mercoledì 25 marzo 2015

Famiglie sfinite


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di Costanza Miriano
Ieri le parole del Papa mi hanno commossa. Quando ha chiesto di pregare per le famiglie sfinite e stanche mi è sembrato di capire il senso della sua sollecitudine, il senso del Sinodo, forse, anche.
Il Papa sa bene quanto è dura la realtà qui fuori. Il matrimonio, la fedeltà a una sola persona, a una sola vita, a una sola scelta, per sempre, per tutta la vita non è naturale, e infatti i discepoli quando Gesù gliene parla dicono “non conviene sposarsi”. È vero, la stabilità è necessaria ai figli, e infatti nei secoli si è cercato di organizzare la famiglia stabilmente, in modo che potesse durare. L’idea dell’amore romantico, e poi della morale borghese che si è sovrapposta a quella cristiana, hanno introdotto nella cultura l’idea che il matrimonio fosse naturale, ma oggi non possiamo più dire questo.
Oggi viviamo immersi in un’altra idea di natura, per cui sembra non solo legittimo ma quasi doveroso seguire i propri impulsi, desideri, istinti. E così dire “per sempre” sembra impossibile ai nostri cuori a volte feriti dalla stanchezza, dalle delusione, dal nostro piccolo bagaglio di dolore, dal nostro inconscio così poco educato a essere dominato e contenuto, così alieno all’idea di ascesi e di lavoro su di sé. Gesù sa cos’è nel cuore dell’uomo, ogni sorta di schifezza, non è proprio il termine che usa il Vangelo ma il senso è quello. Eppure ha il coraggio di proporre all’uomo qualcosa di grandissimo. Un amore che sia per sempre. Il passaggio a un livello più alto di amore, che non sia più solo umano, simbiotico, istintivo, facile e gratuito, un amore altro, che diventa un mistero grande. Per questo passaggio c’è bisogno di una decisione totale, di un lavoro, e non tutti ce la fanno.
“La Chiesa come madre, non abbandona mai la famiglia, anche quando essa è avvilita, ferita e in tanti modi mortificata. Vi chiedo di pregare per le famiglie sfinite e stanche”. Questo Papa mi piace sempre di più. Non credo certo che sia perché lui cambi in qualche modo atteggiamento, ma perché io imparo piano piano a capirne meglio il linguaggio, a esserne figlia più pienamente. Passate le preoccupazioni dettate peraltro quasi solo dalla lettura dei giornali capisco che il Papa con il Sinodo si pone davvero solo il problema di non lasciare indietro nessuno. Il matrimonio è sacro, inviolabile, ha ribadito ancora ieri, e la famiglia è sotto attacco, soprattutto a causa dell’ideologia gender (lo ha ridetto anche a Napoli), ma come possiamo renderci vicini a chi si è perso? A chi a un certo punto della sua vita si accorge che ha peccato, cioè che ha sbagliato mira?
Sono certa che il Papa non intenda certo fare sconti sulla dottrina, né sulla necessità di confessare i propri peccati facendo il proposito di non ripeterli, prima di fare la comunione. Vuole solo soccorrere chi non ce la fa, chi non ce l’ha fatta. Farsi vicino anche ai peccatori, perché noi sappiamo che peccare è mancare il bersaglio, e quindi soffrire, fallire, non realizzare compiutamente la propria umanità, e quando siamo peccatori non abbiamo bisogno, in questa vita, di altra condanna oltre al nostro fallimento.
Credo che il Papa sia tormentato da questa domanda: come farci vicini a tutti, anche a chi sembra perso, anche a chi ha scoperto tardi il volto di quello che ci ama di un amore perfetto, e che può ricolmare tutte le attese, anche quelle degli sposi stanchi e feriti. Come non escluderli, senza per questo smettere di essere profetici, smettere di annunciare una bellezza più grande, smettere di custodire la casa alla quale poi tutti, tutti quelli che cercano Dio sinceramente, possano tornare?