giovedì 18 dicembre 2014

Radice di ogni sviluppo



Intervento della Santa Sede a Ginevra. La dignità della persona radice di ogni sviluppo

Pubblichiamo la traduzione italiana dell’intervento pronunciato il 2 dicembre a Ginevra dall’arcivescovo Silvano M. Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio delle Nazioni Unite ed Istituzioni specializzate in occasione dell’anniversario della Dichiarazione delle Nazioni Unite sul diritto allo sviluppo.
Signor Alto Commissario,
Eccellenze e distinti Delegati,
Signore e Signori,
Sono grato all’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani per aver organizzato questa iniziativa per commemorare l’anniversario della Dichiarazione delle Nazioni Unite sul diritto allo sviluppo. Sono anche onorato di avere l’opportunità di presentare una breve riflessione sul processo di attuazione di questo diritto. La posta in gioco è la ricerca di un mondo più equo e di una coesistenza pacifica per un mondo sempre più pluralistico. La presente occasione ci offre l’opportunità di esaminare la Dichiarazione sul diritto allo sviluppo e i principi sui quali si fonda, nonché di fare un bilancio dei progressi compiuti dalla comunità internazionale in questo importantissimo ambito d’interesse.
Trent’anni fa furono le circostanze sociali e politiche, che esigevano una risposta coordinata alle disuguaglianze inesistenti, a suggerire una dichiarazione formale sul diritto allo sviluppo. Oggi, la famiglia umana globale continua a doversi confrontare con crisi e sfide importanti. Secondo i dati delle Nazioni Unite, si stima che oltre 2,2 miliardi di persone — più del 15 per cento della popolazione mondiale — vivono in una povertà “multidimensionale”, o ai limiti della stessa, con privazioni negli standard sanitari, educativi e di vita che si sovrappongono (Relatore speciale delle Nazioni Unite sullo sradicamento della povertà estrema, 17 ottobre 2014). Il divario economico e sociale tra “ricchi” e “poveri” sta crescendo. Attori statali e non statali sono coinvolti in numerosi conflitti gravi e violenti. Questi causano centinaia di migliaia di vittime. Papa Francesco ha catturato l’attenzione pubblica quando ha definito la situazione attuale una «terza guerra a pezzi» (Omelia al Sacrario Militare di Redipuglia, 13 settembre 2014). Queste ingiustizie e queste guerre ostacolano il progresso efficace verso l’attuazione del diritto allo sviluppo. Si potrebbe addirittura arrivare a pensare che, in alcuni casi, una combinazione di interessi nazionali, commercio di armi, avidità e ambizioni di potere blocchino la volontà politica di molti Stati di seguire davvero il cammino della giustizia e della pace così come stabilito dai documenti fondanti delle Nazioni Unite. Questi elementi provano che gli ideali di uguaglianza e di solidarietà che hanno ispirato la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e i trattati che ne sono derivati per alcuni hanno perso la loro credibilità e che la cultura su cui poggiano è cambiata. Forse questa riflessione su come rendere universale l’attuazione della Dichiarazione sul diritto allo sviluppo può aiutare a guardare ai principi fondamentali che sono alla base di questo stesso diritto.
La dottrina sociale della Chiesa cattolica presenta alcune nozioni estremamente importanti, molte delle quali esplicitamente articolate nella Dichiarazione delle Nazioni Unite stessa, in quanto necessarie per un giusto approccio e per la promozione del diritto allo sviluppo. Questi concetti fondamentali sono: 1) l’unità di origine e il destino comune dell’intera famiglia umana; 2) l’uguale dignità di ogni persona e di ogni comunità; 3) la destinazione universale dei beni della terra; 4) la necessità che lo sviluppo umano sia integrale e abbracci l’intera persona; 5) l’esigenza che la persona umana sia al centro di ogni attività sociale; 6) il bisogno di solidarietà e di sussidiarietà per un sano sviluppo (cfr. Compendio della dottrina sociale della Chiesa cattolica, n. 446). Questi principi sono collegati tra loro, interdipendenti ed essenziali per un diritto allo sviluppo che possa condurre la società fuori dalle sue crisi profonde. Ne vorrei sottolineare due in particolare: l’uguaglianza delle persone basata sulla dignità umana e la centralità della persona umana e della solidarietà.
Possiamo osservare una forte e, aggiungerei, necessaria convergenza della dottrina sociale della Chiesa e della Dichiarazione sul diritto allo sviluppo sull’importanza attribuita alla dignità della persona umana. Per ogni sviluppo realistico della società, il punto di partenza fondamentale e più elementare è la comprensione che ogni persona umana è creata libera e con uguale e inviolabile dignità. Tuttavia, è proprio questo punto fondamentale a essere più spesso offuscato o, in alcuni casi, completamente ignorato, prestandosi così a ogni sorta d’ingiustizia e di violazione dei diritti umani. Come ha osservato Papa Francesco al Parlamento Europeo: «Promuovere la dignità della persona significa riconoscere che essa possiede diritti inalienabili di cui non può essere privata ad arbitrio e tanto meno a beneficio di interessi economici» (Discorso al Parlamento Europeo, 25 novembre 2014). Quando l’uguale dignità della persona umana non viene rispettata né collettivamente, come nel caso di Stati e istituzioni, né individualmente, altre categorie più “pragmatiche” o “utilitaristiche” diventano il criterio in base al quale la società opera. In un cambiamento di mentalità così fondamentale emergono categorie di “valori” che pongono la persona umana al servizio di qualche altro “guadagno materiale o valore”. La persona diventa funzionale al consumismo o al potere politico. In questi casi, si ritiene che valga la pena “sacrificare” la dignità altrui per un qualche bene materiale più grande.
In tale prospettiva, forse fin troppo prevalente in molte culture, emerge chiaramente un fattore importante: la categorizzazione de facto delle persone in “classi” o “gruppi” come mezzo più o meno utile al “progresso” economico o politico. Questo pericoloso approccio richiede davvero la nostra riflessione e discussione; occorre riconoscerne gli effetti negativi, compreso il fatto che non abbraccia la “nozione di sviluppo nella sua interezza”. Nella sua Esortazione apostolica sociale Evangelii gaudium Papa Francesco osserva: «L’inequità è la radice dei mali sociali. La dignità di ogni persona umana e il bene comune sono questioni che dovrebbero strutturare tutta la politica economica, ma a volte sembrano appendici aggiunte dall’esterno per completare un discorso politico senza prospettive né programmi di vero sviluppo integrale» (nn. 202-203). Pertanto, il compito che devono affrontare la comunità internazionale e tutti i singoli attori è quello di cercare di riaffermare la centralità della persona umana e l’essenzialità del bene comune per lo sviluppo umano integrale. In tal modo si può superare la prospettiva in apparenza insormontabile e distorta che dà la preferenza al guadagno meramente economico e politico. Ma a due condizioni. Per prima cosa deve essere riconsiderata l’ideologia dell’individualismo estremo, ormai diventata prevalente, poiché contraddice o ignora i diritti altrui; in secondo luogo, occorre uno sforzo rinnovato per porre di nuovo la persona umana come fine al quale devono essere tese tutte le decisioni politiche ed economiche.
Una conseguenza naturale del rispetto della centralità della persona umana e della ricerca del bene comune della famiglia umana è l’esercizio efficace della solidarietà. La solidarietà è più di un semplice sentimento di compassione per le vittime d’ingiustizia e per i meno privilegiati. Piuttosto, nel suo significato proprio e nella sua attuazione, la solidarietà è un obbligo per tutte le persone e per tutte le nazioni a cooperare le une con le altre nel nostro mondo globalizzato e a lavorare collettivamente per «eliminare gli ostacoli allo sviluppo» (Dichiarazione sul diritto allo sviluppo delle Nazioni Unite, art. 3.3). Forse il termine “solidarietà”, nel suo senso colloquiale spesso usato a sproposito, è stato frainteso. Più che una mera espressione di «un atto sporadico di generosità», la solidarietà richiede «di creare una nuova mentalità che pensi in termini di comunità, di priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte di alcuni» (Evangelii gaudium, n. 188). Come tale, la solidarietà porta oltre l’individualismo radicale e il materialismo, che si trovano in così tanti contesti culturali, e verso un cambiamento della visione del mondo, in particolare per quanto riguarda la distribuzione di beni e risorse, che non dovrebbero essere al servizio di pochi privilegiati, ma di tutti.
«La solidarietà è una reazione spontanea di chi riconosce la funzione sociale della proprietà e la destinazione universale dei beni come realtà anteriori alla proprietà privata. Il possesso privato dei beni si giustifica per custodirli e accrescerli in modo che servano meglio al bene comune, per cui la solidarietà si deve vivere come la decisione di restituire al povero quello che gli corrisponde. Queste convinzioni e pratiche di solidarietà, quando si fanno carne, aprono la strada ad altre trasformazioni strutturali e le rendono possibili. Un cambiamento nelle strutture che non generi nuove convinzioni e atteggiamenti farà sì che quelle stesse strutture presto o tardi diventino corrotte, pesanti e inefficaci» (Evangelii gaudium, n. 189).
La visione trasformatrice necessaria per rendere efficace il diritto allo sviluppo deriva dai valori che lo sostengono. In questo sforzo per affrontare le cause fondamentali, le questioni sistemiche e i cambiamenti strutturali c’è convergenza tra la Dichiarazione sul diritto allo sviluppo e la dottrina sociale della Chiesa. In particolare, la Dichiarazione afferma il diritto allo sviluppo come diritto umano (art. 1); la persona umana come soggetto centrale dello sviluppo (art. 2, 1); la responsabilità di tutti gli esseri umani per lo sviluppo (art. 2, 2); il dovere degli Stati di cooperare gli uni con gli altri nell’assicurare lo sviluppo (art. 3). L’uguale dignità di ogni persona, la centralità della persona e la solidarietà sono componenti essenziali che dobbiamo preservare e impiegare in tutte le decisioni economiche e politiche a livello internazionale e locale. Di fatto, questi due principi sostengono il diritto allo sviluppo e certamente si applicano a ogni settore della vita. Se mi è consentito, vorrei brevemente evidenziare due campi, in particolare, in cui c’è urgente bisogno di questa attenzione: il commercio e la migrazione.
La crisi testimoniata nell’agenda di sviluppo di Doha durante i negoziati dell’Organizzazione Mondiale del Commercio riconosce la necessità di trovare mezzi per collaborare, ponendo la centralità della persona umana al primo posto, piuttosto che subordinarla ai mercati e al vantaggio economico. I negoziati commerciali multilaterali dovrebbero ritornare al loro ruolo centrale nell’affrontare nuovi problemi, capitalizzare le nuove opportunità e, cosa più importante, promuovere un commercio più libero e più equo, non come fine a se stesso, ma come uno dei tanti strumenti per porre termine alla povertà per tutti. L’accordo appena raggiunto dall’Organizzazione Mondiale del Commercio va in una direzione positiva e si spera che possa accelerare la conclusione dell’Agenda di sviluppo di Doha.
Il Forum globale su migrazione e sviluppo ha documentato come una migrazione gestita in modo giusto possa diventare una risorsa a beneficio dei Paesi d’origine, di arrivo e per i migranti stessi, nonché per il loro sviluppo. Tale obiettivo viene raggiunto quando una governance globale, che dà priorità alla persona del migrante e ai suoi diritti umani ed è aperta a una corretta accettazione dei nuovi arrivati come partner nello sviluppo, mostra senza pregiudizi il loro contributo e riconosce in modo realistico la loro presenza positiva. 
I fori multilaterali, seppure imperfetti, sono l’unico luogo in cui gli Stati hanno un’eguale voce che può facilitare la ricerca del bene comune per tutti.
Per concludere, è mia speranza che l’enfasi posta sulla Dichiarazione sul diritto allo sviluppo serva da catalizzatore per l’opportuna attuazione dei suoi chiari principi per il progresso del bene comune e il miglioramento di tutti i settori della vita delle persone. L’azione multilaterale può diventare efficace e superare le attuali tragedie e le situazioni protratte di miseria. Desidero terminare sempre con le parole di Papa Francesco: «Nel caso dell’organizzazione politica ed economica mondiale, quello che manca è molto, visto che una parte importante dell’umanità continua ad essere esclusa dai benefici del progresso e, di fatto, relegata a esseri umani di seconda categoria. I futuri Obiettivi dello sviluppo sostenibile dovrebbero, quindi, essere formulati con generosità e coraggio, affinché arrivino effettivamente a incidere sulle cause strutturali della povertà e della fame, a conseguire ulteriori risultati sostanziali a favore della preservazione dell’ambiente, a garantire un lavoro decente per tutti e a dare una protezione adeguata alla famiglia, elemento essenziale di qualsiasi sviluppo economico e sociale sostenibile. Si tratta, in particolare, di sfidare tutte le forme di ingiustizia, opponendosi alla “economia dell’esclusione”, alla “cultura dello scarto” e alla “cultura della morte”, che, purtroppo, potrebbero arrivare a diventare una mentalità accettata passivamente» (Discorso del Santo Padre Francesco ai partecipanti all’Incontro del Consiglio dei Capi Esecutivi per il Coordinamento delle Nazioni Unite, 9 maggio 2014).
L'Osservatore Romano