venerdì 27 marzo 2015

Le domande della Bibbia



Nella formazione permanente dei preti. 

Pubblichiamo ampi stralci dell’articolo del vescovo di Piacenza-Bobbio, uscito sul numero di febbraio della «Rivista del Clero Italiano» a commento dello “strumento di lavoro” dell’episcopato italiano sulla vita e sulla formazione permanente dei presbiteri. 
(Gianni Ambrosio) Il percorso formativo deve sempre favorire una chiara risposta alle domande fondamentali che la Bibbia ci consegna e che sono diventate costitutive della nostra humanitas, vista nella luce della rivelazione che ha in Cristo la sua pienezza.
«Adamo, dove sei?» è la domanda posta dal Creatore all’uomo, che, insieme a Eva, si nascose tra gli alberi mentre il Signore Dio «passeggiava nel giardino alla brezza del giorno» (Genesi, 3, 9). Adamo ha mangiato dell’albero della conoscenza del bene e del male e dell’albero della vita: ora ha paura, si nasconde perché «è nudo» (Genesi, 3, 10). La perdita della relazione con Dio è una ferita profonda che intacca la nostra realtà di creature. Il rifiuto del legame creaturale — inscritto in noi — ci rende “nudi” e paurosi, interiormente poveri, con ridotta capacità relazionale con Dio e con i fratelli.
La seconda domanda riguarda proprio i fratelli. «Allora il Signore disse a Caino: dov’è Abele, tuo fratello? Egli rispose: Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?» (Genesi, 4, 9). Caino afferma la sua solitudine, rivendica la sua distanza, dichiara la sua autonomia e la sua indifferenza: vuole che la sua vita sia senza apertura per l’altro, senza alcuna cura, senza alcuna responsabilità nei confronti del fratello. Caino tradisce la fraternità venendo meno alla vocazione del custodire, dell’essere responsabili. Negando il legame che lo unisce al fratello in modo costitutivo, Caino nega il fratello e alla fine nega la propria identità. Il Caino di ogni tempo che rompe il legame, sopprime qualcosa di essenziale, distrugge la dimora che custodisce la propria umanità. Non potrà che andare «ramingo e fuggiasco» in un mondo ostile. Senza relazioni di fraternità, senza la cura e la responsabilità, il mondo si desertifica, anche là ove sembra funzionare e produrre. 
Proprio su questa cura ha particolarmente insistito Papa Francesco nell’omelia della messa di inizio del pontificato. «Giuseppe è “custode” perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge». 
La formazione ha questa finalità: custodire Cristo nella nostra vita per custodire noi stessi e i fratelli. Grazie a Gesù Cristo che si è fatto nostro fratello, diventa possibile vivere la fraternità e diventa realizzabile la nostra vera identità: ci è data la grazia di uscire dalla condizione di solitudine, aprendoci al Tu che è Dio e aprendoci al tu che è il fratello. Il nostro “io” è strutturalmente relazionato e interiormente aperto al fratello e al Padre. È l’interazione che genera la vita, è la relazione che ci fa uscire dal deserto.
Il cammino formativo del presbitero, come di ogni cristiano, è cammino di fede condivisa. La fede, ci ricorda san Paolo (Romani, 1, 5; 16, 26), è obbedienza: l’«obbedienza della fede» è la risposta dell’uomo a Dio che si rivela. Nel suo immenso amore, Dio invisibile parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi per invitarli ed ammetterli alla comunione con sé (Dei Verbum, n. 2). La risposta adeguata a questo invito è la fede, dono di Dio che ci rende capaci di ascoltare Dio e di dare il nostro assenso a Dio rivelatore. 
L’invito che Dio rivolge agli uomini, a cui parla come ad amici, ha questa finalità: ammetterli alla comunione con sé, cioè alla sua vita santa, alla sua vita di amore. Tutta la rivelazione ha questa finalità, tutta la storia della salvezza, che ha al suo centro Cristo crocifisso e risorto, ci rivela che «Dio è amore» (1 Giovanni, 4, 8): l’unione con Cristo, vissuta nella sua santa Chiesa e condivisa nella fraternità del presbiterio, ci rende partecipi dell’amore del Padre che ha cura di tutti i suoi figli. 
La fede, accolta con gioia come dono, ci rende capaci di obbedire, di dare il nostro assenso — l’obbedienza della fede — e la comunione, come partecipazione alla vita di amore di Dio, fanno parte dello stesso mistero. La Chiesa è chiamata a essere «segno e strumento» di questo mistero che si rivela e si dona a noi: è il mistero di Cristo crocifisso e risorto, figlio obbediente del Padre e fratello di tutti. A tutti si è donato e a tutti si dona, abbattendo ogni muro di separazione e di divisione e attuando la riconciliazione. In Lui siamo un solo corpo, con lui abbiamo la grazia di essere veramente figli e di essere fratelli, abbiamo la gioia di poter vivere come figli e come fratelli.
La comunione nella Chiesa e la fraternità nel presbiterio non sono anzitutto opere che possiamo e dobbiamo realizzare, non sono realtà da costruire e da edificare. Sono piuttosto il mistero reale da accogliere e da manifestare, come epifania del dono ricevuto. L’impegno personale e l’iniziativa pastorale non devono mai farci dimenticare che la verità della comunione è già data nell’evento di Cristo crocifisso. Di questo dobbiamo essere sempre consapevoli, contrastando in modo cosciente e responsabile l’agire diabolico che disgrega, che divide, che separa. E che impedisce di essere seminatori di vita, di essere Chiesa missionaria. Perché la verità di Dio-Amore viene appresa dagli uomini attraverso lo stesso linguaggio con il quale si è comunicata a noi, e cioè attraverso Cristo, attraverso la testimonianza della sua vita donata per amore fino alla morte in croce. Nella nostra vita ecclesiale, nei nostri rapporti tra presbiteri, nelle fatiche pastorali dobbiamo sempre imparare questo linguaggio, l’unico che lascia trasparire la verità di Dio. Non c’è altro linguaggio che possa aprire alla rivelazione del Dio-Amore in Cristo Gesù.
La formazione è vera e autentica se rende visibile ai nostri occhi e agli occhi dei fratelli l’amore-comunione che è in noi, la presenza stessa di Dio dentro di noi e in mezzo a noi, grazie al nostro incontro con Gesù Cristo nella sua Chiesa. Questo incontro ci genera come nuove creature, come uomini nuovi, rivestiti di Cristo: la sua presenza trasforma la nostra esistenza e la rende disponibile al dono, alla gratuità, alla comunione.
L'Osservatore Romano,