venerdì 27 marzo 2015

Il caso Dolce & Gabbana

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(di Tommaso Scandroglio) La miccia è esplosa una paio di settimane fa quando gli stilisti Stefano Dolce e Domenico Gabbana, famigerata ex coppia omosessuale, sono stati intervistati da Panorama. «Se c’è una cosa che non deve cambiare è la famiglia ‒ spiega Stefano ‒.La famiglia non è una moda passeggera. È un senso di appartenenza sovrannaturale».
Domenico rilancia: «Non abbiamo inventato mica noi la famiglia. L’ha resa icona la Sacra famiglia, ma non c’è religione, non c’è stato sociale che tenga: tu nasci e hai un padre e una madre». Questo per dire che il “matrimonio” omosessuale è un vestito che a loro calza troppo stretto e che la fantasia di uno stilista non può spingersi a reinventare il look della famiglia.
Poi si tocca il tema coppie gay e figli: «Non mi convincono quelli che io chiamo i figli della chimica, i bambini sintetici ‒ afferma Dolce ‒ uteri in affitto, semi scelti da un catalogo. E poi vai a spiegare a questi bambini chi è la madre. Procreare deve essere un atto d’amore, oggi neanche gli psichiatri sono pronti ad affrontare gli effetti di queste sperimentazioni». Di diverso avviso Gabbana: «Un figlio? Sì, lo farei subito».
Dolce però non teme di corregge il compagno: «Io sono gay, e non posso avere un figlio. Credo che non si possa avere tutto dalla vita, se non c’è vuol dire che non ci deve essere. È anche bello privarsi di qualcosa. La vita ha un suo percorso naturale, ci sono cose che non vanno modificate. Una di queste è la famiglia».
Al termine ecco il sigillo finale: «Che fossi gay – tiene a precisare Gabbana ‒ mia madre lo venne a sapere da un telegiornale. Fu difficile all’inizio. Mi fece una scenata: Cosa dico alla vicina? Nulla, non dirle nulla mamma. E poi se amo un uomo o una donna che importanza ha per te? Lei mi guardò e poi mi disse: è vero, non ha nessuna importanza».
La pop star Elton John, leggendo l’intervista, è andato su tutte le furie, lui che ha commissionato due pargoli tramite la pratica dell’utero in affitto. Si è stracciato le vesti griffate D&G ed ha sbottato su Instagram: «Come vi permettete di dire che i miei meravigliosi figli sono “sinteticiˮ? Dovrebbero vergognarsi per aver puntato i loro ditini contro la fecondazione in vitro, un miracolo che ha consentito a legioni di persone che si amano, etero ed omosessuali, di realizzare il loro sogno di avere figli».
Insomma, tanto per rimanere in tema, le ha cantate a quei due omosessuali omofobi ed ha lanciato la campagna #boycottDolce&Gabbana per boicottare i prodotti della maison D&G. La diatriba molto chic ma così poco gaia – nell’immaginario collettivo infatti alla parola “gay” si associano sempre termini come “pace” e “rispetto” – è poi proseguita e sulla passerella dei social sono sfilate altre stoccate.
«Boicottarci per cosa, perché non la pensiamo come voi? Siamo nel 2015, questo non è corretto. È medievale ‒ ha fatto sapere Gabbana ‒ ognuno deve scegliere ciò che vuole. Questa è la democrazia». Domenico Dolce ha aggiunto: «Credo nella famiglia tradizionale, è impossibile cambiare la mia cultura, ma rispetto tutto il mondo e tutte le culture». I due hanno così concluso: «Noi amiamo le coppie gay. Noi siamo gay. Amiamo l’adozione gay. Ci piace tutto. Ma è solo una espressione di un personale punto di vista».
Qualche pensierino a margine di queste schermaglie tutte intestine al mondo arcobaleno. Ben venga la difesa dei due stilisti della famiglia (famiglia punto: non esiste quella tradizionale, come se la famiglia fosse un piatto valdostano passibile di differenti interpretazioni culinarie). Ma se riconoscono il valore della famiglia, quel legame specialissimo che unisce un uomo e una donna, perché lo hanno scimmiottato fino a qualche anno fa convivendo e frequentandosi? Fare coppia gay è infatti di per se stesso un insulto a questa istituzione.
In secondo luogo è bastato uno starnuto di Elton John accompagnato dalla minaccia di far liberare gli armadi dei “vippaioli” dell’orbe terracqueo dai loro capi di abbigliamento che i due hanno subito ingranato la retromarcia pigolando che sono a favore delle adozioni gay e che il loro era solo un parere personalissimo.
Insomma: ognuno si cuce l’abito morale su misura, come tradizione sartoriale ideologica insegna. In terzo luogo questa campagna con il freno a mano tirato contro le adozioni gay e la fecondazione artificiale sta facendo passare questo messaggio anche tra i più conservatori: disdicevole assai che una coppia omosessuale voglia un bambino, ma quant’è bella l’omosessualità. Ma qui sta il capo fallato del ragionamento: se accetti la relazione omosessuale perché rifiutare il “matrimonio” omosessuale? Perché dire no all’adozione gay? In breve, una volta che hai accolto l’omosessualità devi accogliere anche tutte le pretese della persona omosessuale.
Una volta che hai piantato nel tuo giardino l’albero del male non puoi impedirgli di portare frutto. Infine abbiamo avuto la riprova che l’ideologia gender indirizza le sue armi di distruzione di massa culturale anche a danno di personaggi omosessuali assai quotati nello star system, gente come Dolce e Gabbana che fino a ieri erano stati uno dei vessilli della battaglie gay. Ma ciò è inevitabile.
Chi può danneggiare di più la causa arcobaleno? Il cattolico ortodosso, sposato, con quattro figli e devoto a Santa Romana Chiesa, oppure l’omosessuale dichiarato? Certamente il secondo perché più credibile, perché non sospetto di partigianeria gender. D&G sono dunque gli infedeli al credo gay a cui mozzare il capo. Però in modo incruento, non acquistando più quel pellicciotto eco che – ahité – tanto ti era piaciuto.