venerdì 19 dicembre 2014

Nel pensiero di Joseph Ratzinger su Israele.



La benedizione del popolo di Dio

«Nel 1969 — scrive Marc Rastoin sul numero in uscita di «La Civiltà Cattolica» — un giovane teologo, già perito del concilio, pubblica un libro dal titolo evocatore: Il nuovo popolo di Dio». Il giovane teologo di cui si parla nell’articolo è Joseph Ratzinger. 
«Tra questo libro — continua Rastoin — e i tre volumi Gesù di Nazaret (pubblicati rispettivamente nel 2007, 2011 e 2012) sono trascorsi quarant’anni. Il dialogo tra la Chiesa cattolica e i rappresentanti del giudaismo religioso vivente si è approfondito, malgrado tensioni occasionali reali. Da parte sua, la teologia ha cercato di comprendere di nuovo la relazione che lega il mistero della Chiesa a quello di Israele, e non può farlo se non elaborando anche un altro linguaggio su se stessa. La posta in gioco è alta. La teologia cattolica può concepire un quadro teologico che le permetta di pensare la permanenza di Israele, di quell’Israele che vive e si sviluppa all’interno di un giudaismo vivente?».
Nei suoi tre volumi Gesù di Nazaret, ma anche in opere meno recenti, Ratzinger cerca di dare una risposta a questa domanda attraverso un’accurata analisi semantica, teologica ed esegetica. Colloca la Chiesa e Israele su due piani distinti, ma non separati, e «si basa su un testo chiave — continua Restoin — troppo dimenticato per secoli, i capitoli 9-11 della Lettera ai Romani». Ciò gli permette di presentare positivamente il giudaismo senza introdurre modi di procedere più o meno sociologici nel dibattito teologico. Al contrario, si basa sul cuore del Nuovo Testamento — i Vangeli da una parte, Paolo dall’altra — per superare definitivamente la teologia detta della “sostituzione”, secondo cui la Chiesa, nuovo popolo, subentrava all’antico popolo di Dio.
«Permettendo a questa impressionante visione paolina — conclude il gesuita — di entrare facilmente nella teologia cattolica di Israele, Ratzinger apre lo spazio alla benedizione. Il giudaismo vivente non è soltanto una realtà che bisogna onorare, ma è anche una grazia di incomparabile portata per la fede cristiana stessa».
L'Osservatore Romano