sabato 31 gennaio 2015

IV Domenica del Tempo Ordinario - Anno B

Nella quarta domenica del Tempo ordinario la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù insegna nella sinagoga di Cafarnao e tutti erano stupiti perché insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. C’è lì un uomo posseduto da uno spirito impuro che gli grida contro. Gesù dice:
«Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.
Il commento di don Ezechiele Pasotti:
C’è una pagina del Vaticano II che può essere posta qui come commento al Vangelo di oggi: “Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (cfr. Ef 2,18; 2 Pt 1,4). Con questa Rivelazione infatti Dio invisibile (cfr. Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé. Questa economia della Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto” (Dei Verbum, 2). È proprio ciò che Marco racconta nel Vangelo di oggi: l’amore di Dio si manifesta nella parola del Signore, pronunciata con autorità – non le chiacchiere vuote di giornali e televisioni, ed anche nostre –, una parola che opera, che libera chi è vittima del male, che lo strappa dal potere del Maligno per restituirlo alla sua dignità, alla sua libertà di figlio di Dio. “Taci, esci da lui!”. Anche oggi siamo invitati a incontrare, nella Liturgia, il Signore che viene con la sua parola, detta con autorità, per liberarci dal potere del Maligno che si insinua dentro di noi per strapparci il dono del battesimo.

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MESSALE
Antifona d'Ingresso  Sal 105,47
Salvaci, Signore Dio nostro,
e raccoglici da tutti i popoli,
perché proclamiamo il tuo santo nome
e ci gloriamo della tua lode.

Colletta

Dio grande e misericordioso, concedi a noi tuoi fedeli di adorarti con tutta l'anima e di amare i nostri fratelli nella carità del Cristo. Egli è Dio e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

 
  
Oppure:
O Padre, che nel Cristo tuo Figlio ci hai dato l'unico maestro di sapienza e il liberatore dalle potenze del male, rendici forti nella professione della fede, perché in parole e opere proclamiamo la verità e testimoniamo la beatitudine di coloro che a te si affidano. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
   
LITURGIA DELLA PAROLA
    
Prima Lettura  Dt 18, 15-20
Susciterò un profeta e gli porrò in bocca le mie parole.
Dal libro del Deuteronòmio
Mosè parlò al popolo dicendo: «Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto. Avrai così quanto hai chiesto al Signore, tuo Dio, sull'Oreb, il giorno dell'assemblea, dicendo: "Che io non oda più la voce del Signore, mio Dio, e non veda più questo grande fuoco, perché non muoia".
Il Signore mi rispose: "Quello che hanno detto, va bene. Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò. Se qualcuno non ascolterà le parole che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto. Ma il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dèi, quel profeta dovrà morire"».
    
Salmo Responsoriale
  Dal Salmo 94/95
Ascoltate oggi la voce del Signore.
    
Venite, cantiamo al Signore,
acclamiamo la roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia.

Entrate: prostràti, adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.
È lui il nostro Dio
e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce.

Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Merìba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova
pur avendo visto le mie opere».
     
Seconda Lettura
  1 Cor 7, 32-35
La vergine si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, io vorrei che foste senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso!
Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito.
Questo lo dico per il vostro bene: non per gettarvi un laccio, ma perché vi comportiate degnamente e restiate fedeli al Signore, senza deviazioni.
  
Canto al Vangelo
  Mt 4,16
Alleluia, alleluia.
Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce,
per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta.
Alleluia.
   
   
Vangelo  Mc 1, 21-28
Insegnava loro come uno che ha autorità.
Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao,]insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi.
Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.
Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnaménto nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!».
La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.

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Solo Gesù ci può guarire dal veleno che il demonio ci ha iniettato

Commento al Vangelo della IV Domenica del Tempo Ordinario - Anno B


Con il brano di questa domenica siamo invitati ad entrare con Gesù in una sua giornata tipo e capire così il cuore della sua missione: strappare gli uomini al regno di satana per ricondurli al Regno di Dio.
La battaglia iniziata nel deserto e proseguita in Galilea si sarebbe compiuta sul Calvario, dove avrebbe sconfitto il nemico di Dio con l'umiltà di un Agnello.
Il demonio sapeva che Gesù era "il Santo di Dio" venuto per “rovinarlo”. Ma rovinare che cosa? Il suo piano di distruzione dell'umanità, la sua volontà di farci precipitare all'inferno dove lui è condannato per l'eternità.
Per riuscire nell'impresa e rubare i figli a Dio, doveva togliergli autorità e credibilità. Doveva insinuare il dubbio nelle sue creature, così che fossero loro a ribellarsi e tagliare con il Creatore. Ed è proprio quello che fa con tutti noi, spargendo menzogne su Dio e sulla storia. 
Il demonio, infatti, è uno “spirito impuro” perché mira a sporcare lo sguardo inquinandolo alla fonte; e uno sguardo macchiato non vede più l'amore di Dio, smarrisce le ragioni per lodarlo e quindi se ne separa.
Ci aspetta nei pressi dell'albero della conoscenza del bene e del male, pronto a ingannarci per iniettarci il veleno nel cuore: "perché devi lasciare che sia un altro a decidere per te?". Già, perché qualcuno deve limitarmi o togliermi la libertà?
Ma questa domanda non sorge dal nulla, non è naturale come potremmo pensare. Non è dovuta alle circostanze avverse, alle ingiustizie subite, agli atteggiamenti degli altri. Il demonio, infatti, essendo il "più astuto" di tutti, aveva già in precedenza provveduto ad avvelenare il pozzo: "È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?" (cfr. Gen3). 
Queste parole si riflettono in quelle indirizzate a Gesù nella sinagoga: "io so chi tu sei!", so che sei il Santo di Dio e vuoi "rovinarmi", perché Dio è geloso della sua creatura, non vuole che sia come Lui... Per questo attenzione, dietro ad ogni rivendicazione c'è sempre un rifiuto della realtà causata da una visione distorta di essa.
Il demonio fa sempre così: prima ritocca con photoshop il panorama della tua vita, il tuo fisico, la tua famiglia, quel fatto e quell’altro; poi ti mostra la sua opera insinuandoti che la causa di tutto sia Dio; quindi ti spinge a rifiutare la storia e a ribellarti ritoccandola per farla diventare come più ti piacerebbe.
Ma succede che più picconate o colpi di scalpello dai, più la vita diventa brutta e invivibile. Ecco, ormai siamo “posseduti” dal demonio, senza bisogno di corna ed effetti speciali, ma nel cuore, proprio come "l’uomo" incontrato da Gesù. 
Per questo, quando Gesù “di sabato entra nella sinagoga” ci da’ fastidio. Quando “insegna con autorità” durante le liturgie, attraverso la predicazione e la proclamazione della Parola, induriamo il cuore perché pensiamo che venga a “rovinare” quello che stiamo cercando di costruire.
Gesù sa che il nostro problema è il veleno che il demonio ci ha iniettato prima della ribellione. Per questo non giudica nessuno! Sa che siamo malati, e ci vuole guarire purificando la fonte dei nostri atteggiamenti malvagi. 
Ma lo può fare solo Lui. E’ inutile ricorrere agli uomini, ai profeti che “dicono nel nome di Dio parole che Lui non gli ha comandato di dire” o a quelli falsi che “parlano nel nome di altri dei”; e ce ne sono tanti anche tra gli amici, a volte persino tra le persone che ci vogliono bene, che interpretano carnalmente il vangelo o consigliano scelte secondo gli idoli mondani, i soldi, il prestigio e la carriera, il piacere e, soprattutto, spingendoci a scappare dalla croce. Chiunque ti alliscia e non ti annuncia la Verità del vangelo puzza di serpente…
Abbiamo bisogno dell’“autorità” di Gesù, che lo rende così diverso dagli “scribi”. Lui non parla con supponenza, la sua cattedra non è posta in alto, ma accanto ai poveri e ai peccatori. Dio lo ha “suscitato in mezzo a noi”, è il “profeta pari a Lui” proprio perché non ha avuto scandalo di farsi nostro “fratello”. Sa riconoscere in noi l’immagine di Dio, non gli sono estranee le nostre sofferenze, pur non avendo peccato ha sperimentato sino in fondo che cosa significa morire a causa dei peccati.
Ha portato in terra il volto del Padre, ha dato carne al suo amore, ha incartato nella misericordia la sua onnipotenza, perché a causa della nostra disobbedienza non “morissimo” a contatto con il “fuoco” della sua gelosia.
Per questo nella Chiesa la voce di Dio si infila umilmente nelle parole umane dei suoi ministri. In essa possiamo udire e vedere il suo potere perché Gesù è vivo e, pensate all’eucarestia e alla confessione ad esempio, non parla in nome di Dio, come facevano gli scribi; Lui è Dio, Lui è presente nella sua comunità e nei presbiteri, e per questo può rivolgersi in prima persona e “comandare persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!”.
L’esorcismo di cui tutti abbiamo bisogno è quindi l’ “insegnamento nuovo, dato con autorità” da Gesù, ovvero l’annuncio del Vangelo, la sua Parola predicata dal suo Corpo che è la Chiesa. Essa è l’unica in grado di smentire la menzogna del demonio, perché lo fa svelando l’amore di Dio seminato in ogni millimetro della storia dell’umanità, in ogni secondo della nostra vita; perché annuncia Cristo crocifisso per i peccatori e risorto per la loro giustificazione.
Cristo che scende con autorità sino al cuore e lo guarisce: “Taci!” grida al demonio, letteralmente "ti metto una museruola", ovvero la Verità che esce dalla mia bocca per chiudere la tua. “Smetti di ingannare interpretando con malizia gli eventi. E’ falso quello che dici! Il Padre ha creato ogni uomo come un prodigio, la morte l’hai portata tu tra gli uomini, con la tua menzogna piena di superbia. Taci ora, ed esci da lui”.
In questo uscire del demonio c’è tutta la “rovina” dell’uomo vecchio. E quando un edificio crolla non è come una gita fuori porta… E’ “strazio e grida” dell’orgoglio che non vuole lasciare il suo posto. Quanta difficoltà per umiliarci e chiedere perdono, vero?
Ma si tratta dei dolori del parto attraverso il quale viene alla luce l’uomo nuovo, libero dai legami asfissianti della carne. L’uomo che ama tutti autenticamente perché “si preoccupa delle cose del Signore” nella vita di ciascuno, non delle proprie. Come una moglie colma dell’amore di Cristo che vive come se non fosse sposata, che cioè si preoccupa di “essere santa nel corpo e nello spirito” per piacere a Dio e condurre così a Lui il suo sposo, senza cercare nulla per se stessa. Non è follia, è la meraviglia di chi si “comporta fedelmente” secondo la “dignità” che Cristo gli ha ridonato, perché è falso che “non abbiamo niente a che fare” con Dio. Apparteniamo a Lui e non al demonio!
Il battesimo ci ha fatto morire e risorgere con Cristo: per questo, anche se per amare occorre lasciarsi crocifiggere, la morte non è la nostra “rovina”, ma quella del demonio! E’ la Pasqua, il passaggio alla felicità vera che è la libertà di donarsi senza riserve, l’anticipo del paradiso già qui, ora.
La vita eterna che rende a Dio la “fama” che il demonio vuole sottrargli. Il destino da testimoniare al mondo perché, di fronte alla nostra vita, si chieda: “che cos’è questo?”. Siamo chiamati a generare lo "stupore" nelle persone, per aprirle alla domanda cruciale: "il Cielo dunque esiste davvero?", e così rispondere con l'annuncio del vangelo, il primo passo verso la fede.

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Lo stupore davanti al Profeta

Lectio Divina sulle letture liturgiche della IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B), 1° febbraio 2015

Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche della IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B), 1° febbraio 2015.
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Lo stupore davanti al Profeta
Rito Romano
IV Domenica del Tempo Ordinario - Anno B – 1° febbraio 2015
Dt 18,15-20; Sal 94; 1Cor 7,32-35; Mc 1,21-28[1]
Rito Ambrosiano
IV Domenica dopo l’Epifania.
Sap 19,6-9; Sal 65; Rm 8,28.32; Lc 8,22-25
1) La parola dolce, forte, vera del “profeta” Gesù.
Cristo, che è più forte di Giovanni, ha una parola convincente, un insegnamento nuovo che stupisce ed è autorevole      
La Liturgia della Parola di questa domenica presenta in risalto la figura di Gesù come il vero profeta, che parla ed agisce in nome di Dio.
Il brano preso dal libro del Deuteronomio descrive le caratteristiche del profeta, la cui missione è profondamente ancorata a Dio. Il profeta è il portavoce di Dio e la sua parola è efficace e creatrice, e chi non l'ascolterà sarà chiamato a renderne conto e guai a chi si spaccia come profeta e non lo è.
Il profeta non è uno che predice l’avvenire. L’elemento essenziale del profeta non è quello di predire i futuri avvenimenti; il profeta è colui che dice la verità perché è in contatto con Dio e cioè si tratta della verità valida per oggi che naturalmente illumina anche il futuro. Dunque anche quando parla del futuro il profeta non predice il futuro  nei suoi dettagli, ma rende presente a chi lo ascolta la verità divina e  indica il cammino da prendere.
A questo punto, uno può chiedersi si può chiamare profeta il Cristo? Penso proprio di sì. Nel Deuteronomio (cfr I letture di oggi) Mosè profetizza: “Un profeta come me”. La guida liberatrice dall’Egito ha trasmesso ad Israele la Parola e ne ha fatto un popolo, e con il suo “faccia a faccia con Dio” ha compiuto la sua missione profetica, portando gli uomini all’incontro con Dio. Tutti gli altri profeti seguono quel modello di profezia, sempre e nuovamente liberando la legge mosaica dalla rigidità per trasformarla in un cammino vitale.
Padri della Chiesa hanno interpretato questa profezia del Deuteronomio come una promessa del Cristo. Ed hanno ragione, perché il vero e più grande Mosè è quindi il Cristo, che realmente vive “faccia a faccia con Dio” perché ne è il Figlio.
In ciò i Padri della Chiesa non fanno che esplicitare il brano odierno preso dal Vangelo di Marco, che mette in risalto che il profeta annunciato da Mosè è Gesù ed infatti parla con autorità e comanda agli spiriti immondi che gli obbediscono.
Nel brano di oggi del Vangelo di Marco risalta che il profeta annunciato da Mosè è Gesù. Come è solito fare il sabato, il Messia entra nella sinagoga, dove la comunità ebraica locale[2] era solita riunirsi per ascoltare e commentare la Torah, cioè la legge. E proprio in questo contesto che Gesù si manifesta come nuovo profeta, suscitando stima e rispetto nei presenti, che però lo condanneranno per seguire i falsi profeti.
Con questo episodio l’Evangelista Marco inizia il racconto dell’attività pubblica di Gesù e inizia lo svolgimento del suo tema più importante: chi è Gesù?
Due cose sono subito affermate con chiarezza, anche se non ancora svolte compiutamente (l’Evangelista le svilupperà piano piano lungo l’intero suo Vangelo): 1) l’insegnamento di Gesù è nuovo e diverso da quello degli scribi; 2) la sua autorità si impone persino agli spiriti maligni.
2) Lo stupore.
A questo riguardo vorrei sottolineare lo stupore degli ascoltatori di allora perché diventi anche nostro. San Marco ha scritto: “Erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava come uno che ha autorità e non come gli scribi”. La stessa annotazione – con qualche variante – è ripetuta alla fine dell’episodio: “Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità”.
Tutti erano stupiti, quasi increduli, ma percepivano, nelle parole di lui, la forza superiore della grazia, come scriverà pure San Luca: “erano stupiti, per le parole di grazia che pronunciava” (Lc 4,22).
E’ questa l’autorevolezza di Gesù del quale si dice: “Un grande profeta è sorto tra noi: Dio ha visitato il suo popolo” (Lc 7, 16).
Davanti a questo profeta “definitivo”, l’atteggiamento da avere è quello dell’ascolto pieno stupore. Ascolto che esige un clima di silenzio interiore e di stupita tensione, segno del desiderio di conoscenza, nel quale nasce e cresce un atteggiamento di accoglienza, come ha fatto la Madonna: accoglienza della Parola, che, in Dio, è Persona, quel Verbo eterno, di cui Giovanni dice: “E il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di lui e, senza di lui, nulla fu fatto di ciò che è creato” (Gv 1,1-3).
La Parola di Dio non è un semplice suono di voce, che veicola un pensiero, ma parola che opera, e vivifica; Parola che salva e che, per amore, si è fatta carne in Gesù di Nazareth, il Figlio di Maria, la donna dell’ascolto e dell’accoglienza: “Eccomi -fu la sua risposta- avvenga (fiat) in me secondo la tua parola...”(Lc 1,38), quella parola, recata a lei dall’Angelo, che parlava da parte di Dio.
Siamo perseveranti nell’imitare Maria. Di lei, icona dell’ascolto, e nel cui grembo la Parola di Dio prese un corpo, come ogni altro figlio di donna. Il Vangelo dice: “Maria, da parte sua, conservava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”(Lc 2,19). Ed è attorno alla parola e all’ascolto stupito che ruota, oggi, il Vangelo di Marco, un brano brevissimo, che parla appunto di stupore, da parte di quanti, nella sinagoga di Cafarnao, avevano udito Gesù di Nazareth commentare i testi della Scrittura: “Erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro, come uno che ha autorità, e non come gli scribi” (Mc 1, 28).
Insisto sull’importanza dello stupore, perché secondo me la certezza della fede fiorisce dallo stupore di fronte a una presenza nella carne. Basta guardare i Vangeli: dai pastori alla culla di Betlemme, fino agli angeli che accolgono il Signore risorto nel suo vero corpo quando ascende al Cielo. Oggi questo tratto distintivo della fede di chi porta il nome cristiano sembra perduto. Tutto si concepisce e si organizza come se la certezza cristiana fosse -solo o soprattutto- conseguenza di una riflessione, di un discorso persuasivo. La Chiesa è Maestra, che insegna la verità, ma è anche Madre che dona la vita e come diceva san Giovanni di Damasco: “I concetti creano gli idoli, lo stupore genera la vita”. Scrivo questo per evitare che il nostro cristianesimo sia ridotto ad un discorso o ad un metodo astratto da insegnare o da apprendere concettualmente, perché i concetti sono l’esplicitazione sempre imperfetta di una conoscenza personale. La sostanza della rivelazione non consiste nell’insegnamento di una dottrina, ma nel manifestarsi di una presenza. Il card. Henri de Lubac ha scritto che “può esistere una idolatria della Parola e del parlare che non è meno dannosa di quella delle immagini”.
Insisto sullo stupore per sottolineare l’importanza della semplicità del cuore e della mente. La semplicità che i poveri di spirito vivono è pure il metodo con cui Dio si fa incontro a noi. Che c’è di più semplice della grotta di Betlemme, della casa di Gesù a Nazareth, della sinagoga a Cafarnao? E il Figlio di Dio vi è entrato. L’avvenimento di Cristo è un fatto nuovo che entra nella vita, semplicemente. Se ognuno di noi spalancherà gli occhi, il cuore, la mente e le braccia, Cristo entrerà nelle nostre case, portando la sua pace e la sua verità.
3) Non solo nelle nostre case ma in noi, Tempio di Dio.
Domani, 2 febbraio, la liturgia celebra la Presentazione[3] di Gesù. Quando Maria e Giuseppe portarono il loro bambino al Tempio di Gerusalemme, avvenne il primo incontro tra Gesù e il suo popolo, rappresentato dai due anziani Simeone e Anna. “Quello fu anche un incontro all’interno della storia del popolo, un incontro tra i giovani e gli anziani: i giovani erano Maria e Giuseppe, con il loro neonato; e gli anziani erano Simeone e Anna, due personaggi che frequentavano sempre il Tempio.” (Papa Francesco).
Alla luce di questa scena evangelica guardiamo alla vita consacrata come ad un incontro con Cristo: è Lui che viene a noi, portato da Maria e Giuseppe, e siamo noi che andiamo verso di Lui, guidati dallo Spirito Santo. Ma al centro c’è Lui. Lui muove tutto, Lui ci attira al Tempio, alla Chiesa, dove possiamo incontrarlo, riconoscerlo, accoglierlo, abbracciarlo.
Il segno specifico della tradizione liturgica di questa Festa sono le candele che irradiano luce. Questo segno manifesta la bellezza e il valore della vita consacrata come riflesso della luce di Cristo; un segno che richiama l’ingresso di Maria nel Tempio: la Vergine Maria, la Consacrata per eccellenza, portava in braccio la Luce stessa, il Verbo incarnato, venuto a scacciare le tenebre dal mondo con l’amore di Dio.
Un modo particolare di vivere ciò e di diventare Tempio e Tabernacolo della Divina presenza è quello delle Vergini consacrate nel mondo, per le quali il Vescovo prega: “Signore nostro Dio, tu che vuoi dimorare nell’uomo, tu che abiti quelle che ti sono consacrate … accorda loro il tuo sostegno e la tua protezione a quelle stanno davanti a Te e che attendono dalla loro consacrazione una accrescimento di speranza e di forza” (RCV 24), perché crescano nel loro credere all’amore, testimoniandolo con il sacrificio di sé nella vita quotidiana. Il loro essere lampade che irradiano la luce della verità e carità di Dio ci aiuti a diventarlo anche noi.
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NOTE
[1] “Giunsero a Cafàrnao e subito Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.” (Mc 1, 21 -28).
[2] Nella Palestina del tempo c'erano sinagoghe non solo nei grandi centri, ma anche nelle piccole città e nei villaggi. Gli israeliti vi convenivano per la preghiera e per la lettura e la spiegazione della Scrittura. Non solo gli scribi e gli anziani, ma ogni israelita poteva chiedere la parola e intervenire. È così che Gesù, a Cafarnao, entra nella sinagoga e prende la parola per insegnare.
[3] Presentazione del Signore al Tempio - 2 Febbraio - è la Festa delle luci (cfr Lc 2,30-32) e ebbe origine in Oriente con il nome di ‘Ipapante’, cioè ‘Incontro’. Nel sec. VI si estese all’Occidente con sviluppi originali: a Roma con carattere più penitenziale e in Francia con la solenne benedizione e processione delle candele popolarmente nota come la ‘candelora’. La presentazione del Signore chiude le celebrazioni natalizie e con l’offerta della Vergine Madre e la profezia di Simeone apre il cammino verso la Pasqua (Mess. Rom.).
La festività odierna, di cui abbiamo la prima testimonianza nel secolo IV a Gerusalemme, venne denominata fino alla recente riforma del calendario festa della Purificazione della SS. Vergine Maria, in ricordo del momento della storia della sacra Famiglia, narrato al capitolo 2 del Vangelo di Luca, in cui Maria, nel rispetto della legge, si recò al Tempio di Gerusalemme, quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, per offrire il suo primogenito e compiere il rito legale della sua purificazione. La riforma liturgica del 1960 ha restituito alla celebrazione il titolo di "presentazione del Signore", che aveva in origine. L'offerta di Gesù al Padre, compiuta nel Tempio, preannuncia la sua offerta sacrificale sulla croce.
Questo atto di obbedienza a un rito legale, al compimento del quale né Gesù né Maria erano tenuti, costituisce pure una lezione di umiltà, a coronamento dell'annuale meditazione sul grande mistero natalizio, in cui il Figlio di Dio e la sua divina Madre ci si presentano nella commovente ma mortificante cornice del presepio, vale a dire nell'estrema povertà dei baraccati, nella precaria esistenza dei migranti e dei perseguitati, quindi degli esuli.
L'incontro del Signore con Simeone e Anna nel Tempio accentua l'aspetto sacrificale della celebrazione e la comunione personale di Maria col sacrificio di Cristo, poiché quaranta giorni dopo la sua divina maternità la profezia di Simeone le fa intravedere le prospettive della sua sofferenza: "Una spada ti trafiggerà l'anima": Maria, grazie alla sua intima unione con la persona di Cristo, viene associata al sacrificio del Figlio.
Il rito della benedizione delle candele, di cui si ha testimonianza già nel X secolo, si ispira alle parole di Simeone: "I miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti". Da questo significativo rito è derivato il nome popolare di festa della "candelora".

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Lettura patristica

Beda il Venerabile, In Ev. Marc. 1, 1, 21-27
Dottrina e autorità di Cristo

      
"E subito, giunto il sabato, entrato nella sinagoga, si mise a insegnare loro" (Mc 1,21).   Il fatto che egli offra con larghezza i doni della sua medicina e della sua dottrina soprattutto di sabato, mostra che il Signore non è soggetto alla legge, ma sta sopra la legge, egli che è venuto per portare a compimento la legge e non per abrogarla (Mt 5,17). Per insegnare egli sceglie non il sabato giudaico - nel quale era vietato accendere il fuoco o adoperare le mani e i piedi - ma il vero sabato, e mostra che il riposo preferito dal Signore consiste nell’aver cura delle anime astenendosi dalle opere servili, cioè da tutte le opere illecite."E si stupivano della sua dottrina. Insegnava loro difatti come uno che ha autorità e non come gli scribi" (Mc 1,22).«Gli scribi insegnavano al popolo le cose che leggiamo in Mosè e nei profeti; Gesù invece, quasi fosse Dio e Signore di Mosè stesso, seguendo la sua libera volontà, dava maggiore importanza a precetti che sembravano secondari nella legge, oppure, modificando i comandamenti, si rivolgeva al popolo come leggiamo in Matteo: -fu detto agli antichi... ma io vi dico -» (Girolamo). "Or, ecco, c’era nella loro sinagoga un uomo posseduto da uno spirito immondo, che gridava dicendo: - che c’è tra noi e te, Gesù Nazareno? Sei venuto per rovinarci? Conosco chi sei, il Santo di Dio! " (Mc 1,23-24). «Questa non è una spontanea confessione di fede cui faccia seguito il premio, ma una confessione necessariamente estorta che costringe chi non vuole. Come accade agli schiavi fuggiaschi che, incontrando dopo molto tempo il loro padrone, gridano implorazioni soltanto per evitare le bastonate, così i demoni, avendo visto d’improvviso apparire il Signore in terra, credevano che fosse venuto per giudicarli. La presenza del Salvatore è infatti tormento per i demoni» (Girolamo). "Ma Gesù lo rimproverò dicendo: - Taci, ed esci dall’uomo" (Mc 1,25). "Siccome la morte è entrata nel mondo per l’invidia del diavolo" (Sg 2,24), la medicina della salvezza ha dovuto dapprima operare contro lo stesso autore della morte per tacitare innanzi tutto la lingua del serpente, affinché non spargesse più oltre il suo veleno; poi per curare la donna, che fu per prima sedotta dalla febbre della concupiscenza carnale; in terzo luogo per purificare dalla lebbra del suo errore l’uomo che aveva ascoltato le parole della sposa che lo spingeva al male, affinché il piano di redenzione si compisse nel Signore come nei progenitori si era compiuta la caduta. "E dopo che l’ebbe agitato convulsamente, lo spirito immondo uscì da lui, emettendo un gran grido" (Mc 1,26). «Luca dice che lo spirito immondo uscì dall’uomo senza fargli male. Può sembrare una contraddizione, in quanto secondo Marco "dopo che l’ebbe agitato convulsamente, uscì da lui", oppure, come recano altri codici, "dopo che l’ebbe tormentato", mentre secondo Luca non gli fece alcun male. In realtà, però, anche Luca dice che il demonio uscì da lui dopo averlo gettato in terra, anche se non gli fece del male (Lc 4,35). Si comprende, da ciò, perché Marco abbia detto che lo tormentò e lo agitò convulsamente intendendo ciò che ha detto Luca, scrivendo che lo gettò a terra. E quanto Luca aggiunge, cioè che non gli fece del male, significa che pur gettandolo in terra e agitandolo convulsamente, non lo mutilò, come sono soliti fare i demoni quando escono da qualcuno amputandogli o strappandogli le membra». "E si stupirono tutti, tanto che si domandavano l’un l’altro: - Cos’è questo? Che nuova dottrina è questa dato che egli comanda con autorità anche agli spiriti immondi ed essi gli obbediscono?" (Mc 1,27). Di fronte alla grandezza del miracolo, ammirano la novità della dottrina del Signore, e sono spinti dalle cose che hanno viste a far domande su quello che hanno udito. Non v’è dubbio infatti che a questo miravano i prodigi che il Signore stesso operava servendosi della natura umana che aveva assunta, o che dava facoltà ai discepoli di compiere. Per mezzo di questi miracoli gli uomini credevano con maggior certezza al vangelo del regno di Dio che veniva loro annunciato: infatti coloro che promettevano agli uomini terreni la felicità futura mostravano di poter compiere in terra opere celesti e divine. In verità, mentre i discepoli operavano ogni cosa per grazia del Signore, come semplici uomini, il Signore operava miracoli e guarigioni da solo, per virtù della sua potenza, e diceva al mondo le cose che udiva dal Padre. Dapprima infatti il Vangelo attesta che «egli insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi»; e ora la folla testimonia che egli «con autorità comanda agli spiriti immondi ed essi gli obbediscono».