venerdì 27 marzo 2015

Quei numeri che ci somigliano




I collegamenti fra il mondo reale e alcune insospettabili regole della matematica. 

(Carlo Maria Polvani) Alex Bellos è un personaggio interessante: nato a Oxford da madre ungherese, si è laureato in matematica e filosofia al Corpus Christi College di Cambridge, per poi diventare corrispondente di «The Guardian» in Brasile. Ritornato in patria, si è dedicato alla divulgazione della matematica scrivendo il best-seller Alex’s Adventures in Numberland che, edito dalla Einaudi nel 2011 sotto il titolo Il meraviglioso mondo dei numeri, ha vinto il «Premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica» e il «Premio Peano».
La casa editrice torinese pubblica ora l’opera successiva dell’autore, I numeri ci somigliano (2015, pagine 250, euro 19,50), traduzione italiana di Alex through the looking glass. How numbers reflect life and life reflects numbers. Ne Il meraviglioso mondo dei numeri, Bellos, attraverso una affascinante storia delle civiltà umane, aveva evidenziato i nessi fra lo sviluppo della matematica, quello della semiotica e quello del linguaggio. Ne I numeri ci somigliano, l’autore inglese, rimanendo tanto accattivante di quanto lo era stato nella sua prima opera, prende una direzione differente e riesce ancora a stupire il lettore nel rappresentare i legami, a volte i più impensabili, fra eventi del mondo reale e i principi della matematica. Ne esce un libro brillante, divertente, dal ritmo intenso e coinvolgente.
Da come Cédric Villani — vincitore in sequenza nel 2009, del Prix Fermat, del Prix Henri-Poincaré e della Medaglia Fields (l’equivalente del Nobel per la matematica) sia diventato una pop star in Francia — a come un semplice tassista dell’Arizona abbia potuto trionfare ai campionati del mondo di calcolo mentale grazie alla sua passione per i numeri primi, Bellos accompagna il lettore in un viaggio che lo trasporta in ogni ramo della matematica: trigonometria, probabilità, geometria, aritmetica, statistica e così via. Tutto partendo dalla semplice domanda di quale sia il suo numero favorito, sia esso una semplice cifra o il prodigioso “numero della fenice”, 142.857, i cui sei primi multipli sono anagrammi delle sei cifre che lo compongono (moltiplicandolo con 1, 2, 3, 4, 5 e 6 si ottiene rispettivamente: 142.857, 285.714, 428.571, 571.428, 714.285 e 857.142, e quando lo si moltiplica con 7, esce il meraviglioso 999.999).
Bellos evidenzia come l’aritmetica influenzi la nostra comprensione primaria del mondo, mettendo in luce gli effetti subcoscienti collegati alla percezione numerica come chiave interpretativa del reale. Gli esempi forniti dall’autore sono spesso spettacolari. Una foto di un neonato sorridente presentata a un gruppo di persone con un numero pari iscritto su di essa porterà una netta maggioranza a dire che si tratta di una femminuccia; ma la stessa foto portante un numero dispari, indurrà la maggioranza di loro a propendere per un maschietto. Oppure, il ben noto fatto che la vendita di un prodotto possa aumentare anche del 30 per cento, se al posto di indicare al consumatore un prezzo di 10,00 euro, si scrive 9,99. Effetto però che può ulteriormente aumentare se il simbolo della moneta (€, $ o £) non è indicato di fianco alla cifra, come avviene in alcuni ristoranti di lusso, il cui menu recita «Petto di pollo ruspante 15» o «Crema al tartufo bianco con chantilly 6,50» al posto di «Petto di pollo ruspante € 15,00» o «Crema al tartufo bianco con chantilly €6,50», invogliando subliminalmente l’avventore a godersi i manicaretti senza guardare troppo al portafoglio.
Il lavoro del matematico britannico però non si limita tuttavia a delineare questi fenomeni, ma permette a ogni lettore con un minimo di dimestichezza matematica di scoprire i collegamenti più arcani fra il mondo reale e alcune regole insospettabili della matematica. Una dimostrazione in questo senso è d’obbligo.
La “legge di Benford” o “legge della prima cifra” descrive la probabilità della presenza di una delle nove cifre (dall’1 al 9) nei numeri raccolti da dati osservabili, siano essi di natura geografica (la superficie dei laghi sul pianeta), demografica (i tassi di mortalità in una nazione), fisico-chimica (il peso atomico degli elementi nella tavola di Mendeleev) o finanziaria (le quotazioni delle azioni in borsa che in un anno sono salite o scese).
Frank Benford (1883-1948) dimostrò che la prima cifra non è ugualmente distribuita fra le nove disponibili. Se così fosse stato, infatti, ciascuna di esse sarebbe dovuta apparire al primo posto con una frequenza del 11,1 per cento del totale (ossia, 100 diviso 9), quando invece la frequenza osservata nei dati reali è simile a una curva con la lunga coda inversamente proporzionale alla grandezza della cifra: mentre l’1 è presente al primo posto il 30,3 per cento delle volte, il 2 il 18,5 per cento e il 3 il 12,4, la frequenza degli altri numeri rimane sempre sotto il 10 per cento, diminuendo fino al 9, che appare al primo posto solo nel 4,9 per cento dei casi.
Quando si considerino raccolte di dati sufficientemente complete, la Legge di Benford è così attendibile da essere usata con successo per smascherare frodi di ogni tipo, poiché chi introduce dati non veri non tende a rispettare la distribuzione prevista dalla legge della prima cifra. Ciò fu ampiamente reso palese da un investigatore privato dell’Oregon di nome Darell Dorrell che riuscì a esporre un ragioniere disonesto di nome Welsey Rhodes che ritoccava i rendiconti finanziari dei suoi clienti introducendovi dati fittizi. Tant’è che da allora, il ministero della Giustizia statunitense fa ampio uso di questo metodo conosciuto oggi come forensic accounting o forensic finance.
Davanti a risultati come questi sorge spontanea la domanda: Alex Bellos sta forse difendendo l’idea che la matematica offre strumenti epistemologici più puri di quelli promessi dalla filosofia? Nella sua deposizione al tribunale che condannò il povero Rhodes, il buon Dorrell dichiarò con orgoglio che «quella di Benford non è una teoria è una legge». Difatti, in matematica una legge, contrariamente a una teoria che è un’idea fondata su una ipotesi o a un teorema che è una preposizione che deriva in forma logica da un assioma, è una relazione estrapolata da un dato empirico.
Non è la prima volta che la matematica sembra presentarsi come capace di offrire delle norme certe per analizzare il reale. Friedric Frege (1848-1925) ebbe un’idea geniale: usare la teoria degli insiemi di Georg Cantor (1845-1918) per fare della matematica una scienza perfetta grazie alle leggi della logica. Fu un trionfo. Ma quando si accingeva a pubblicare la seconda edizione del suo Der Grundlagen der Arithmetik (i fondamenti dell’aritmetica), il filosofo-matematico tedesco ricevette una comunicazione da Bertrand Russell (1872-1970) che aveva trovato una contraddizione nel suo lavoro. Vi aggiunse allora questa appendice: «Poche cose possono essere così indesiderabili (…) quanto veder cedere il fondamento di un lavoro finito». Come nota argutamente Alex Bellos, Frege aveva appena formulato il più grande understatement di tutti i tempi.
L'Osservatore Romano