giovedì 25 dicembre 2014

Tu scendi dalle stelle... Natale del Signore. Messa della Aurora.



Isaia 62,11-12; Tito 3,4-7; Luca 2,15-20
Il Vangelo della seconda Messa di Natale, detta «dell’au¬rora», ci addita nei pastori e in Maria quale deve essere la nostra risposta e il nostro atteggiamento dinanzi al presepio di Cristo. I pastori impersonano la risposta di fede dinanzi all’annuncio del mistero. Essi lasciano «senza indugio» il loro gregge, interrompono il loro riposo; tutto passa in second’ordine di fronte all’invito di Dio; Maria impersona l’atteggiamento contemplativo e profondo di chi, in silenzio, contempla e adora il mistero: «Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore».
Ci sono verità ed eventi che si possono cogliere meglio col canto che con le parole, e uno di essi è proprio il Natale. Il canto natalizio più popolare in Italia è Tu scendi dalle stelle, composto da sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Il Natale ci appare in esso la festa dell’amore che si fa povero per noi. Il re del cielo nasce «in una grotta al freddo e al gelo»; al creatore del mondo «mancano panni e fuoco». Questa povertà ci commuove, sapendo che «ti fece amor povero ancora», che fu l’amore a rendere povero il Figlio di Dio. Con parole semplicissime, quasi infantili, viene espresso il significato del Natale che l’apostolo Paolo racchiudeva nelle parole: «Gesù Cristo, da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Corinzi 8,9).
Ci sono altre povertà, oltre quella di beni materiali. C’è la povertà di affetti, la povertà di istruzione, la povertà della donna rifiutata dal marito o del marito rifiutato dalla moglie; la povertà degli sposi che non hanno potuto avere figli, di chi deve dipendere fisicamente da altri. Infine, la povertà più brutta di tutte che è la povertà di Dio.
Contro alcune di queste povertà, nostre e altrui, bisogna lottare con tutte le forze, perché sono disumanizzanti, non volute da Dio, frutto dell’ingiustizia degli uomini; ma ci sono forme di povertà che non dipendono da noi. Con queste ultime dobbiamo riconciliarci, non lasciarcene schiacciare, ma portarle con dignità. Da quando la povertà è stata scelta dal Figlio di Dio, c’è in essa un valore e una speranza.
Un altro canto natalizio, il più amato in tutto il mondo, è Stille Nacht, Notte silente. Il testo originale dice: «Notte di silenzio, notte santa! / Tutto tace, solo vegliano / I due sposi santi e pii. / Dolce e caro Bambino, / Dormi in questa pace ce¬leste». Il messaggio fondamentale di questo canto non è nelle idee che comunica (quasi assenti), ma nell’atmosfera che crea: un’atmosfera di stupore, di calma e di silenzio, e noi abbiamo un bisogno vitale di silenzio. Il Natale potrebbe essere per qualcuno l’occasione per riscoprire la bellezza di momenti di silenzio, di calma, di dialogo con se stessi o con le persone. Un testo della liturgia natalizia dice: «Mentre un quieto silenzio avvolgeva ogni cosa, il tuo Verbo onnipotente, o Signore, è sce¬so dal cielo, dal trono regale» e sant’Ignazio d’Antiochia chiama Gesù Cristo «la Parola uscita dal silenzio». Anche oggi, la parola di Dio scende là dove trova un po’ di silenzio. Maria, ho detto, è il modello insuperabile di questo silenzio adorante.
Tra i pastori che accorsero la notte di Natale ad adorare il Bambino, narra una graziosa leggenda, ce n’era uno tanto poverello che non aveva proprio nulla da offrire e si vergognava molto. Giunti alla grotta, tutti facevano a gara a offrire i loro doni. Maria non sapeva come fare per riceverli tutti, dovendo reggere il Bambino. Allora, vedendo il pastorello con le mani libere, prende e affida a lui, per un momento, Gesù. La sua povertà, avere le mani vuote, fu la sua fortuna.
Padre Raniero Cantalamessa