martedì 31 marzo 2015

Misericordia, cosa ci chiede Francesco



di Stefania Falasca
Alla misericordia non si chiede il conto: «O siamo gente che si lascia amare da Dio o siamo degli ipocriti». Dopo l’annuncio dell’Anno giubilare sulla misericordia, le omelie di Santa Marta, in particolare, sono il pulpito della coscienza per molti fedeli. Francesco proprio in queste ultime settimane ha ripreso il tema con parole efficaci, perché «la misericordia è centrale, fondamentale, non è solo un atteggiamento pastorale, è la sostanza stessa del Vangelo di Gesù», il volto e l’agire di Dio, ed è missione suprema della Chiesa lasciare che essa si manifesti. Così la predicazione di Francesco apre quotidianamente a questo percorso personale e collettivo di conversione che – come ha chiarito ai cardinali nell’ultimo Concistoro – è quello «di effondere la misericordia divina a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero, di non condannare eternamente nessuno, di uscire dal proprio recinto per andare a cercare i lontani, di adottare integralmente la logica dell’amore Dio».

Sempre le sue parole si tessono sulle letture liturgiche del giorno conformandosi a quella logica ermeneutica che san Paolo definisce «i sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5). Questo affinché «la misericordia, che è la potente forza di reintegrazione che sgorga dal cuore di Cristo», grazie alla voce della Chiesa possa toccare ogni persona, adesso. Con san Tommaso d’Aquino Francesco afferma che «alla misericordia spetta donare ad altri» soprattutto ciò che «più conta: sollevare le miserie altrui». «Compito» questo, dice san Tommaso, che riguarda «specialmente chi è superiore» (Eg 37). Le parole del Papa si fanno particolarmente incisive nei confronti di coloro che chiudono non solo a loro stessi, ma anche agli altri le porte al manifestarsi dell’amore Dio. Si fanno anche severe con coloro «che non aperti alla parola del Signore» si rendono impermeabili alla grazia a causa dell’indurimento e della corruzione del loro cuore, come lo sono le parole di Gesù nel Vangelo nei confronti dell’ipocrisia farisaica, dei corrotti, che vivono il peccato in modo nascosto e senza pentimento approfittando della loro posizione.

Nell’omelia del 12 marzo ha affermato: «O tu sei sulla via dell’amore o tu sei sulla via dell’ipocrisia. O tu ti lasci amare, accarezzare dalla misericordia di Dio, o fai quello che tu vuoi secondo il tuo cuore che si indurisce sempre di più». Non c’è, ha ribadito Francesco, una terza via. E chi «non raccoglie con il Signore» non solo «lascia le cose come stanno», ma «peggio: disperde, rovina; è un corrotto che corrompe». Per questa infedeltà «Gesù pianse su Gerusalemme» e «su ognuno di noi». Nel capitolo 23 di Matteo, ha ricordato il Papa, si leggono parole terribili contro i «dirigenti che hanno il cuore indurito e vogliono indurire il cuore del popolo». «Dice Gesù: "Verrà su di loro il sangue di tutti gli innocenti, incominciando da quello di Abele"». Per i corrotti «Gesù usa quella parola: ipocriti, sepolcri imbiancati, belli fuori ma dentro pieni di putredine». Questo, ha sottolineato il Papa, succede anche alle istituzioni. Ma «dove non c’è misericordia, non c’è giustizia». E su tale aspetto si è soffermato nell’omelia del 23 marzo, partendo dalle letture del libro di Daniele e dal Vangelo di Giovanni sui giudici corrotti. Il problema di fondo, ha spiegato, è che questi «non conoscevano cosa fosse la misericordia», perché «la loro corruzione li portava lontano dal capirla». Invece «la Bibbia ci dice che proprio in essa è il giusto giudizio».

A fare le spese della sua mancanza, sottolinea Francesco, «è ancora oggi il popolo di Dio che soffre quando trova – anche nella Chiesa, che è santa, peccatrice, bisognosa – giudici affaristi, viziosi e rigidi, che puniscono nei penitenti quello che nascondono nella loro anima». Papa Francesco desidera che nella Chiesa regni la misericordia che è il manifestarsi di Dio e anche le due assemblee sinodali dedicate alla famiglia e alle sue fragilità sono state pensate e strutturate in modo tale che la Chiesa si possa interrogare su di essa e si faccia carico della miseria umana e la sollevi a immagine del suo Signore, come è nel Vangelo. «La Chiesa – ha ripreso nell’omelia del 17 marzo – è la casa di Gesù, e Gesù accoglie, ma non solo accoglie: va a trovare la gente». «E se la gente è ferita – si è chiesto – cosa fa Gesù? La rimprovera, perché è ferita? No, viene e la porta sulle spalle». Questa, ha affermato il Papa, «si chiama misericordia». Proprio di questo parla Dio quando «rimprovera il suo popolo: "Misericordia voglio, non sacrifici!"». Il Papa ritorna così sui cristiani che si comportano come gli scribi e i farisei che si scandalizzano. Anche oggi ci sono cristiani che si comportano come i dottori della legge e «fanno lo stesso che facevano con Gesù», obiettando: «Ma questo dice un’eresia, questo non si può fare, questo va contro la disciplina della Chiesa, questo va contro la legge».

«I giudei perseguitavano Gesù perché faceva il bene anche il sabato e non si poteva fare» e attualizzando la sua riflessione spiega: «Questo avviene anche oggi. Un uomo, una donna che si sente malato nell’anima, triste, che ha fatto tanti sbagli nella vita, a un certo momento sente che le acque si muovono, c’è lo Spirito Santo che muove qualcosa; o sente una parola». Ma quell’uomo «quante volte oggi nelle comunità cristiane trova le porte chiuse». Forse si sente dire: «Tu non puoi, no, tu non puoi; tu hai sbagliato qui e non puoi. Se vuoi venire, vieni alla messa domenica, ma rimani lì, ma non fare di più». Succede così che «quello che fa lo Spirito Santo nel cuore delle persone, i cristiani con psicologia di dottori della legge distruggono». Nell’omelia del 26 marzo mostrando sempre gli effetti della mancanza di misericordia appare ancora più efficace: «Erano dottori della legge ma senza fede!», perché essendo la fede l’incontro con una Persona non con un sistema astratto di dottrine «questi dottori avevano perso anche la legge! Perché il centro della legge è l’amore, l’amore per Dio e per il prossimo».

Il Papa si è espresso con molta chiarezza su questo. Purtroppo accade a volte come a Giuda, che «non ha saputo leggere la misericordia negli occhi del Maestro». Se infatti non si riconosce più il Misericordioso, il cristianesimo si snatura riducendosi a ideologia, a sistema di idee, delle quali farsi proprietari per poi brandirle come clava verso gli altri. Considerarsi comunità di eletti, distinti da ingiusti e peccatori, ravvisabili sempre negli altri fuori, non appartiene allo sguardo di Cristo. Chi è il peccatore? «Innanzitutto io», dice il cristiano.

Nell’omelia del 17 marzo, papa Francesco ha concluso la riflessione suggerendo un impegno per la vita quotidiana di ognuno: «È tempo per convertirci». Qualcuno potrebbe ancora replicare: «Ma Padre, ci sono tanti peccatori sulla strada... noi disprezziamo questa gente». «Ma a costui va detto: "E tu? Chi sei? E tu chi sei, che chiudi la porta del tuo cuore a un uomo, a una donna, che ha voglia di migliorare, di rientrare nel popolo di Dio, perché lo Spirito Santo ha agitato il suo cuore?"». «Tu chi sei?». «"Neanch’io ti condanno". Così Cristo è stato di fronte all’adultera», ha ricordato il Papa. Per concludere: «Chiediamo oggi al Signore la conversione alla misericordia di Gesù». Solo così «la legge sarà pienamente compiuta, perché la legge è amare Dio e il prossimo, come noi stessi».
Avvenire