lunedì 23 febbraio 2015

"Il Papa gesuita": cristianesimo e libertà in Francesco

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Papa Francesco è il primo Pontefice gesuita della storia e questo si ripercuote nei suoi gesti, nelle sue parole e nei suoi pensieri. Capire questa relazione è quanto si propone di analizzare il volume: “Il Papa gesuita. ‘pensiero incompleto’, libertà e laicità in Papa Francesco”, edito da Mondadori e scritto da Vittorio Alberti, docente di filosofia alla Pontificia Università Lateranense e officiale del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace. Il libro è un’occasione per capire i rapporti tra cristianesimo, libertà di pensiero e laicità. All'autore, Michele Raviart ha chiesto in che cosa l'essere un figlio di Sant'Ignazio emerga dalle parole e dai gesti di Francesco:
R. – Nell’essere libero. Questo è molto chiaro, perché il gesuita ha una spiritualità che gli prescrive di cercare Dio in tutte le cose. Gli esercizi di sant’Ignazio prescrivono questo: in ogni cosa cercare la volontà di Dio. Tutte le cose significa anche le più impensate, le più imprevedibili, le più originali, quindi non solamente dentro le strutture della Chiesa, non in ciò che tu ti aspetteresti. Questa libertà di ricerca, della vocazione, lui la traduce in termini di assunzione del suo ruolo. E questo è, credo, ciò che di più gesuitico ci sia in lui.
D.  –Il sottotitolo del libro è “Pensiero incompleto, libertà, laicità in Papa Francesco”. Perché pensiero incompleto?
R.  – Di “pensiero incompleto” ha parlato lui ed è una categoria propria della spiritualità dei gesuiti ed è un pensiero che non si chiude, che non mette un punto definitivo, quindi che non crea una coercizione: ci credi, sei dentro, non ci credi, sei fuori. Incompleto vuol dire che è sempre aperto, sempre alla ricerca, come il pensiero della filosofia.
D. – Uno dei punti, sfogliando questo libro, è Papa Francesco e l’anticlericalismo…
R.  – L’anticlericalismo è una categoria che viene interpretata secondo ciò che la storia ci ha consegnato, quindi noi lo intendiamo generalmente come il movimento di liberazione dalla Chiesa intesa come struttura di potere legata alle corone. L’anticlericalismo vero non è altro che il cristianesimo, non è altro che l’istanza di libertà e di liberazione propria del cristianesimo che si oppone all’idolatria della struttura visibile. Io cristiano libero non posso che essere alla continua ricerca della testimonianza, della mia fede, dell’affermazione della fratellanza… Quindi, Francesco indica la strada dell’anticlericalismo in questo senso: dobbiamo essere più cristiani, meno clericali.
D. – Un altro punto sono gli aspetti di continuità fra Benedetto XVI e Papa Francesco…
R.  – L’elemento di continuità direi che è addirittura logico. Benedetto XVI ha compiuto questo gesto enorme della rinuncia e ha segnato il passo: cioè, io credo che abbia dato la linea al conclave. Di fronte a un gesto così importante, così grave, così drammatico e così coraggioso, lui ha detto: non si può che arrivare a una soluzione di rinnovamento radicale della struttura ecclesiastica e quindi della Chiesa, tornando alle origini, in qualche modo.
Radio Vaticana
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Il Papa gesuita. Un mio commento al volume di Vittorio Alberti

Come forse sapete sono stati pubblicati più di 230 libri su Papa Francesco. Io, in genere, sono più attento a studiare e a capire non tanto cosa viene scritto sul Papa ma come governa la Chiesa, le riflessioni che propone e come si muove Papa Francesco… devo ammettere però che alcuni di questi libri (ripeto, dico alcuni!) sono di valore. Eccone uno.
Partiamo dalle domande…
Tra questi forse il più provocatorio per me c’è quello intitolato Il Papa gesuita (vedi volume) che pone, direbbe la terminologia gesuita, domande audaci e anche originali: cosa direbbe Dante Alighieri di Papa Francesco? Cosa penserebbe Ignazio di Loyola se fosse paragonato a don Quijote de la Mancha? E cosa, se la sua spiritualità fosse accomunata all’illuminismo di Immanuel Kant (osa sapere!) o alla vita come ricerca e alconosci te stesso di Socrate? E cosa penserebbe mai, ancora sant’Ignazio, se gli si dicesse che l’artista che meglio ne mette in figura il pensiero è il tormentato Caravaggio? Domande prive di senso? No, perché il volume ne contiene altre ancora più spinose: cosa potrebbe oggi pensare Benedetto XVI vedendosi affiancato all’apostolo, primo papa, san Pietro, che nella Commedia dantesca si scaglia contro i membri dell’alto clero che,vestendo panni da pastori, sono invece lupi rapaci?
Insomma in questo libriccino, nel quale a un certo punto è scritto che l’eresia è un falso logico (cioè, fuor di denti, l’eresia non esiste), ma purtroppo un vero storico e politico pubblicato a luglio e subito presentato dall’«Osservatore Romano», ed è stato scritto da un laico, oggi officiale della Santa Sede, già docente di Filosofia: il trentaseienne Vittorio V. Alberti.
Un pensiero che diventa filosofia
Il libro “declina” i contenuti di Papa Bergoglio in filosofia. Per poterlo fare l’A. ricerca i segni del gesuita nelle parole del Papa. Si intrecciano così vari stili: dal divulgativo, al letterario, dal didattico allo scientifico passando talora anche attraverso la biografia dell’autore. Per quale ragione? Perché la spiritualità gesuitica è intesa, come si legge, come “esistenzialista”: passa cioè attraverso l’esperienza vissuta, e con essa fa i conti fino in fondo perché è immersa di luce e di buio. Ecco perché il libro non esce con una foto del Papa ma con il dubbio e il tormento dell’apostolo Tommaso dipinto dal Caravaggio.
Vengono richiamati pensatori di rilievo: da Socrate a Kant, da Pedro Arrupe, Carlo Maria Martini e Matteo Ricci al film «Il settimo sigillo» di Bergman.
Le barzellette sui gesuiti
Sono citate anche gustose barzellette sui gesuiti. Un giorno un tale chiede a un gesuita: «Perché i gesuiti  voi gesuiti rispondete sempre a una domanda con un’altra domanda?». E il gesuita: «Chi le ha detto questa falsità?». Verrebbe da dire che il segreto è nella domanda. Il segreto di tutto, probabilmente. Forse anche quello di chiedersi se Dio esista o no (pp. 72-73).
«Cos’è quella cosa che neppure Dio conosce? Ciò che pensano i gesuiti», e «cosa fanno dieci gesuiti intorno a un tavolo? Quindici opinioni differenti». Ce ne sono tante di queste barzellette, anche di pesanti, anche più soddisfacenti di queste due, che loro stessi raccontano o pubblicano nei loro siti, non senza un certo autocompiacimento.
Ecco, questo umorismo, per chi si muove tra la religione e la non religione, tra credere e non credere in Dio, tra necessità di autenticità e refrattarietà a clericalismi di ogni genere, offre la sponda per dire la propria senza sentirsi addosso un giudizio pregiudiziale. È proprio l’umorismo una delle vie per capire l’identità dei gesuiti. Scrive l’A. “ce ne sono tante di queste barzellette, anche di pesanti, anche più soddisfacente di queste due, che loro stessi raccontano o pubblicano nei loro siti, non senza un certo compiacimento” (p. 75).
Lo stesso gesuita mi ha raccontato questa storiella, per me sfiziosa tanto più perché contrappone un francescano con un gesuita. Un tizio dice a un francescano: «padre, può dire una novena per farmi vincere una Ferrari alla lotteria?». E il francescano: «figlio mio, cos’è un Ferrari?». Allora, l’uomo si rivolge a un gesuita: «padre, può dire una novena per farmi vincere una Ferrari alla lotteria?». E il gesuita: «Cos’è una novena?».
E poi ha aggiunto, facendosi più serio, anche se non troppo: i gesuiti, in genere, sono molto contenti di ciò che sono e non ci pensano troppo se sono o non sono peccatori. Superbia intellettuale? O carità nel senso che hanno una visione della fede non giudicante? Il mito dei gesuiti accusati di tramare e ordine complotti, di essere quindi molto poco spirituali, ma mondani, di fatto… (p. 80)
Nel volume si trova anche uno “strano” accostamento tra Quijote e Ignazio (è dedicato un capitolo sulla sua vita e un altro su cosa sono gli «Esercizi spirituali») e a un’inedita attualizzazione del san Francesco di Dante, posto fianco a fianco a Benedetto XVI e Papa Bergoglio.
La proposta filosofica dell’autore? Superare (finalmente) la distinzione netta tra credenti e non credenti per passare a quella (molto filosofica e molto martiniana) tra pensanti e non pensanti, tra chi costruisce il bene comune e chi invece vive del privilegio di sé.
Verso una laicità matura
Tra le righe escono i tratti di una nuova laicità che supera gli storici steccati della distinzione tra laici e cattolici. Un tema, questo, già trattato da Alberti in un volume del 2012, di stile accademico, intitolato Nuovo Umanesimo, Nuova Laicità.
«Il papa gesuita» rivela, così, un tratto originale, tanto più perché rivolto in particolare a chi è lontanissimo dalla Chiesa, o le è avverso, e, nello stesso tempo, è rivolto contro il rigorismo e il clericalismo che allignano tra noi cattolici, senza dimenticare di sferzare neocons e atei devoti. Un indizio per tutti: il capitolo intitolato l’anticlericalismo non antiecclesiastico, cioè, in altre parole: il clericalismo è contro il cristianesimo.
La laicità (di qui il sottotitolo) si fonda sul fatto che la libertà del pensiero c’è sia nel terreno non cristiano che in quello cristiano, che non sono divisi con la scure, e che la misericordia non è solo una categoria del cuore, ma forse prima di tutto una categoria del pensiero, un atteggiamento filosofico di apertura, che scarta ogni dogmatismo e integrismo.
Di qui, l’idea che percorre tutto il testo della “filosofia come laicità” nel solco del pensiero di Jorge Mario Bergoglio.