domenica 25 gennaio 2015

Il giallo irrisolto



Proclamato dall’Unesco un anno internazionale della luce. 

(Piero Benvenuti) «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo». Risuonano ancora vive nella memoria le solenni parole del Prologo giovanneo con le quali la luce che sovrastava la grotta di Betlemme si eleva a livelli cosmici. Per la cristianità questo è forse il significato simbolico più alto e pregnante che sia stato mai assegnato a un fenomeno naturale, quello della luce, che circonda e pervade ogni nostra attività. 
Quest’anno ci saranno molteplici occasioni per riflettere sulla luce, in tutte le sue sfaccettature, perché l’Unesco ha dichiarato il 2015 Anno internazionale della luce. La cerimonia inaugurale si è tenuta a Parigi, alla Ville Lumière, il 19 gennaio.
La maggior parte dei temi che appaiono nell’agenda dell’International Year of Light, riguardano aspetti scientifici e tecnologici. Quest’anno ricorrono infatti centocinquant’anni da quando James Clerk Maxwell, fisico scozzese, pubblicava i suoi studi sull’elettromagnetismo, dimostrando che il fenomeno luce, riguardo il quale l’uomo si era interrogato per millenni, non era null’altro che una oscillazione delle forze elettriche e magnetiche, tra loro collegate, che si propaga alla straordinaria velocità di trecentomila chilometri al secondo.
Questo dato, che Maxwell aveva ricavato dai suoi calcoli teorici (le famose quattro equazioni che portano il suo nome), coincideva esattamente con le misure sperimentali, svelando così la natura fisica del fenomeno. Da allora le conoscenze scientifiche e le applicazioni tecnologiche delle onde elettromagnetiche, delle quali la luce visibile ai nostri occhi è solo una minima parte, sono letteralmente esplose in tutti i campi, tanto da farci quasi dimenticare la sua essenza e presenza onnipervasiva.
L’iniziativa dell’Unesco offre l’occasione di riflettere sulle implicazioni economiche e sociali delle più recenti innovazioni tecnologiche. Pensiamo, per esempio, all’enorme risparmio energetico che si sta realizzando con la produzione di luce con dispositivi a stato solido, i led, che stanno sostituendo le tradizionali lampadine.
La produzione di luce a basso consumo avrà un grande impatto ambientale. Sarebbe però un’occasione perduta se ci si limitasse a evidenziare il risparmio energetico ed economico: si potrebbe invece cogliere l’occasione per ridurre contemporaneamente l’illuminazione superflua, quella che, per puri scopi commerciali e d’immagine, crea le macchie luminose che le foto dallo spazio ci mostrano. Tutte quelle luci sono veramente segno di civiltà? Cosa perdiamo diffondendo nello spazio una quantità eccessiva di fotoni? È questo uno dei temi di riflessione proposti dall’Unione astronomica internazionale, che vuole ricordare come illuminare il cielo non solo è inutile, ma priva della possibilità di vedere le stelle. Uno spunto rilevante dal punto di vista filosofico e teologico è offerto dalla descrizione fisica della luce. Se, come già accennato, centocinquant’anni fa Maxwell confermava la natura ondulatoria della luce, ovvero l’oscillazione di una entità continua chiamata campo elettromagnetico, cento anni fa Albert Einstein concludeva l’esposizione delle Teorie della relatività, la ristretta e la generale, nelle quali la luce è rappresentata come un fenomeno discontinuo, un insieme di “quanti” di energia assimilabili metaforicamente a delle particelle.
Com’è possibile che il medesimo fenomeno sia descritto da due rappresentazioni che, nell’esperienza quotidiana, appaiono mutuamente esclusive? I fisici si sono ormai adattati a questa dualità che, operativamente, funziona perfettamente per predire il comportamento della luce in ogni possibile esperimento, ma dovremmo tutti riflettere sulla evidente impossibilità di descrivere la realtà sperimentale con un unico modello interpretativo. È straordinario che il mondo fisico sia comprensibile, diceva Einstein, ma è ancor più straordinario che l’essenza ultima della natura sia molto più ricca di quanto la nostra razionalità riesca a esplorare. Molto acutamente John Polkinghorne, fisico e teologo anglicano, paragona metaforicamente il dilemma che i fisici dell’inizio Novecento hanno dovuto risolvere di fronte alla dualità onda-particella della luce (semplicemente accettandolo), al dramma dei Padri della Chiesa di fronte al mistero della duplice natura di Cristo, risolto accettando il mistero trinitario.
C’è infine un ultimo spunto, divenuto in questi giorni di grande attualità. Sin dall’antichità, tutte le civiltà e le tradizioni filosofiche e religiose hanno individuato nella luce un simbolo cui attribuire molteplici e profondi significati. Oggi tutti gli scienziati del mondo, qualunque sia la loro provenienza culturale, usano lo stesso modello fisico per descrivere la luce che induce a riflettere sull’essenza delle nostre capacità razionali. Forse sarebbe utile riunire scienziati di tradizioni e fedi diverse e chiedere loro di discutere insieme sull’impatto che la descrizione fisica della luce può avere nelle ricche simbologie delle loro diverse culture. E riflettere insieme sul valore unificante della scienza.
L'Osservatore Romano