celebrazione della Passione del Signore nella Basilica Vaticana. Omelia di p. Raniero Cantalamessa o.f.m.




Celebrazione della Passione del Signore. Predica del P. Raniero Cantalamessa del Venerdì Santo 2015 nella Basilica di San Pietro. "I cristiani non sono certamente le sole vittime della violenza omicida che c’è nel mondo, ma non si può ignorare che in molti paesi essi sono le vittime designate e più frequenti"
[Text: Italiano, Français, English, Español, Português]
“ECCE HOMO!”
Abbiamo appena ascoltato il racconto del processo di Gesù di fronte a Pilato. C’è in esso un momento sul quale una volta tanto dobbiamo soffermarci.
“Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: “Salve, re dei Giudei!”. E gli davano schiaffi. […] Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: Ecce homo! “Ecco l'uomo!” (Gv 19, 1-5). 

Tra gli innumerevoli dipinti che hanno per tema l’Ecce Homo, ce n’è uno che mi ha sempre impressionato. È del pittore fiammingo del secolo XVI, Jan Mostaert, e si trova alla National Gallery di Londra. Cerco di descriverlo. Servirà a imprimerci meglio nella mente l’episodio, dal momento che il pittore non fa che trascrivere fedelmente a colori i dati del racconto evangelico, soprattutto quello di Marco (Mc 15,16-20).



Gesù ha in capo una corona di spine. Un fascio di arbusti spinosi che si trovava nel cortile, preparato forse per accendere il fuoco, ha suggerito ai soldati l’idea di questa crudele parodia della sua regalità. Dal capo di Gesù scendono gocce di sangue. Ha la bocca semiaperta, come chi fa fatica a respirare. Sulle spalle gli è posto un mantello pesante e consunto, più simile a latta che a stoffa. E sono spalle solcate dai colpi recenti della flagellazione! Ha i polsi legati a due ritorte con una rozza fune; in una mano gli hanno messo una canna a modo di scettro e nell’altra un fascio di verghe, simboli beffardi della sua regalità. Gesù non può più muovere neppure un dito; è l’uomo ridotto all’impotenza più totale, il prototipo di tutti gli ammanettati della storia.
Meditando sulla Passione, il filosofo Blaise Pascal scrisse un giorno queste parole: “Cristo è in agonia fino alla fine del mondo: non bisogna dormire durante questo tempo”. C’è un senso in cui queste parole si applicano alla persona stessa di Gesù, cioè al capo del corpo mistico, non solo alle sue membra. Non, nonostante che ora è risorto e vivo, ma proprio perché è risorto e vivo. Ma lasciamo da parte questo significato troppo misterioso per noi e parliamo del senso più certo di quelle parole. Gesú è in agonia fino alla fine del mondo in ogni uomo o donna sottoposti agli stessi suoi tormenti. “L’avete fatto a me!” (Mt, 25, 40): questa sua parola, egli non l’ha detta solo dei credenti in lui; l’ha detta di ogni uomo e di ogni donna affamati, nudi, maltrattati, carcerati.
Per una volta non pensiamo alle piaghe sociali, collettive: la fame, la povertà, l’ingiustizia, lo sfruttamento dei deboli. Di esse si parla spesso - anche se mai abbastanza -, ma c’è il rischio che diventino delle astrazioni. Categorie, non persone. Pensiamo piuttosto alle sofferenze dei singoli, delle persone con un nome e un’identità precise; alle torture decise a sangue freddo e inflitte volontariamente, in questo stesso momento, da esseri umani ad altri esseri umani, perfino a dei bambini.
Quanti “Ecce homo” nel mondo! Mio Dio, quanti “Ecce homo”! Quanti prigionieri che si trovano nelle stesse condizioni di Gesú nel pretorio di Pilato: soli, ammanettati, torturati, in balia di militari rozzi e pieni di odio, che si abbandonano a ogni sorta di crudeltà fisica e psicologica, divertendosi a veder soffrire. “Non bisogna dormire, non bisogna lasciarli soli!”
L’esclamazione “Ecce homo!” non si applica solo alle vittime, ma anche ai carnefici. Vuole dire: ecco di che cosa è capace l’uomo! Con timore e tremore, diciamo pure: ecco di che cosa siamo capaci noi uomini! Altro che la marcia inarrestabile dell’homo sapiens sapiens, l’uomo che, secondo qualcuno, doveva nascere dalla morte di Dio e prenderne il posto ii.
* * *
I cristiani non sono certamente le sole vittime della violenza omicida che c’è nel mondo, ma non si può ignorare che in molti paesi essi sono le vittime designate e più frequenti. (...) Gesù disse un giorno ai suoi discepoli: “Viene l'ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere onore a Dio” (Gv 16, 2). Mai forse queste parole hanno trovato, nella storia, un compimento così puntuale come oggi.
Un vescovo del III secolo, Dionigi di Alessandria, ci ha lasciato la testimonianza di una Pasqua celebrata dai cristiani durante la feroce persecuzione dell’imperatore romano Decio: “Ci esiliarono e, soli fra tutti, fummo perseguitati e messi a morte. Ma anche allora abbiamo celebrato la Pasqua. Ogni luogo dove si pativa divenne per noi un posto per celebrare la festa: fosse un campo, un deserto, una nave, una locanda, una prigione. I martiri perfetti celebrarono la più splendida delle feste pasquali, essendo ammessi al festino celeste”iii. Sarà così per molti cristiani anche la Pasqua di questo anno, il 2015 dopo Cristo.
C’è stato qualcuno che ha avuto il coraggio di denunciare, da laico, la inquietante indifferenza delle istituzioni mondiali e dell’opinione pubblica di fronte a tutto ciò, ricordando a che cosa una tale indifferenza ha portato nel passato iv. Rischiamo di essere tutti, istituzioni e persone del mondo occidentale, dei Pilati che si lavano le mani.
A noi, però, in questo giorno non è consentito fare alcuna denuncia. Tradiremmo il mistero che stiamo celebrando. Gesú morì gridando: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23, 34). Questa preghiera non è semplicemente mormorata a fior di labbra; è gridata perché la si oda bene. Anzi non è neppure una preghiera, è una richiesta perentoria, fatta con l’autorità che gli viene dall’essere il Figlio: “Padre, perdona loro!” E poiché lui stesso ha detto che il Padre ascoltava ogni sua preghiera (Gv 11, 42), dobbiamo credere che ha ascoltato anche questa sua ultima preghiera dalla croce, e che quindi i crocifissori di Cristo sono stati perdonati da Dio (certo, non senza essersi prima, in qualche modo, ravveduti) e sono con lui in paradiso, a testimoniare per l’eternità fin dove è stato capace di spingersi l’amore di Dio.
L’ignoranza, per se, si verificava esclusivamente nei soldati. Ma la preghiera di Gesú non si limita ad essi. La grandezza divina del suo perdono consiste nel fatto che è offerto anche ai suoi più accaniti nemici. Proprio per loro adduce la scusante dell' ignoranza. Anche se hanno agito con astuzia e cattiveria, in realtà non sapevano ciò che facevano, non pensavano di mettere in croce un uomo che era realmente Messia e Figlio di Dio! Invece di accusare i suoi avversari, oppure di perdonare affidando al Padre celeste la cura di vendicarlo, egli li difende.
Il suo esempio propone ai discepoli una generosità infinita. Perdonare con la sua stessa grandezza d'animo non può comportare semplicemente un atteggiamento negativo, con cui si rinuncia a volere il male per chi fa del male; deve tradursi invece in una volontà positiva di fare loro del bene, se non altro con una preghiera  rivolta a Dio, in loro favore. “Pregate per quelli che vi perseguitano” (Mt 5, 44). Questo perdono non può trovare neppure un compenso nella speranza di un castigo divino. Deve essere ispirato da una carità che scusa il prossimo, senza tuttavia chiudere gli occhi di fronte alla verità, ma cercando anzi di fermare i malvagi in modo che non facciano altro male agli altri e a se stessi.
Ci verrebbe da dire: “Signore, ci chiedi l’impossibile!” Ci risponderebbe: “Lo so, ma io sono morto per potervi dare ciò che vi chiedo. Non vi ho dato solo il comando di perdonare e neppure soltanto un esempio eroico di perdono; con la mia morte vi ho procurato la grazia che vi rende capaci di perdonare. Io non ho lasciato al mondo solo un insegnamento sulla misericordia, come hanno fatto tanti altri. Io sono anche Dio e ho fatto scaturire per voi dalla mia morte fiumi di misericordia. Da essi potete attingere a piene mani nell’anno giubilare della misericordia che vi sta davanti”.
* * *
Allora, dirà qualcuno, seguire Cristo è un votarsi sempre passivamente alla sconfitta e alla morte? Al contrario! “Abbiate coraggio”, egli disse ai suoi apostoli prima di avviarsi alla passione: “Io ho vinto il mondo” (Gv 16, 33). Cristo ha vinto il mondo, vincendo il male del mondo. La vittoria definitiva del bene sul male, che si manifesterà alla fine dei tempi, è già avvenuta, di diritto e di fatto, sulla croce di Cristo. “Ora –diceva – è il giudizio di questo mondo” (Gv 12, 31). Da quel giorno il male è perdente; tanto più perdente, quanto più sembra trionfare. È già giudicato e condannato in ultima istanza, con una sentenza inappellabile.
Gesù ha vinto la violenza non opponendo ad essa una violenza più grande, ma subendola e mettendone a nudo tutta l’ingiustizia e l’inutilità. Ha inaugurato un nuovo genere di vittoria che sant’Agostino ha racchiuso in tre parole: “Victor quia victima – Vincitore perché vittima”v. Fu “vedendolo morire così”, che il centurione romano esclamò: “Veramente, quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc 15, 39). Gli altri si chiedevano cosa significasse l’”alto grido” che Gesú emise morendo (Mc 15, 37). Lui che era esperto di combattenti e di combattimenti, riconobbe subito che era un grido di vittoria (vi).
Il problema della violenza ci assilla, ci scandalizza, oggi che essa ha inventato forme nuove e spaventose di crudeltà e di barbarie. Noi cristiani reagiamo inorriditi all’idea che si possa uccidere in nome di Dio. Qualcuno però obietta: ma la Bibbia non è anch’essa piena di storie di violenza? Non è, Dio, chiamato “il Signore degli eserciti”? Non è attribuito a lui l’ordine di votare allo sterminio intere città? Non è lui che prescrive, nella Legge mosaica, numerosi casi di pena di morte?
Se avessero rivolto a Gesù, durante la sua vita, la stessa obiezione, egli avrebbe sicuramente risposto ciò che rispose a proposito del divorzio: “Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così” (Mt 19, 8). Anche a proposito della violenza, “al principio non era così”. Il primo capitolo della Genesi ci presenta un mondo dove non è neppure pensabile la violenza, né degli esseri umani tra di loro, né tra gli uomini e gli animali. Neppure per vendicare la morte di Abele, dunque per punire un assassino, è lecito uccidere (cf Gn 4, 15).
Il genuino pensiero di Dio è espresso dal comandamento “Non uccidere”, più che dalle eccezioni fatte ad esso nella Legge, che sono concessioni alla “durezza del cuore” e dei costumi degli uomini. La violenza, dopo il peccato, fa parte purtroppo della vita, e l’Antico Testamento, che riflette la vita e deve servire per la vita, cerca almeno, con la sua legislazione e con la stessa pena di morte, di incanalare e arginare la violenza perché non degeneri in arbitrio personale e non ci si sbrani a vicendavii.
Paolo parla di un tempo caratterizzato dalla “tolleranza” di Dio (Rm 3, 25). Dio tollera la violenza, come tollera la poligamia, il divorzio e altre cose, ma viene educando il popolo verso un tempo in cui il suo piano originario verrà “ricapitolato” e rimesso in onore, come per una nuova creazione. Questo tempo è arrivato con Gesù che, sul monte, proclama: “Avete inteso che fu detto: ‘Occhio per occhio e dente per dente’; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra… Avete inteso che fu detto: ‘Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico’; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori” (Mt 5, 38-39; 43-44).
Il vero “discorso della montagna” che ha cambiato il mondo non è però quello che Gesù pronunciò un giorno su una collina della Galilea, ma quello che proclama ora, silenziosamente, dalla croce. Sul Calvario egli pronuncia un definitivo “No!” alla violenza, opponendo ad essa, non semplicemente la non-violenza, ma, di più, il perdono, la mitezza e l’amore. Se ci sarà ancora violenza, essa non potrà più, neppure remotamente, richiamarsi a Dio e ammantarsi della sua autorità. Farlo significa far regredire l’idea di Dio a stadi primitivi e grossolani, superati dalla coscienza religiosa e civile dell’umanità.
* * *
I veri martiri di Cristo non muoiono con i pugni chiusi, ma con le mani giunte. Ne abbiamo avuto tanti esempi recenti. È lui che ai 21 cristiani copti uccisi dall’ISIS in Libia il 22 Febbraio scorso, ha dato la forza di morire sotto i colpi, mormorando il nome di Gesú. E anche noi preghiamo:
“Signore Gesù Cristo, ti preghiamo per i nostri fratelli di fede perseguitati, e per tutti gli Ecce homo che ci sono, in questo momento, sulla faccia della terra, cristiani e non cristiani. Maria, sotto la croce tu ti sei unita al Figlio e hai mormorato dietro di lui: “Padre, perdona loro!”: aiutaci a vincere il male con il bene, non solo sullo scenario grande del mondo, ma anche nella vita quotidiana, dentro le stesse mura di casa nostra. Tu, che, “soffrendo col Figlio tuo morente sulla croce, hai cooperato in modo tutto speciale all’opera del Salvatore con l’obbedienza, la fede, la speranza e l’ardente carità”viii, ispira agli uomini e alle donne del nostro tempo pensieri di pace, di misericordia. E di perdono. Così sia”.
Note per tutti i testi
i Blaise Pascal, “Il mistero di Gesú” (Pensieri, ed. Brunschvicg, n. 553).
ii F. Nietzsche, La gaia scienza,III, 125.
iii Dionigi di Alessandria, in Eusebio, Storia eccl., VII, 22, 4.
iv Ernesto Galli della Loggia, “L’indifferenza che uccide”, in “Corriere della sera” 28 Luglio 2014, p. 1.
v S.Agostino, Confessioni, X, 43.
vi Cf. F. Topping “An impossible God”.
vii Cf R. Girard, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, Adelphi, Milano 19963.
viii Lumen gentium, n. 61.

FRANCESE
« ECCE HOMO! »
Prédication du Vendredi Saint 2015 en la basilique Saint-Pierre
Nous venons d’écouter l’histoire du procès de Jésus devant Pilate. Dans ce récit il y a un passage qui mérite, pour une fois, qu’on s’y attarde. 
« Alors Pilate fit saisir Jésus pour qu’il soit flagellé. Les soldats tressèrent avec des épines une couronne qu’ils lui posèrent sur la tête ; puis ils le revêtirent d’un manteau pourpre. Ils s’avançaient vers lui et ils disaient : « Salut à toi, roi des Juifs ! » Et ils le giflaient. […] Jésus donc sortit dehors, portant la couronne d’épines et le manteau pourpre. Et Pilate leur déclara : Ecce homo!« Voici l’homme. » (Jn 19, 1-5). 
Parmi les innombrables peintures qui ont pour thème l’Ecce Homo, il y en a une qui m’a toujours impressionné. Celle du peintre flamant du XVIème siècle, Jan Mostaert, exposée à la National Gallery de Londres. Je vais essayer de la décrire. Cela servira à mieux fixer cet épisode dans nos esprits, étant donné que l’artiste y dépeint fidèlement les éléments trouvés dans le récit évangélique, surtout dans celui de Marc (Mc 15,16-20).
Jésus porte sur la tête une couronne d’épines. Un petit tas d’arbustes épineux qui se trouvait dans la cour, et probablement préparé pour allumer du feu, a suggéré aux soldats l’idée de cette cruelle parodie de sa royauté. Des gouttes de sang s’écoulent du crâne de Jésus. Il a la bouche semi-ouverte, comme quelqu’un qui a du mal à respirer. Sur ses épaules a été posé un lourd manteau tout usé, ressemblant plus à du fer blanc qu’à du tissu. Le dos est sillonné des récents coups de fouets de la flagellation! Deux liens enserrent ses poignets, tenus par une corde rugueuse; dans une main on lui a mis une branche de roseau en guise de sceptre et dans l’autre un petit bouquet de joncs, pour symboliser ironiquement sa royauté. Jésus ne peut plus bouger, même pas le petit doigt; l’homme réduit à l’impuissance la plus totale, le prototype de toutes les personnes menottées de l’histoire.
Un jour, en méditant sur la Passion, le philosophe Blaise Pascal a écrit ceci: « Jésus sera en agonie jusqu’à la fin du monde: il ne faut pas dormir pendant ce temps-là »viii. Il y a un sens où ces paroles s’appliquent à la personne même de Jésus, c’est-à-dire à la tête du corps mystique, pas seulement à ses membres. Non pas, bien qu’il soit maintenant ressuscité et vivant, mais précisément parce qu’il est ressuscité et vivant. Mais laissons de côté cette signification trop mystérieuse pour nous et parlons du sens plus sûr de ces paroles. Jésus est en agonie jusqu’à la fin du monde dans tout homme ou toute femme soumis aux mêmes tourments. « C’est à moi que vous l’avez fait! » (Mt, 25, 40): cette parole, il ne l’a pas dite seulement pour des croyants en Lui; il l’a dite pour tout homme et toute femme, affamés, nus, maltraités, en prison. 
Pour une fois ne pensons pas aux fléaux sociaux, collectifs : faim, pauvreté, injustice, exploitation du plus faible. On en parle souvent – bien que cela ne soit jamais assez -, mais il y a le risque que ceux-ci deviennent des abstractions. Des catégories, et non des personnes. Alors pensons plutôt aux souffrances des individus, celles de personnes avec un nom et une identité précises ; aux tortures décidées froidement et infligées volontairement, en ce même moment, par des êtres humains à d’autres êtres humains, voire même à des enfants. 
Que de « Ecce homo » dans le monde ! Mon Dieu, que de « Ecce homo » ! Que de prisonniers se trouvant dans les mêmes conditions que Jésus dans le prétoire de Ponce Pilate : seuls, menottés, torturés, à la merci de grossiers militaires plein de haine se laissant aller à toute sorte de cruauté physique et psychologique, s’amusant à les voir souffrir. « Il ne faut pas dormir, il ne faut pas les laisser seuls ! » 
L’exclamation « Ecce homo! » ne s’applique pas qu’aux victimes, mais également aux bourreaux. Cela veut dire: voici de quoi l’homme est capable! Avec crainte et frisson, disons plutôt : voici de quoi, nous les hommes, nous sommes capables ! On est loin de la marche sans fin de l’homo sapiens, l’homme qui, selon quelqu’un, devait naître de la mort de Dieu et prendre sa placeviii.
* * *
Les chrétiens ne sont certes pas les seules victimes de la violence meurtrière qui règne sur terre, mais on ne saurait ignorer que dans un grand nombre de pays ils sont les victimes désignées et les plus fréquentes. Jésus a dit un jour à ses disciples : « L’heure vient où tous ceux qui vous tueront s’imagineront qu’ils rendent un culte à Dieu » (Jn 16, 2). Jamais ces paroles n’ont probablement été si vraies qu’en ce moment de l’histoire. 
Un évêque du IIIe siècle, Denys d’Alexandrie, nous a laissé le témoignage d’une Pâque célébrée par les chrétiens durant la féroce persécution de l’empereur romain Dèce: «Ils nous ont exilés, et seuls cependant persécutés par tous et sous les coups de la mort, nous avons célébré la fête même alors ; et chacun des lieux de notre affliction, nous est devenu un lieu de solennité, campagne, désert, vaisseau, hôtellerie, prison; les martyrs parfaits y ont célébré une fête, la plus brillante de toutes, ils prenaient part au festin du ciel. »viii. Il en sera de même pour tant de chrétiens à la fête de Pâques de cette année, l’année 2015 après Jésus-Christ.
Il y a quelqu’un qui, dans la presse laïque, a eu le courage de dénoncer l’inquiétante indifférence des institutions mondiales et de l’opinion publique face à tout cela, rappelant à quoi avait porté une telle indifférence par le passéviii. Nous risquons tous – institutions et individus du monde occidental – de devenir des Ponce Pilate qui se lavent les mains. 
Mais nous, à ce jour, il ne nous est pas permis de porter des accusations. Nous trahirions le mystère que nous sommes en train de célébrer. Jésus est mort après avoir crié: « Père, pardonne-leur, ils ne savent pas ce qu’ils font » (Lc 23, 34). Cette prière n’est pas une prière murmurée sur le bout des lèvres, mais criée pour qu’on l’entende bien. Je dirais même que ce n’est pas une prière mais une requête péremptoire, faite avec l’autorité de celui qui se sait le Fils: « Père, pardonne-leur ! » Et puisque lui-même a dit que le Père écoutait chacune de ses prière (Jn 11, 42), nous devons croire qu’il a écouté aussi la dernière, prononcée sur la croix, et que ceux qui l’ont crucifié ont donc été pardonnés par Dieu (certes, non sans s’être d’abord repentis d’une manière ou d’une autre) et qu’ils sont avec lui au paradis, témoignant pour l’éternité jusqu’où l’amour de Dieu a été capable d’aller.
En soi, l’ignorance ne concernait que les soldats. Mais la prière de Jésus ne se limite pas à eux. La grandeur divine de son pardon repose sur le fait qu’il est donné aussi à ses plus farouches ennemis. Bien qu’ils aient agi avec ruse et méchanceté, en réalité ils ne savaient ce qu’ils faisaient, ne pensaient pas mettre en croix un homme qui était vraiment le Messie et le Fils de Dieu ! Au lieu d’accuser ses adversaires, ou de pardonner en confiant au Père céleste le soin de le venger, il les défend. 
Son exemple propose aux disciples une générosité infinie. Pardonner avec la même grandeur d’âme que lui ne saurait se traduire par un comportement « négatif » où l’on se limiterait à renoncer à vouloir le mal de ceux qui font du mal, au lieu de faire preuve d’une volonté « positive » en voulant leur faire du bien, même seulement en adressant à Dieu une prière en leur faveur. « Priez pour ceux qui vous persécutent » (Mt 5, 44). Ce pardon ne saurait non plus trouver de compensation dans l’espérance d’un châtiment divin. Il doit s’inspirer d’une charité qui excuse le prochain, sans fermer pour cela les yeux devant la vérité, mais en cherchant au contraire à stopper les méchants afin qu’ils ne fassent plus de mal aux autres et à eux-mêmes. 
On serait tenté de dire : « Seigneur, tu nous demandes l’impossible! », ce à quoi il nous répondrait: « Je sais, mais je suis mort pour pouvoir vous donner ce que je vous demande. Je ne vous ai pas seulement donné l’ordre de pardonner ni donné un simple exemple héroïque de pardon; avec ma mort je vous ai procuré la grâce qui vous rend capables de pardonner. Je n’ai pas seulement laissé au monde un enseignement sur la miséricorde, comme tant d’autres ont fait. Je suis Dieu aussi et j’ai fait jaillir pour vous de ma mort des flots de miséricorde. Vous avez toute l’année jubilaire de la miséricorde pour puiser dans ces eaux à pleines mains ».
* * *
Suivre le Christ, diront certains, consiste alors à s’abandonner toujours passivement à l’échec et à la mort ? Au contraire ! « Prenez courage » dit-il à ses disciples avant d’entamer sa passion : « Moi, je suis vainqueur du monde » (Jn 16, 33). Jésus a vaincu le monde, en triomphant du mal. La victoire définitive du bien contre le mal, qui se manifestera à la fin des temps, a déjà eu lieu, de fait et de droit, sur la croix du Christ. « Maintenant a lieu – disait-il – le jugement de ce monde » (Jn 12, 31). Depuis ce jour-là le mal est perdant; d’autant plus perdant qu’il semble triompher. Il est déjà jugé et condamné en dernière instance, lors d’un jugement final.
Jésus a vaincu la violence, non en lui opposant une violence plus grande, mais en la subissant et mettant à nu toute l’injustice et l’inutilité qui la caractérise. Il a inauguré un nouveau genre de victoire que saint Augustin a définie en trois mots: « Victor quia victima – Vainqueur parce que victime »viii. C’est en voyant « comment il avait expiré » que le centurion s’écria : «  Vraiment, cet homme était Fils de Dieu ! » (Mc 15, 39). Les autres se demandaient ce que pouvait signifier le « grand cri » poussé par jésus avant de mourir (Mc 15, 37). Lui qui s’y connaissait en combattants et en combats, a reconnu toute de suite qu’il s’agissait d’un cri de victoireviii.
Le problème de la violence, qui a pris aujourd’hui de nouvelles formes épouvantables de cruauté et de barbarie, nous harcèle, nous scandalise. Nous chrétiens, nous réagissons horrifiés à l’idée que l’on puisse tuer au nom de Dieu. Mais quelqu’un rétorque : la Bible n’est-elle pas elle aussi pleine d’histoires de violence ? Dieu n’est-il appelé « le Seigneur des armées » ? N’est-ce pas à Lui que l’on attribue l’ordre d’exterminer des villes entières ? N’est-ce pas Lui qui prescrit, dans la Loi de Moïse, de nombreux cas de peine de mort ?
Si cette même objection avait été faite à Jésus, de son vivant, celui-ci aurait sûrement répondu ce qu’il répondit à propos du divorce : « C’est en raison de la dureté de votre cœur que Moïse vous a permis de renvoyer vos femmes. Mais au commencement, il n’en était pas ainsi. » (Mt 19, 8). Et à propos aussi de la violence, « au commencement il n’en était pas ainsi ». Le premier chapitre de la Genèse nous présente un monde où la violence des êtres humains entre eux, et entre les hommes et les animaux, est inimaginable. Pas même pour venger la mort d’Abel, donc pour punir un assassin, il n'est licite de tuer (cf. Gn. 4, 15). 
La pensée de Dieu est résumée dans le commandement « Ne pas tuer », plus que dans les exceptions jointes à la Loi, qui sont des concessions à la « dureté du cœur » et des coutumes des hommes. La violence, après le péché, fait hélas partie de la vie, et l’Ancien Testament, qui est le miroir de la vie et doit servir pour la vie, cherche au moins, par les lois et même la peine de mort, à canaliser et endiguer la violence afin d’éviter qu’elle ne dégénère en arbitrage personnel et que nous nous déchirions entre nousviii. 
Paul parle d’une époque caractérisée par la « tolérance » de Dieu (Rm 3, 25). Dieu tolère la violence, comme il tolère la polygamie, le divorce et autres choses, mais il vient en éduquant le peuple à aller vers une époque où son plan originel serait « récapitulé » et remis à l’honneur, comme pour une nouvelle création. Cette époque est arrivée avec Jésus qui, sur la montagne, proclame : « Vous avez appris qu’il a été dit : Œil pour œil, et dent pour dent. Eh bien ! Moi, je vous dis de ne pas riposter au méchant ; mais si quelqu’un te gifle sur la joue droite, tends-lui encore l’autre… Vous avez appris qu’il a été dit : Tu aimeras ton prochain et tu haïras ton ennemi. Eh bien ! Moi, je vous dis : Aimez vos ennemis, et priez pour ceux qui vous persécutent » (Mt 5, 38-39; 43-44). 
Le vrai « discours de la montagne » qui a changé le monde n’est pas celui que Jésus prononça un jour sur la colline de Galilée, mais celui qu’il proclame maintenant, silencieusement, sur la croix. Au Calvaire il prononce un « Non ! » définitif à la violence, opposant à celle-ci, non seulement la non-violence, mais plus encore, le pardon, la douceur et l’amour. Et s’il devait encore y avoir de la violence, celle-ci ne pourrait plus, même à distance, recourir à Dieu et se couvrir de son autorité. Le faire serait faire reculer l’idée de Dieu à des stades primitifs et grossiers, dépassés par la conscience religieuse et civile de l’humanité. 
* * *
Les vrais martyrs ne meurent pas les poings fermés, mais les mains jointes. Nous avons eu tant d’exemples récents. C’est Dieu qui aux 21 chrétiens coptes tués par les djihadistes de l’État islamique en Libye le 22 février dernier, a donné la force de mourir sous les coups, murmurant le nom de Jésus. Nous aussi prions :
« Seigneur Jésus-Christ, nous te prions pour nos frères persécutés, et pour tous les Ecce homo présents, en ce moment, sur la face de la terre, chrétiens et non chrétiens. Marie, sous la croix, tu t’es unie au Fils et tu as murmuré après lui : « Père pardonne-leur ! »: aide-nous à vaincre le mal par le bien, sur la grande scène du monde, mais aussi dans la vie quotidienne, entre nos murs domestiques. Toi, qui, « en souffrant avec ton Fils qui mourait sur la croix, apportas à l’œuvre du Sauveur une coopération absolument sans pareille par ton obéissance, ta foi, ton espérance, ton ardente charité »viii, inspire aux hommes et aux femmes de notre temps des pensées de paix, de miséricorde. Et de pardon. Ainsi soit-il.
Traduction de Zenit
INGLESE
“ECCE HOMO!”
Good Friday Sermon in 2015 in St. Peter’s Basilica
We have just heard the account of Jesus’ trial before Pilate. There is one point in particular in that account on which we need to pause.
Then Pilate took Jesus and scourged him. And the soldiers plaited a crown of thorns, and put it on his head, and clothed him in a purple robe; they came up to him, saying, “Hail King of the Jews!” and struck him with their hands. . . . So Jesus came out, wearing the crown of thorns and the purple robe. Pilate said to them, “Here is the man!” [Ecce Homo!] ( Jn 19:1-3, 5)
Among the innumerable paintings that have the Ecce Homo as their subject, there is one that has always impressed me. It is by the sixteenth-century Flemish painter, Jan Mostaert. Let me try to describe it. It will help imprint the episode better in our minds, since the artist only transcribes faithfully in paint the facts of the gospel account, especially that of Mark (see Mk 15:16-20).
Jesus has a crown of thorns on his head. A sheaf of thorny branches found in the courtyard, perhaps to light a fire, furnished the soldiers an opportunity for this parody of his royalty. Drops of blood run down his face. His mouth is half open, like someone who is having trouble breathing. On his shoulders there is heavy and worn-out mantle, more similar to tinplate than to cloth. His shoulders have cuts from recent blows during his flogging. His wrists are bound together by a coarse rope looped around twice. They have put a reed in one of his hands as a kind of scepter and a bundle of branches in the other, symbols mocking his royalty. Jesus cannot move even a finger; this is a man reduced to total powerlessness, the prototype of all the people in history with their hands bound.
Meditating on the passion, the philosopher Blaise Pascal wrote these words one day: “Christ will be in agony until the end of the world; we must not sleep during this time.”viii There is a sense in which these words apply to the person of Christ himself, that is, to the head of the mystical body, and not just to its members. Not despite being risen and alive now but precisely because he is risen and alive. But let us leave aside this meaning that is too enigmatic and talk instead about the most obvious meaning of these words. Jesus is in agony until the end of the world in every man or woman who is subjected to his same torments. “You did it to me!” (Matt 25:40). He said these words not only about believers in him; he also said it about every man or woman who is hungry, naked, mistreated, or incarcerated. 
For once let us not think about social evils collectively: hunger, poverty, injustice, the exploitation of the weak. These evils are spoken about often (even if it is never enough), but there is the risk that they become abstractions—categories rather than persons. Let us think instead of the suffering of individuals, people with names and specific identities; of the tortures that are decided upon in cold blood and voluntarily inflicted at this very moment by human beings on other human beings, even on babies. 
How many instances of “Ecce homo” (“Behold the man!”) there are in the world! How many prisoners who find themselves in the same situation as Jesus in Pilate’s praetorium: alone, hand-cuffed, tortured, at the mercy of rough soldiers full of hate who engage in every kind of physical and psychological cruelty and who enjoy watching people suffer. “We must not sleep; we must not leave them alone!” 
The exclamation “Ecce homo!” applies not only to victims but also to the torturers. It means, “Behold what man is capable of!” With fear and trembling, let us also say, “Behold what we human beings are capable of!” How far we are from the unstoppable march forward, from the homo sapiens sapiens (the enlightened modern human being), from the kind of man who, according to someone, was to be born from the death of God and replace him! viii
* * *
Christians are of course not the only victims of homicidal violence in the world, but we cannot ignore the fact that in many countries they are the most frequently intended victims. Jesus said to his disciples one day, “The hour is coming when whoever kills you will think he is offering service to God” (Jn 16:2). Perhaps never before have these words found such precise fulfillment as they do today.
A third-century bishop, Dionysius of Alexandria, has left us a testimony of an Easter celebrated by Christians during the fierce persecutions by the Roman emperor Decius:
First we were set on and surrounded by persecutors and murderers, yet we were the only ones to keep festival even then. Every spot where we were attacked became for us a place for celebrations whether field, desert, ship, inn, or prison. The most brilliant festival of all was kept by the fulfilled martyrs, who were feasted in heaven.viii
This is the way Easter will be for many Christians this year, 2015 after Christ.
There was someone who, in the secular press, had the courage to denounce the disturbing indifference of world institutions and public opinion in the face of all this killing of Christians, recalling what such indifference has sometimes brought about in the past.viii All of us and all our institutions in the West risk being Pilates who wash our hands.
However, we are not allowed to make any denunciations today. We would be betraying the mystery we are celebrating. Jesus died, crying out, “Father, forgive them; for they know not what they do” (Lk 23:34). This prayer was not simply murmured under his breath; it was cried out so that people could hear it well. Neither is it even a prayer; it is a peremptory request made with the authority that comes from being the Son: ”Father, forgive them!” And since he himself had said that the Father heard all his prayers (see Jn 11:42), we have to believe that he heard this last prayer from the cross and consequently that the crucifiers of Christ were then forgiven by God (not of course without in some way being repentant) and are with him in paradise, to testify for all eternity to what extremes the love of God is capable of going.
Ignorance, per se, existed exclusively among the soldiers. But Jesus’ prayer is not limited to them. The divine grandeur of his forgiveness consists in the fact that it was also offered to his most relentless enemies. The excuse of ignorance is brought forward precisely for them. Even though they acted with cunning and malice, in reality they did not know what they were doing; they did not think they were nailing to the cross a man who was actually the Messiah and the Son of God! Instead of accusing his adversaries, or of forgiving them and entrusting the task of vengeance to his heavenly Father, he defended them. 
He presents his disciples with an example of infinite generosity. To forgive with his same greatness of soul does not entail just a negative attitude through which one renounces wishing evil on those who do evil; it has to be transformed instead into a positive will to do good to them, even if it is only by means of a prayer to God on their behalf. “Pray for those who persecute you” (Matt 5:44). This kind of forgiveness cannot seek recompense in the hope of divine punishment. It must be inspired by a charity that excuses one’s neighbor without, however, closing one’s eyes to the truth but, on the contrary, seeing to stop evildoers in such a way that they will do no more harm to others and to themselves.
We might want to say, “Lord, you are asking us to do the impossible!” He would answer, “I know, but I died to give you what I am asking of you. I not only gave you the command to forgive and not only an heroic example of forgiveness, but through my death I also obtained for you the grace that enables you to forgive. I did not give the world just a teaching on mercy as so many others have. I am also God and I have poured out for you rivers of mercy through my death. From them you can draw as much mercy as you want during the coming jubilee year of Mercy.” 
***
Someone could say, “So then, does following Christ always mean surrendering oneself passively to defeat and to death?” On the contrary! He says to his disciples, “Be of good cheer” before entering into his passion: “I have overcome the world” (Jn 16:33). Christ has overcome the world by overcoming the evil of the world. The definitive victory of good over evil that will be manifested at the end of time has already come to pass, legally and de facto, on the cross of Christ. “Now,” he said, “is the judgment of this world” (Jn 12:31). From that day forth, evil is losing, and it is losing that much more when it seems to be triumphing more. It has already been judged and condemned in its ultimate expression with a sentence that cannot be appealed.
Jesus overcame violence not by opposing it with a greater violence but by enduring it and exposing all its injustice and futility. He inaugurated a new kind of victory that St. Augustine summed up in three words: “Victor quia victima: “Victor because victim.”viii It was seeing him die this way that caused the Roman centurion to exclaim, “Truly this man was the Son of God!” (Mk 15:39). Others asked themselves what the “loud cry” emitted by the dying Jesus could mean (see Mk 15:37). The centurion, who was an expert in combatants and battles, recognized at once that it was a cry of victory.viii
The problem of violence disturbs us, shocks us, and it has invented new and horrendous forms of cruelty and barbarism today. We Christians are horrified at the idea that people can kill in God’s name. Someone, however, could object, “But isn’t the Bible also full of stories of violence? Isn’t God called ‘the Lord of hosts’? Isn’t the order to condemn whole cities to extermination attributed to him? Isn’t he the one who prescribes numerous cases for the death penalty in the Mosaic Law?”
If they had addressed those same objections to Jesus during his life, he would surely have responded with what he said regarding divorce: “For your hardness of heart Moses allowed you to divorce your wives, but from the beginning it was not so” (Mt 19:8). The same is true for violence: “at the beginning it was not so.” The first chapter of Genesis presents a world where violence is not even thinkable, neither among human beings themselves nor between people and animals. Not even to avenge the death of Abel, and therefore punish a murderer, is it permissible to kill (see Gen 4:15).
God’s true intention is expressed by the commandment “You shall not kill” more than by the exceptions to that command in the law, which are concessions to the “hardness of heart” and to people’s practices. Violence, along with sin, is unfortunately part of life, and the Old Testament, which reflects life and must be useful for life as it is, seeks through its legislation and the penalty of death at least to channel and curb violence so that it does not degenerate into personal discretion and people then tear each other apart.viii 
Paul speaks about a period of time that is characterized by the “forbearance” of God (see Rom 3:25). God forbears violence the way he forbears polygamy, divorce, and other things, but he is preparing people for a time in which his original plan will be “recapitulated” and restored in honor, as though through a new creation. That time arrived with Jesus, who proclaims on the mount, “You have heard that it was said, ‘An eye for an eye and a tooth for a tooth.’ But I say to you, Do not resist one who is evil. But if anyone strikes you on the right check, turn to him the other also. . . . You have heard that it was said, ‘You shall love your neighbor and hate your enemy.’ But I say to you, Love your enemies and pray for those who persecute you” (Matt 5:38-39, 43-44).
The true “Sermon on the Mount” that changed history is not, however, the one spoken on a hill in Galilee but the one now proclaimed, silently, from the cross. On Calvary Christ delivers a definitive “no” to violence, setting in opposition to it not just non-violence but, even more, forgiveness, meekness, and love. Although violence will still continue to exist, it will no longer—not even remotely—be able to link itself to God and cloak itself in his authority. To do so would make the concept of God regress to primitive and crude stages in history that have been surpassed by the religious and civilized conscience of humanity. 
* * *
True martyrs for Christ do not die with clenched fists but with their hands joined in prayer. We have had many recent examples of this. Christ is the one who gave the twenty-one Coptic Christians beheaded in Libya by ISIS this past February 22 the strength to die whispering the name of Jesus. 
Lord Jesus Christ, we pray for our persecuted brothers and sisters in the faith and for all the Ecce Homo human beings who are on the face of the earth at this moment, Christian and non-Christian. Mary, at the foot of the cross you united yourself to your Son, and you whispered, after him, “Father, forgive them!” Help us overcome evil with good, not only on the world scene but also in our daily lives, within the walls of our homes. You “shared his sufferings as he died on the cross. Thus, in a very special way you cooperated by your obedience, faith, hope and burning charity in the work of the Savior.”viii May you inspire the men and women of our time with thoughts of peace and mercy. And of forgiveness. Amen.
SPAGNOLO
“ECCE HOMO!”
Predicación del Viernes Santo 2015 en la Basílica de San Pedro
Acabamos de escuchar la historia del proceso de Jesús frente a Pilato. Hay un momento sobre el que debemos detenernos.. 
“Pilato mandó entonces azotar a Jesús. Los soldados tejieron una corona de espinas y se la pusieron sobre la cabeza. Lo revistieron con un manto rojo, y acercándose, le decían: ‘¡Salve, rey de los judíos!’, y lo abofeteaban. Jesús salió, llevando la corona de espinas y el manto rojo. Pilato les dijo: ¡Ecce homo! ¡Aquí tienen al hombre! (Jn 19, 1-5).
Entre los numerosos cuadros que tienen por tema el Ecce Homo, hay uno que siempre me ha impresionado. Es del pintor flamenco del siglo XVI, Jan Mostaert, y se encuentra en la National Gallery de Londres. Trato de describirlo. Servirá para una mejor impresión en la mente del episodio, ya que el pintor describe fielmente con los colores los datos del relato evangélico, sobre todo el de Marco (Mc 15,16-20).
Jesús tiene en la cabeza una corona de espinas. Un haz de arbustos espinosos que se encontraba en el patio, preparado quizá para encender el fuego, dio a los soldados la idea de esta cruel parodia de su realeza. De la cabeza de Jesús descienden gotas de sangre. Tiene la boca medio abierta, como cuando cuesta respirar. Sobre los hombres ya tiene puesto el manto pesado y desgastado, más parecido al estaño que a una tela. ¡Y son hombros atravesados recientemente por los golpes de la flagelación! Tiene las muñecas unidas por una cuerda gruesa; en una mano le han puesto una caña en forma de cetro y en la otra un haz de varas, burlándose de los símbolos de su realeza. Jesús ya no puede ni mover un dedo, es el hombre reducido a la impotencia más total, el prototipo de todos los esposados de la historia.
Meditando sobre la Pasión, el filósofo Blaise Pascal escribió un día estas palabras: “Cristo agoniza hasta el final del mundo: no hay que dormir durante este tiempo”viii. Hay un sentido en el que estas palabras se aplican a la persona misma de Jesús, es decir a la cabeza del cuerpo místico, no solo a sus miembros. No, a pesar de que ahora está resucitado y vivo, sino precisamente porque está resucitado y vivo. Pero dejemos a parte este significado demasiado misteriosos para nosotros y hablemos del sentido más seguro de estas palabras. Jesús agoniza hasta el final del mundo en cada hombre y mujer sometido a sus mismos tormentos. “¡Lo habéis hecho a mí!” (Mt, 25, 40): esta palabra suya, no la ha dicho solo por los que creen en Él; la ha dicho por cada hombre y mujer hambriento, desnudo, maltratado, encarcelado. 
Por una vez no pensamos en las llagas sociales, colectivas: el hambre, la pobreza, la injusticia, la explotación de los débiles. De estas se habla a menudo --aunque si nunca suficiente--, pero existe el riesgo de que se conviertan en abstracto. Categorías, no personas. Pensamos más bien en el sufrimiento de los individuos, en las personas con un nombre y una identidad precisa; además de las torturas decididas a sangre fría y realizadas voluntariamente, en este mismo momento, por seres humanos a otros seres humanos, incluso a niños.
¡Cuántos “Ecce homo” en el mundo! ¡Dios mío, cuántos “Ecce homo”! Cuántos prisioneros que se encuentran en las mismas condiciones de Jesús en el pretorio de Pilato: solos, esposados, torturados, a merced de militares ásperos y llenos de odios, que se abandonan a todo tipo de crueldad física y psicológica, divirtiéndose al ver sufrir. “¡No hay que dormir, no hay que dejarles solos!” 
La exclamación “¡Ecce homo!” no se aplica solo a las víctimas, sino también a los verdugos. Quiere decir: ¡de esto es capaz el hombre! Con temor y temblor, decimos también: ¡de esto somos capaces los hombres! Qué lejos estamos de la marcha inagotable del homo sapiens, el hombre que, según algunos, debía nacer de la muerte de Dios y tomar su lugarviii.
* * *
Ciertamente, los cristianos no son las únicas víctimas de la violencia homicida que hay en el mundo, pero no se puede ignorar que en muchos países ellos son las víctimas designadas y más frecuentes. Jesús dijo un día a sus discípulos: “Llegará la hora en que los mismos que les den muerte pensarán que tributan culto a Dios” (Jn 16, 2). Quizá nunca estas palabras han encontrado, en la historia, un cumplimiento tan puntual como hoy.
Un obispo del siglo III, Dionisio de Alejandría, nos dejó el testimonio de una Pascua celebrada por los cristianos durante la feroz persecución del emperador romano Decio: “Nos exiliaron y, solos entre todos, fuimos perseguido y asesinados. Pero también entonces celebramos la Pascua. Todo lugar donde se sufría se convertía para nosotros en un lugar para celebrar la fiesta: ya fuera un campo, un desierto, un barco, una posada, una prisión. Los mártires perfectos celebraron la fiestas pascuales más espléndidas, al ser admitidos a la fiesta celestial”viii. Será así para muchos cristianos también la Pascua de este año, el 2015 después de Cristo.
Ha habido alguno que ha tenido la valentía de denunciar, en la prensa laica, la inquietante indiferencia de las instituciones mundiales y de la opinión pública frente a todo esto, recordando a qué ha llevado tal indiferencia en el pasadoviii. Corremos el riesgo de ser todos, instituciones y personas del mundo occidental, el Pilato que se lava las manos.
A nosotros, sin embargo, en este día no se nos consiente hacer ninguna denuncia. Traicionaríamos el misterio que estamos celebrando. Jesús murió gritando: “Padre, perdónalos porque no saben lo que hacen” (Lc 23, 34). Esta oración no es simplemente murmurada en voz baja; se grita para que se oiga bien. Es más, no es ni siquiera una oración, es una petición perentoria, hecha con la autoridad que le viene del ser el Hijo: “¡Padre, perdónalos!” Y ya que Él mismo ha dicho que el Padre escuchaba cada una de sus oraciones (Jn 11, 42), debemos creer que ha escuchado también esta última oración de la cruz, y que por tanto los que crucificaron a Cristo han sido perdonados por Dios (por supuesto, no sin antes haber tenido, de alguna manera, un arrepentimiento) y están con Él en el paraíso, testimoniando por la eternidad hasta donde ha sido capaz de llegar el amor de Dios. 
La ignorancia se verificaba, de por sí, exclusivamente en los soldados. Pero la oración de Jesús no se limita a ellos. La grandeza divina de su perdón consiste en que es ofrecida también a sus más encarnizados enemigos. Justamente en favor de ellos aduce la disculpa de la ignorancia. Aunque hayan obrado con astucia y malicia, en realidad no sabían lo que hacían, ¡no pensaban que estaban poniendo en la cruz a un hombre que era realmente el Mesías e Hijo de Dios! En lugar de acusar a sus adversarios o de perdonar confiando al Padre Celeste la tarea de vengarlo, él los defiende.
Su ejemplo propone a los discípulos una generosidad infinita. Perdonar con su misma grandeza de ánimo no puede comportar simplemente una actitud negativa, con la que se renuncia a querer el mal para quien hace el mal; tiene que entenderse en cambio como una voluntad positiva de hacerles el bien, como mínimo con una oración hacia Dios, en favor de ellos. “Rezad por aquellos que os persiguen” (Mt 5, 44). Este perdón no puede encontrar ni siquiera una consolación en la esperanza de un castigo divino. Tiene que estar inspirado por una caridad que perdona al prójimo, sin cerrar entretanto los ojos delante a la verdad, mas bien intentando detener a los malvados de manera que no hagan más mal a los otros y a si mismos. 
Nos viene ganas de decir: “¡Señor, nos pides lo imposible!”. Nos respondería: “Lo sé, pero yo he muerto para poder dar lo que os pido. No os he dado solo el mandamiento de perdonar y tampoco solo un ejemplo heroico de perdón; con mi muerte os he procurado la gracia que os vuelve capaces de perdonar. Yo no he dejado al mundo solo una enseñanza sobre la misericordia, como han hecho muchos otros. Yo soy también Dios y desde mi muerte he hecho partir para vosotros ríos de misericordia. De ellos pueden llenarse las manos en el año jubilar de la misericordia que está a punto de abrirse”.
* * *
¿Entonces -dirá alguno- seguir a Cristo es un volverse pasivo hacia la derrota y la muerte? ¡Al contrario! “Tengan coraje”, él le dijo a sus apóstoles antes de ir hacia la Pasión: “Yo he vencido al mundo” (Jn 16, 33). Cristo ha vencido al mundo, venciendo el mal del mundo. La victoria definitiva del bien sobre el mal, que se manifestará al final de los tiempos, ya vino, de derecho y de hecho, sobre la cruz de Cristo. Ahora -decía- es el juicio de este mundo”. (Jn 12, 31). Desde aquél día el mal pierde; y más pierde cuanto más parece triunfar. Está ya juzgado y condenado en última instancia, con una sentencia inapelable.
Jesús le ha ganado a la violencia no oponiendo a esa una violencia más grande, pero sufriéndola y poniendo al desnudo toda su injusticia y su inutilidad. Ha inaugurado un nuevo género de victoria que san Agustín ha encerrado en tres palabras: “Victor quia victima – Vencedor porque víctima”viii. Fue “viéndolo morir así”, que el centurión romano exclamó: “¡Verdaderamente este hombre era Hijo de Dios!” (Mc 15,39). Los otros se preguntaban que significaba el fuerte grito que Jesús emitió muriendo (Mc 15,37). Él que era experto en combatientes y combates, reconoció en seguida que era un grito de victoriaviii.
El problema de la violencia nos acecha, nos escandaliza, hoy que esta ha inventado formas nuevas y horribles de crueldad y de barbarie. Nosotros los cristianos reaccionamos horrorizados a la idea que se pueda matar en nombre de Dios. Alguno entretanto objeta: ¿pero la Biblia no está ella misma llena de violencia? ¿Dios no es llamado “el Señor de los ejércitos?” No le es atribuida la orden de enviar al exterminio ciudades enteras? ¿No es él quien ordena en la Ley mosaica numerosos casos de pena de muerte? 
Si se hubiera dirigido a Jesús durante su vida, la misma objeción, él habría respondido lo que respondió sobre el divorcio: “Por la dureza de vuestro corazón Moisés les ha permitido de repudiar a vuestras esposas, pero en el principio no era así” (Mt 19, 8). También a propósito de la violencia “al principio no era así”. El primer capítulo del Génesis nos presenta un mundo en el que no es ni siquiera pensable la violencia, ni entre los humanos, ni entre los hombres y los animales. Ni siquiera para vengar la muerte de Abel, o sea ni para castigar a un asesino, es lícito asesinar (Jn 4, 15).
El genuino pensamiento de Dios está expresado por el mandamiento “No asesinar”, más que por las excepciones hechas a esto en la Ley, que son concesiones a la “dureza del corazón” y a las costumbres de los hombres. La violencia, después del pecado hace parte lamentablemente de la vida y el Antiguo Testamento, que refleja la vida y que tiene que servir a la vida, busca al menos con su legislación y con la pena de muerte, canalizar y contener a la violencia para que no degenere en arbitrio personal y no se destruyan mutuamenteviii. 
Pablo habla de un tiempo caracterizado por la 'tolerancia' de Dios (Rm 3, 25). Dios tolera la violencia como tolera la poligamia, el divorcio y otras cosas, pero viene educando al pueblo hacia un tiempo en el que su plan originario será 'recapitulado' y puesto nuevamente en honor, como para una nueva creación. Este tiempo ha llegado con Jesús que, en el monte proclama: “Habéis oído que se dijo: 'Ojo por ojo y diente por diente'; pero yo os digo no resistáis al mal; antes bien, al que te abofetee en la mejilla derecha ofrécele también la otra... Habéis oído que se dijo: 'Amarás a tu prójimo y odiarás a tu enemigo'; pero yo os digo: amad a vuestros enemigos y rezad por los que os persiguen” (Mt 5, 38-39; 43-44).
El verdadero “Discurso de la montaña” que ha cambiado el mundo no es entretanto el que Jesús pronunció un día en una colina de Galilea, sino aquel que proclama ahora, silenciosamente desde la cruz. En el Calvario él pronuncia un definitivo “¡no!” a la violencia, oponiendo a ella no simplemente la no-violencia, sino aún más el perdón, la mansedumbre y el amor. Si habrá aún violencia esta no podrá, ni siquiera remotamente, invocar a Dios y valerse de su autoridad. Hacerlo significa hacer retroceder la idea de Dios a situaciones primitivas y groseras, superadas por la conciencia religiosa y civil de la humanidad. 
* * *
Los verdaderos mártires de Cristo no mueren con los puños cerrados, sino con las manos unidas. Hemos visto tantos ejemplos. Es Dios quien a los 21 cristianos cóptos asesinados por el ISIS en Libia el 22 de febrero pasado, les ha dado la fuerza de morir bajo los golpes, murmurando el nombre de Jesús. Y también nosotros recemos:
“Señor Jesucristo te pedimos por nuestros hermanos en la fe perseguidos, y por todos los Ecce homo que hay en este momento en la faz de la tierra, cristianos y no cristianos. María, a los pies de la cruz tu te has unido al Hijo y has murmurado detrás de él: “¡Padre perdónalos!”: ayúdanos a vencer el mal con el bien, no solo en el escenario grande del mundo, sino también en la vida cotidiana, dentro de las mismas paredes de nuestra casa. Tu que “sufriendo con el Hijo tuyo que moría en la cruz, has cooperado de una manera toda especial a la obra del Salvador con la obediencia, la fe, la esperanza y la ardiente caridad”viii, inspira a los hombres y a las mujeres de nuestro tiempo pensamientos de paz, de misericordia y de perdón. Que así sea”.
PORTOGHESE
"ECCE HOMO!"
Sermão de Sexta-Feira Santa, 2015, Basílica de São Pedro
Acabamos de ouvir o relato do julgamento de Jesus perante Pilatos. Há nele um momento que nos pede uma atenção especial.
“Pilatos mandou então flagelar Jesus. Os soldados teceram de espinhos uma coroa, puseram-na sobre a sua cabeça e o cobriram com um manto de púrpura. Aproximavam-se dele e diziam: Salve, rei dos judeus! E davam-lhe bofetadas. Pilatos saiu outra vez e disse-lhes: Eis que vo-lo trago fora, para que saibais que não acho nele nenhum motivo de acusação. Apareceu então Jesus, trazendo a coroa de espinhos e o manto de púrpura. Pilatos disse: Ecce homo! Eis o homem!” (Jo 19,1-5).
Entre as muitas pinturas que retratam o Ecce Homo, há uma que sempre me impressionou. É de Jan Mostaert, pintor flamengo do século XVI, e está na National Gallery de Londres. Tentarei descrevê-la. Ela nos ajudará a imprimir melhor na mente o episódio, já que o pintor transcreve fielmente, em cores, os dados do relato evangélico, especialmente do relato de Marcos (Mc 15,16-20).
Jesus tem na cabeça uma coroa de espinhos. Um feixe de arbustos espinhosos que estava no pátio, talvez para fazer fogo, deu aos soldados a ideia dessa cruel zombaria da sua realeza. Da cabeça de Jesus descem gotas de sangue. Sua boca está semiaberta, como que lutando para respirar. Sobre os ombros, sulcados pelos golpes recentes da flagelação, um manto pesado e desgastado, mais próximo da lata que da estopa. Ele tem os pulsos amarrados por uma corda grosseira; em uma das mãos, eles colocaram um pedaço de pau a fazer as vezes de cetro e, na outra, um feixe de varetas, símbolos que ridicularizavam a sua majestade. Jesus não pode mover sequer um dedo; é o homem reduzido à total impotência, o protótipo de todos os algemados da história.
Meditando sobre a Paixão, o filósofo Blaise Pascal escreveu certa vez estas palavras: "Cristo está em agonia até o fim do mundo: não podemos dormir durante este tempo"viii. Há um sentido em que estas palavras se aplicam à pessoa de Jesus mesmo, ou seja, à cabeça do corpo místico e não apenas aos membros. Não apesar de Ele ter ressuscitado e estar vivo, mas justamente porque Ele ressuscitou e está vivo. Deixemos de lado, no entanto, este significado misterioso demais para nós e falemos do sentido mais claro daquelas palavras. Jesus está em agonia até o fim do mundo em cada homem ou mulher submetidos aos mesmos tormentos. "Vós o fizestes a mim" (Mt 25, 40): Ele não disse esta frase apenas sobre quem acredita nele; ele a disse sobre cada homem e cada mulher famintos, nus, maltratados, presos.
Ao menos por uma vez, não pensemos nos males sociais, coletivos: a fome, a pobreza, a injustiça, a exploração dos fracos. Desses males já se fala muitas vezes, embora nunca o suficiente, e há o risco de se tornarem abstrações. Categorias, não pessoas. Pensemos agora no sofrimento dos indivíduos, das pessoas com nome e identidade concreta; nas torturas decididas a sangue frio e infligidas voluntariamente, neste exato momento, por seres humanos contra outros seres humanos, inclusive crianças.
Quantos "Ecce homo" no mundo! Meu Deus, quantos "Ecce homo"! Quantos prisioneiros na mesma condição de Jesus no pretório de Pilatos: sozinhos, algemados, torturados, à mercê de soldados ásperos e cheios de ódio, que se entregam a todo tipo de crueldade física e psicológica, divertindo-se em ver sofrer. "Não podemos dormir, não podemos deixá-los sós!".
A exclamação "Ecce homo!" não se aplica somente às vítimas, mas também aos carnífices. Ela quer dizer: eis aqui do que o homem é capaz! Com temor e tremor, digamos ainda: eis do que somos capazes nós, homens! Muito distante da marcha inexorável do Homo sapiens sapiens, o homem que, segundo alguns, nasceria da morte de Deus e tomaria o seu lugarviii.
* * *
Os cristãos não são, certamente, as únicas vítimas da violência homicida que há no mundo, mas não se pode ignorar que, em muitos países, eles são as vítimas marcadas e mais frequentes. Jesus disse um dia aos seus discípulos: "Chegará uma hora em que aqueles que vos matarem julgarão estar honrando a Deus" (Jo 16, 2). Talvez estas palavras nunca tenham achado na história um cumprimento tão pontual quanto hoje.
Um bispo do século III, Dionísio de Alexandria, nos deixou o testemunho de uma Páscoa celebrada pelos cristãos durante a feroz perseguição do imperador romano Décio: "Eles nos exilaram e, sozinhos entre todos, fomos perseguidos e lançados à morte. Mas, ainda assim, celebramos a Páscoa. Todo lugar em que se sofria tornou-se para nós um lugar de celebração da festa: fosse um acampamento, um deserto, um navio, uma pousada, uma prisão. Os mártires perfeitos celebraram a mais esplêndida das festas pascais ao ser admitidos no banquete celeste"viii. Será assim para muitos cristãos também na Páscoa deste ano, 2015 depois de Cristo.
Houve alguém que teve a coragem de denunciar, como leigo, a indiferença perturbadora das instituições mundiais e da opinião pública em face de tudo isto, lembrando a quais consequências essa indiferença já levou no passadoviii. Corremos todos o risco, tanto instituições quanto pessoas do mundo ocidental, de ser Pilatos que lavam as mãos.
A nós, no entanto, não é permitido fazer qualquer denúncia neste dia. Trairíamos o mistério que estamos celebrando. Jesus morreu gritando: "Pai, perdoa-os, porque não sabem o que fazem" (Lc 23, 34). Esta oração não é simplesmente murmurada; é gritada para ser bem ouvida. Na verdade, não é sequer uma oração, mas uma exigência imperativa, feita com a autoridade de quem é Filho: "Pai, perdoa-os!". E como Ele mesmo disse que o Pai escuta todas as suas orações (Jo 11,42), devemos acreditar que Ele ouviu também esta última feita na cruz, e que, portanto, aqueles que crucificaram o Cristo foram perdoados por Deus (é claro que não sem antes se arrependerem de alguma forma) e estão com Ele no paraíso, testemunhando para toda a eternidade o ponto até o qual pode chegar o amor de Deus.
Essa ignorância, como tal, estava só nos soldados. Mas a oração de Jesus não se limita a eles. A grandeza divina do seu perdão consiste no fato de que o perdão também é oferecido aos seus inimigos mais ferozes. É para eles que Jesus alega a desculpa da ignorância. Mesmo que eles tenham agido com astúcia e malícia, eles realmente não sabiam o que faziam, não pensavam que estavam crucificando um homem que era de fato o Messias e Filho de Deus! Em vez de acusar os seus adversários, ou de os perdoar confiando ao Pai Celestial o cuidado de vingá-lo, Ele os defende.
Seu exemplo sugere aos discípulos uma generosidade infinita. Perdoar com a sua mesma grandeza de alma não pode envolver simplesmente uma atitude negativa, de renunciar a querer o mal para quem faz o mal; deve traduzir-se, em vez disso, em uma vontade positiva de lhes fazer o bem, mesmo que apenas com uma oração dirigida a Deus em seu favor. "Orai por aqueles que vos perseguem" (Mt 5, 44). Esse perdão não deve procurar compensação nem sequer na esperança de um castigo divino. Deve ser inspirado por uma caridade que desculpa o próximo, mesmo sem fechar os olhos para a verdade, e que tenta parar os maus para que eles não façam mais mal aos outros nem a si mesmos.
Quereríamos dizer: "Senhor, o que nos pedes é impossível!", mas Ele nos responderia: "Eu sei. E morri para vos dar o que vos peço. Não vos dei apenas o mandado de perdoar, nem apenas um exemplo heroico de perdão; com a minha morte, eu vos dei a graça que vos torna capazes de perdoar. Eu não deixei ao mundo apenas um ensinamento sobre a misericórdia, como tantos outros também deixaram. Eu sou Deus e, para vós, fiz brotarem da minha morte rios de misericórdia. Deles podeis beber a mãos cheias no Ano Jubilar da Misericórdia que tendes pela frente".
* * *
Então, indagará alguém, seguir a Cristo é sempre um resignar-se passivamente à derrota e à morte? Pelo contrário! "Tende coragem", disse Ele aos apóstolos antes da Paixão: "Eu venci o mundo" (Jo 16, 33). Cristo venceu o mundo vencendo o mal do mundo. A vitória definitiva do bem sobre o mal, que se manifestará no fim dos tempos, já aconteceu, de fato e de direito, na cruz de Cristo. "Esta é hora do juízo deste mundo" (Jo 12, 31). Desde aquele dia, o mal é o perdedor: tanto mais perdedor quanto mais parece triunfar. O mundo já foi julgado e condenado em última instância, com sentença inapelável.
Jesus derrotou a violência sem opor a ela uma violência maior ainda, e sim sofrendo-a e revelando toda a sua injustiça e inutilidade. Ele inaugurou um novo tipo de vitória, que Santo Agostinho resumiu em três palavras: “Victor quia victima” – “vencedor porque vítima” viii. Foi ao "vê-lo morrer assim" que o centurião romano exclamou: "Verdadeiramente, este homem era Filho de Deus!" (Mc 15, 39). Os outros se perguntavam o que significava o alto brado que Jesus tinha dado ao morrer (Mc 15, 37). O centurião, que era experiente em lutas e lutadores, reconheceu de imediato que aquele era um grito de vitóriaviii.
O problema da violência nos persegue, nos choca, inventando formas novas e espantosas de crueldade e de barbárie. Nós, cristãos, reagimos horrorizados à ideia de que se possa matar em nome de Deus. Alguém poderia objetar: mas a Bíblia também não está cheia de histórias de violência? Deus mesmo não é chamado de "Senhor dos Exércitos"? Não é atribuída a Ele a ordem de exterminar cidades inteiras? Não é Ele quem decreta, na Lei mosaica, numerosos casos de pena de morte?
Se tivessem dirigido a Jesus, durante a sua vida, esta mesma objeção, Ele certamente teria respondido o que respondeu sobre o divórcio: "Foi por causa da dureza do vosso coração que Moisés vos permitiu repudiar vossas mulheres, mas no princípio não foi assim" (Mt 19,8). Também sobre a violência, "no princípio não foi assim". O primeiro capítulo do Gênesis mostra um mundo onde a violência não é sequer pensável, nem dos seres humanos entre si, nem entre homens e animais. Nem sequer para vingar a morte de Abel, e assim punir um assassino, é lícito matar (cf. Gn 4, 15).
O genuíno pensamento de Deus é expresso pelo mandamento "Não matarás", e não pelas exceções abertas na Lei, que são concessões à "dureza do coração" e dos costumes dos homens. A violência, depois do pecado, infelizmente faz parte da vida; e o Antigo Testamento, que reflete a vida e deve servir à vida, procura pelo menos, com a sua legislação e com a própria pena de morte, canalizar e conter a violência para que ela não se degenere em arbítrio pessoalviii.
Paulo fala de uma época caracterizada pela "tolerância" de Deus (Rm 3, 25). Deus tolera a violência como tolera a poligamia, o divórcio e outras coisas, mas educa o povo para um tempo em que o seu plano original possa ser "recapitulado", como para uma nova criação. Esse tempo chega com Jesus, que, na montanha, proclama: "Ouvistes o que foi dito: olho por olho, dente por dente; mas eu vos digo: não resistais aos malvados; se alguém vos bater na face direita, oferecei também a outra... Ouvistes o que foi dito: amai o vosso próximo e odiai o vosso inimigo; eu, porém, vos digo: amai os vossos inimigos e orai pelos que vos perseguem" (Mt 5,38-39; 43-44).
O verdadeiro "sermão da montanha" que mudou o mundo, no entanto, não é aquele que Jesus fez um dia sobre uma colina da Galileia, mas aquele que Ele proclama agora, silenciosamente, na cruz. No Calvário, Ele pronuncia um definitivo "não!" à violência, opondo a ela não apenas a não-violência, mas o perdão, a bondade e o amor. Se ainda houver violência, ela já não poderá, sequer remotamente, remontar a Deus e revestir-se da sua autoridade. Fazer isto significa retroceder na ideia de Deus a estágios primitivos e grosseiros, superados pela consciência religiosa e civil da humanidade.
* * *
Os verdadeiros mártires de Cristo não morrem com os punhos cerrados, mas com as mãos juntas. Tivemos tantos exemplos recentes! Foi Ele que, aos 21 cristãos coptas mortos pelo Estado Islâmico na Líbia em 22 de fevereiro, deu a força para morrerem murmurando o Seu nome. Rezemos nós também:
"Senhor Jesus Cristo, oramos pelos nossos irmãos de fé que são perseguidos e por todos os Ecce homo que estão, neste momento, sobre a face da terra, cristãos e não cristãos. Maria, tu, ao pé da cruz, te uniste ao Filho e murmuraste com Ele: "Pai, perdoa-os". Ajuda-nos a vencer o mal com o bem, não só no grande palco do mundo, mas também na vida cotidiana, dentro da nossa casa. Tu, que, "ao sofrer com teu Filho que morria na cruz, colaboraste de modo tão especial para a obra do Salvador com a obediência, a fé, a esperança e a caridade ardente"viii, inspira nos homens e mulheres da nossa época pensamentos de paz, de misericórdia e de perdão. Que assim seja” 
Traduzioni:
- Spagnolo, Francese e Portoghese (Zenit)
- Inglese (P. Cantalamessa)